Paolo Pombeni (Il comma 22 del sistema politico italiano) ha molte ragioni, a partire dalla sua giusta considerazione secondo cui «i sistemi elettorali possono organizzare la realtà, ma non sono in grado di crearne una diversa». Forse è troppo pessimista (non che ne manchino i motivi) là dove sembra considerare quasi invincibile una prassi dei gruppi politici in campo ferma alle «faide tra tribù politiche» e ai «populismi d’accatto». Sembra discenderne come inevitabile che la formazione di maggioranze politiche – attesa la impossibilità di far sì che la maggioranza degli elettori scelga una sola «tribù» (e perchè dovrebbe?) e acquisita la inammissibilità di sistemi elettorali che pretendano di trasformare in maggioranza una sola «tribù» di minoranza – sia abbandonata al gioco di mercanteggiamenti di potere e di ricatti reciproci, mai a possibili convergenze (post-elettorali) di programmi.

Eppure delineare maggioranze di programma a termine breve o medio dovrebbe essere oggi relativamente meno difficile che in altre circostanze, vista la rilevanza dei vincoli esterni che spingono spesso verso soluzioni comuni «di emergenza» sulla base di grandi discriminanti di lungo periodo: come dimostrano ad esempio la Grande coalizione tedesca (quella attuale, o quella futura ed eventuale a parti invertite) e forse anche la soluzione uscita in Spagna dopo due elezioni ravvicinate.

In tutta Europa le divisioni politiche sono cresciute e hanno reso inesistente un "modello Westminster" basato su un bipartitismo di fondo ancorato ad alcune premesse comuni

Per essere concreti: in tutta Europa le divisioni politiche sono cresciute, rendendo inesistente un «modello Westminster» basato su un bipartitismo di fondo ancorato ad alcune premesse comuni. In tutta Europa sembrano nascere o crescere (a destra e forse anche a sinistra) forze che si schierano dietro a barricate pregiudiziali come l’uscita dall’Unione o dall’euro, le tesi cosiddette «sovraniste», e per altro verso le tesi xenofobe e ultra-securitarie (disponibili persino a mettere da parte i fondamentali della democrazia). Tracciato questo solco, lo spazio per un confronto fra forze diverse che stiano al di qua di tali barricate inevitabilmente si riduce, rendendo spesso necessarie mediazioni «al centro».  Ciò significa inevitabilmente che le mediazioni saranno possibili solo nella forma deteriore degli accordi di potere più o meno fragili? Non è detto.

Occorrerebbe però spostare l’attenzione dai possibili accordi di potere ai programmi concreti (di legislatura o anche di più breve periodo) da perseguire in forme esplicite e pubbliche. Il consenso elettorale, allora, potrebbe essere perseguito e acquisito non (o non solo) da «tribù» concorrenti per le quali l’unica cosa importante è «vincere» per conquistare il potere, ma da soggetti politici che rappresentino quote significative di elettorato concorrendo (da soli o con altri, a seconda della distribuzione del consenso) a promuovere e a formare, ove possibile, maggioranze programmatiche.