Si può ben dire che i governi di un Paese normale vengono giudicati per la loro capacità di gestire i conti pubblici e, contemporaneamente, incentivare la crescita. Nel ciclo annuale di bilancio, i documenti di finanza pubblica fondamentali sono tre: il documento di economia e finanza (Def) presentato dal governo in primavera; la sua nota di aggiornamento (Nadef) presentata in autunno; e la legge di bilancio per il triennio successivo, da approvarsi entro dicembre.

È una storia altalenante di sfida alle regole europee di finanza pubblica e di ritorno al buon senso quando lo spread suona il campanello di allarme. Da un lato di questa metaforica altalena siede il ministro Giovanni Tria, che nel governo italiano giallo-verde porta la bandiera della responsabilità dei conti (e per questo è stato più volte minacciato di licenziamento); dall’altro siedono i due vicepremier, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Questi ultimi alla fine hanno comunque imposto una legge di bilancio per il 2019 che, invece di fare un vero e proprio bilancio pluriennale, concentra la spesa in pochi mesi pre-elettorali e sposta tutto il peso dell’aggiustamento sugli anni successivi.

Il governo giallo-verde si insedia poco più di un anno fa, agli inizi di giugno 2018, quando il Def è già stato presentato dal governo uscente, presieduto da Paolo Gentiloni, in scadenza con il solo quadro tendenziale (a legislazione vigente) e senza il quadro programmatico (che tiene conto degli effetti delle nuove norme). Il primo documento di finanza pubblica del nuovo governo è quindi la nota di aggiornamento (Nadef) di fine settembre 2018 in cui il governo che apre la XVIII legislatura professa un «cambiamento profondo delle strategie di politica economica» e prevede una crescita del Pil reale nel 2019 dell’1,5%, del tutto incurante dell’andamento dello spread che da maggio 2018 – nel passaggio tra il vecchio e il nuovo governo – stava ormai da mesi stabilmente al livello di 250 punti base (ben 100/150 punti base in più rispetto al mese di aprile 2018, al costo addizionale di circa 5 miliardi di euro annui per le finanze pubbliche).

 

[L'articolo completo pubblicato sul "Mulino" n. 3/19, pp. 388-395, è acquistabile qui]