Lascio perdere le recriminazioni (…se ci fosse stato Renzi) e le prospettive immediate (larghe intese? Ritorno alle elezioni?...): il polverone è ancora alto e se ne discuterà sin troppo nelle prossime settimane. Mi limito ad accennare a due problemi di fondo, quelli sui quali il Mulino, non potendo rincorrere l’attualità e la contingenza, dovrà concentrare la sua analisi: il primo riguarda la gravità della situazione economico-sociale nella quale il Paese si trova e l’intensità degli sforzi necessari a porvi rimedio; il secondo l’inettitudine del nostro sistema politico a far prevalere forze di governo capaci di ottenere il consenso dei cittadini su un programma che sappia porvi rimedio. Insomma, crisi dell’economia e della società; crisi della democrazia.
Brevissimamente sul primo problema, di cui ho ampiamente trattato su questa rivista. Alla luce dell’evidenza accumulata dopo la grande crisi finanziaria americana, si può tranquillamente sostenere che il disegno della moneta unica europea è stato mal concepito, che l’Eurozona non era un’area monetaria ottimale e aveva poche possibilità di diventarlo per il rifiuto di gran parte dei Paesi che la compongono di muoversi in direzione federale. In presenza di shocks asimmetrici, sulla base delle regole di Maastricht, dei vincoli posti alla Bce, del panico che domina i mercati finanziari e li induce a penalizzare i Paesi più deboli, si sarebbero create due aree, un Nord capace di prosperare e un Sud condannato al ristagno. Di fronte a questa situazione, un grande Paese del Sud ha due prospettive. Resistere a un lungo periodo di asfissia, cercando di allentare i vincoli di inefficienza e scarsa competitività che lo soffocano e di strappare condizioni migliori all’Unione europea: è quello che ha cercato di fare Monti, e nessuno sarebbe stato in grado di far meglio. O provocare una catastrofe, nel senso tecnico e metaforico del termine: una uscita dall’euro e una crisi dell’intera Eurozona, e forse della stessa Unione. Tra asfissia e catastrofe qualsiasi persona ragionevole opta per la prima, che almeno è lenta e reversibile se si procede con riforme dure ed efficaci. Ma solo Monti e più timidamente Bersani hanno offerto agli elettori questa prospettiva. Più sfacciatamente Grillo, ma nella sostanza anche Berlusconi, hanno offerto, senza illustrarne le conseguenze drammatiche, una prospettiva di catastrofe.
Ma perché quelle conseguenze non sono state illustrate, perché Bersani non ha drammatizzato la situazione e persino Monti ha ceduto ai consigli dei suoi campaign manager e ha fatto promesse discutibili? Perché l’intero ceto politico della Seconda Repubblica non si è reso conto che l’avversione popolare nei suoi confronti stava raggiungendo livelli non più controllabili? La ragione è che il sistema di contrapposizione estrema del bipolarismo all’italiana e il disprezzo per i partiti non lasciava modo di rivolgere ai cittadini un discorso di verità. Nel caso di Berlusconi questo è evidente e non vale la pena di ritornarci. Nel caso di Bersani l’ha condotto all’afasia, a un discorso di finto buon senso – l’ormai ben noto “un po’ più di questo, un po’ meno di quello” – un discorso che non metteva in discussione il controllo della “ditta”, del partito, l’amicizia dei sindacati, il senso comune di militanti diventati socialdemocratici in ritardo e riottosi rispetto a una analisi realistica della situazione. Surtout pas trop de zèle. Un po’ di province vanno bene. Va bene anche un po’ di finanziamento pubblico dei partiti. Sulle misure per migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione, per carità, non buttiamo l’acqua sporca con il bambino. Sui costi della politica non esageriamo. Sul mercato del lavoro, andiamoci con cautela. La corruzione è un problema, ma ce n’è più da loro che da noi. Non è con questo atteggiamento che si affronta un elettorato impoverito, preoccupato, indignato per gli scandali. Se quella di Berlusconi era un’offerta politica incredibile, quella di Bersani era grigia: da questi politici gli italiani non avrebbero comprato un’auto usata, immaginatevi se avrebbero accettato un discorso di verità.
Già, ma adesso ci troviamo in una situazione ingestibile e lo spettro del 2011, cacciato dalla porta da Monti e Napolitano, bussa insistente alla finestra: domani c’è un’asta importante di Bpt e vedremo spread e rendimenti. La Spagna si avvicina e, se la crisi non si risolve, tornerà a superarci. Il problema siamo noi. In un bimestrale non riusciremo a seguirlo in tutti i colpi di scena che ci riserverà. Ma potremo impegnarci a fondo sui caratteri e sui limiti della democrazia, e di quella italiana in particolare: gli insegnamenti che la fase incombente ci riserverà saranno molto importanti, anche se li pagheremo cari.
Riproduzione riservata