Chi si augura che la stagione delle riforme aperta da Renzi a passo da bersagliere possa dare frutti apprezzabili per il Paese, dev’essere consapevole che ciò avverrà se essa potrà svilupparsi non solo nel corso di questa legislatura, ma anche nella prossima: le riforme messe in cantiere sono incomplete e quelle già deliberate o abbozzate richiedono un lungo periodo di adattamento e di attuazione amministrativa. Da ciò segue che una vittoria del Pd nelle future e ancora lontane elezioni politiche non è solo l’ovvio obiettivo del presidente del Consiglio in quanto segretario di partito, ma è anche quello che chiunque sia favorevole alle riforme renziane si dovrebbe porre. Per raggiungerlo sono necessarie circostanze economiche internazionali non sfavorevoli: le riforme sinora fatte e la politica economica sin qui perseguita non sono sufficienti a sostenere a lungo il clima di ottimismo che Renzi ritiene necessario al suo consenso politico, se la congiuntura economica europea e mondiale cedesse in modo significativo. Sarà inoltre necessario, a suo tempo, il passaggio definitivo della riforma costituzionale in Parlamento e, soprattutto, una vittoria nel referendum che ad esso farà seguito. Probabile il passaggio parlamentare, difficile quello referendario, che vedrà uniti nel «no» tutti gli anti-renziani, ben consapevoli che una sconfitta segnerebbe la fine dell’esperienza Renzi. Domanda: è anche necessario un esito delle prossime elezioni amministrative che sia percepito come un successo per il Partito democratico e per Renzi in particolare?
Un successo inequivocabile per il Pd (per dare un’idea: il mantenimento delle grandi città conquistate nell’ultima tornata – Roma, Milano, Torino, Bologna, Cagliari – e la riconquista di Napoli) certamente non guasterebbe, mentre una sconfitta cocente sarebbe dannosa per lo stesso progetto nazionale di Renzi: un clima di sconforto e recriminazioni si protrarrebbe nel partito per un periodo non breve, darebbe fiato agli avversari politici e nuovo vigore ai conflitti interni. Date le condizioni degli avversari e l’umore del Paese la «sconfitta cocente» mi sembra altrettanto improbabile del «successo inequivocabile»: è più probabile una «non-vittoria» o una «non-sconfitta», un esito misto che il segretario potrebbe attribuire allo stato in cui si trova ora il Partito democratico. Tutti sanno che l’egemonia ideologica e organizzativa del premier sul suo partito è ancora incerta e sanno anche che egli ha ben presente il problema. Come per le riforme, si tratta però di un compito di lunga lena, di un problema la cui soluzione dipende in larga misura dal continuo successo nazionale del partito: per unificarlo, scuole di politica e campagne ideologiche possono essere utili, ma, come dicono gli inglesi, «niente ha più successo del successo». Se è così, probabilmente Renzi si terrà a una certa distanza dalle battaglie sulle candidature e sulle alleanze che infurieranno a livello locale, utilizzando la moral suasion di cui dispone in pochi casi particolarmente importanti e riservandosi un ruolo di vigilanza sul rispetto delle regole che lo Statuto prescrive.
Ma, per quanto grande sia la distanza che Renzi terrà dalle scelte locali e scrupoloso il rispetto delle regole statutarie, è inevitabile che le candidature e le alleanze a livello comunale saranno anche lette come una cartina di tornasole del grado di consenso di cui il segretario dispone oggi nel corpo del partito. Gli avversari della linea Renzi aspettavano questa occasione, ben sapendo che è a livello locale, tra gli iscritti, tra i militanti, nel tradizionale mondo di sinistra, che essi dispongono dei loro maggiori punti di forza. La loro minaccia è che candidati eccentrici rispetto a quel mondo – Sala a Milano, per intenderci – demotiverebbero i militanti e metterebbero a rischio lo stesso risultato delle elezioni. La loro speranza è che un successo di candidati non renziani o un insuccesso dei renziani cambierebbero gli equilibri interni del partito e porrebbero le basi per una rivincita a livello nazionale.
Il guanto di sfida è stato lanciato con la lettera-appello dei tre sindaci «arancione» di Milano, Genova e Cagliari pubblicata su «la Repubblica» del 9 dicembre scorso. A Renzi non resta che raccoglierlo.
[Questo articolo è uscito sul «Corriere della Sera» il 12 dicembre 2015]
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