Le crisi economiche hanno storicamente avuto un impatto di genere sulla struttura occupazionale, con conseguenze differenti su donne e uomini, soprattutto in una prospettiva di lungo periodo. Un fatto noto è che il capitalismo abbia utilizzato la forza lavoro femminile per assorbire gli shock economici, integrandola nel mercato del lavoro retribuito nelle fasi di crescita ed escludendola durante le fasi di declino, in modo simile a come si ricorre a un "esercito di riserva". Questa tesi non sembra tuttavia appropriata per spiegare la crisi di oggi. 

La differenza principale è che le donne non potranno più essere "semplicemente espulse" dal mercato del lavoro poiché ricoprono un ruolo economico decisivo, avendo oggi raggiunto livelli di partecipazione e di occupazione mai toccati in precedenza in Europa, che hanno portato al prevalere di un modello di famiglia a doppio reddito. In questa situazione nuova non saranno rari, allora, i casi di inversione di ruolo, in cui le donne - principalmente quelle istruite - saranno occupate e gli uomini no (female breadwinner model), condizione del tutto anomala rispetto alle crisi che si sono succedute nel corso del ventesimo secolo.

Il punto di partenza per comprendere gli effetti della crisi attuale sta nella distribuzione e nella crescita dell’occupazione maschile e femminile in ciascuno dei settori dell’economia prima della crisi. Le donne sono prevalentemente concentrate nelle occupazioni a basso salario, anche per via dell’incidenza molto maggiore del lavoro part-time, e dispongono quindi di riserve finanziarie più ridotte; sono inoltre più facilmente escluse dagli schemi dei sussidi, a causa di una contribuzione insufficiente derivante da carriere lavorative meno continuative, fattore che incide negativamente sul diritto di accesso alla protezione sociale. In altri termini, nelle situazioni di perdita del lavoro la componente femminile ha a disposizione degli strumenti molto più limitati per difendersi, all’interno di uno scenario in cui le protezioni del lavoro sono già state ridotte in quasi tutti i Paesi europei.

Simile alle crisi antecedenti sarà invece l’effetto di un’ulteriore pressione sul ruolo delle famiglie in veste di ammortizzatore sociale.  I tagli alla spesa pubblica, previsti in tutti gli Stati a livello nazionale e territoriale, avranno un duplice effetto negativo sull’occupazione femminile e quindi sulla crescita economica: una riduzione dell’offerta di lavoro, legata a una minore disponibilità di servizi sociali, e contestualmente una diminuzione della domanda di lavoro femminile nei servizi, entrambi fattori che si tradurranno in minori entrate per la fiscalità generale. Lo spostamento dei modelli di consumo, derivante dalla diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, si ripercuoterà prevedibilmente sulle donne, destinate a sostituire almeno una parte dei beni acquistabili sul mercato con il loro lavoro non remunerato. La ripresa economica, come già avvenuto è in passato, è destinata a fare leva sull’aumento della produzione domestica da parte delle donne. Diversamente dalla fase iniziale della crisi, alla fine del 2011 il tasso di disoccupazione femminile è più alto di quello maschile e inoltre non considera il flusso di uscita dal mercato del lavoro. L’effetto di "scoraggiamento" spinge con maggiori probabilità le donne verso l’inattività o il lavoro informale e sommerso, specie nei Paesi del Sud Europa e in Italia in particolare, riducendone il loro tasso di partecipazione.

Vanno infine tenute in considerazione le implicazioni di policy dei cambiamenti in corso e delle nuove sfide che si porranno ai modelli occupazionali europei, col rischio che la progressiva distruzione di posti di lavoro femminili avvenga passando quasi inosservata e che si interrompano i pur lenti progressi compiuti dalle politiche di parità di genere nel lavoro. Soltanto pochi degli Stati membri hanno previsto una valutazione dell’impatto di genere sulle politiche anti-crisi che vengono implementate e rari sono i piani nazionali di riforma che abbiano come obiettivo esplicito quello di un miglioramento della posizione delle donne nel mercato del lavoro.