Conoscete l’Hibernicum? L’Italicum e il Porcellum, in confronto al sistema di voto irlandese, sembrano scritti da dilettanti. Le elezioni a voto singolo trasferibile (Stv – Single Transferable Vote), utilizzate dall’Irlanda ma anche da altri Paesi anglosassoni, prevedono un proporzionale puro che dà all’elettore la possibilità di votare per più candidati, chiedendogli di fare una classifica di preferenze tra i nomi presenti sulla scheda. Così, al primo giro di spoglio si contano solo i candidati primi nelle liste di preferenze. Chi passa la soglia di voto stabilita viene eletto, e gli eventuali voti in più che questo candidato riceve vengono in seguito redistribuiti tra gli altri candidati, sempre in base all’ordine di preferenza dell’elettore. E così via, fino a riempire tutti seggi disponibili nella circoscrizione. In Irlanda non ha un nome così esotico come quelli che diamo da noi, ma lo battezzerei Hibernicum.
Il senso del sistema è naturalmente quello di non disperdere i voti di nessuno, a prezzo dell’intuitività, ma questo non sembra aver mai spaventato nessuno degli elettori dell’isola. Certo, questo esercizio di democrazia forse non piacerebbe a chi vorrebbe sapere i nomi degli eletti “la sera stessa delle elezioni”: il voto di venerdì 26 febbraio, per un Paese di poco più di 4 milioni di abitanti, ha richiesto “giri” di spoglio delle schede fino alla notte di mercoledì 2 marzo. Ma alla fine sappiamo tutti i nomi degli eletti al Dáil Éireann, la Camera bassa dell’Oireachtas, il Parlamento di Dublino.
Il Fine Gael è il primo partito, con il 25,52% di prime preferenze; Fianna Fáil secondo, con il 24,35% (49 seggi contro 44 alla Camera); terzi gli indipendenti, con il 23,6%, e quarto il Sinn Féin, al 15,3%. Nonostante ben otto punti percentuali di differenza, questi ultimi due molto probabilmente avranno lo stesso numero di rappresentanti (23) e, non essendo gli indipendenti un partito organizzato, di fatto il Sinn Féin è il terzo partito, realizzando così il miglior risultato della sua storia.
È chiaro da questi numeri che anche in Irlanda si è verificato uno stallo, un’indecisione, un niente di fatto che fa arrabbiare molti. La qual cosa però non è imputabile alla legge elettorale (che nessuno infatti si sogna di cambiare), perché la stessa legge aveva permesso allo storico partito di governo, i Fianna Fáil (centrodestra), di governare da soli o quasi per un cinquantennio. Oggi i loro storici rivali del Fine Gael (centrosinistra), che li avevano spodestati nel 2011 in coalizione con i laburisti, hanno perso consensi a causa delle politiche di austerity che pure hanno permesso all’Irlanda di restituire il megaprestito della Troika. Consensi che sono andati al partito antiausterità, ai tanti indipendenti che si sono presentati da soli alle elezioni ma soprattutto allo storico Sinn Féin, il partito di Gerry Adams nato come braccio politico dell’Ira.
Enda Kenny, Taoiseach (primo ministro) uscente e leader dei Fine Gael, dice che intende dialogare con gli altri partiti (e quindi anche col Sinn Féin – anche se è poco probabile che accettino di entrare in una coalizione), e si è mosso prima ancora della chiusura dei conteggi per cercare di formare un governo in tempo per la prima convocazione del nuovo Parlamento, il 10 marzo. Situazioni fluide come queste è chiaro che portano a riconsiderare le posizioni della campagna elettorale. Kenny aveva detto che mai e poi mai avrebbe considerato di fare la storica alleanza con i rivali del Fianna Fáil. Ora, guarda un po’, alla luce dei risultati fa una drammatica inversione a U e dice che sì, parlerà anche con quelli che prima neanche voleva vedere.
È quindi molto probabile che anche l’Irlanda avrà i suoi anni di Grosse Koalition degli storici partiti rivali Fine Gael e Fianna Fáil: con 93 su 158 deputati avrebbero una maggioranza tranquilla. Ma non è scontato che il Fine Gael si possa alleare con i partiti più piccoli, con gli storici amici laburisti e socialdemocratici, più qualche indipendente, raggiungendo una maggioranza meno solida, forse, ma più logica per area politica. O che faccia addirittura un governo di minoranza, con appoggio esterno del Fianna Fáil.
Dov’è la notizia, quindi? Per noi italiani ormai vaccinati al proporzionale e alle alleanze strane, non c’è niente che non sia ordinaria amministrazione – d’altronde, la politica è l’arte del possibile. Ma mettiamoci nei panni dei poveri irlandesi di oggi, o dei poveri inglesi del 2010: la parola “coalizione” è per loro una specie di spauracchio, uno spettro che si aggira per la nazione accompagnato dall’espressione “Hung Parliament” (Parlamento bloccato) come il fantasma del Natale passato che terrorizza Scrooge nel Canto di Natale di Dickens.
La notizia è che da qualche anno ormai sembra che in tutto il mondo si stia sperimentando l’incertezza che noi ben conosciamo da tempo. E questa riflessione dovrebbe spingerci a fare un passo in più oltre il solito compiacimento di sapercela sempre cavare. Forse dovremmo sfruttare meglio questo vantaggio competitivo che abbiamo sulle altre specie – la sopravvivenza alla politica che ci rende “i più adatti” – per cercare di costruire un modello di politica e rappresentanza migliore per il futuro. Perché, checché se ne dica, all’incertezza siamo abituati, ma non è che ci piaccia poi così tanto.
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