Convergenze e resistenze. La guerra non è di per sé la "levatrice della storia" oppure un evento che trasforma in modo totale le società che ne sono coinvolte. Piuttosto la guerra e i conflitti armati sono dei potenti e drammatici acceleratori di processi di trasformazione già in corso. In Siria, la guerra ha accelerato i conflitti tra città e campagna, tra centri urbani e provinciali del Paese arabo; ha accelerato il disfacimento del vecchio regime ba'thista e riconfigurato le relazioni tra forze armate, Stato e partito, probabilmente a scapito di quest'ultimo; ha accelerato l'ascesa pubblica dell'Islam politico, dimostrando però la carica di divisione che questo porta nelle società secolarizzate o comunque plurali come quella siriana, irachena, tunisina o egiziana; ha accelerato la connessione politica tra due territori affini come Siria e Iraq; ha accelerato la politica di potenza tra Iran, Arabia Saudita, Turchia e Israele, offrendo un terreno di battaglia in cui scontrarsi "per procura"; ha accelerato la crisi delle politiche migratorie europee aggiungendo ai flussi "normali" quelli derivanti da conflitti armati; ha accelerato la crisi delle politiche migratorie europee, fomentando paure e xenofobie a favore di forze nazionaliste.

Ad oltre due settimane di distanza, possiamo chiederci se gli attacchi di Parigi hanno contribuito anche loro ad accelerare i processi in corso: la risposta sembra positiva. Le ripercussioni all’interno dell’Europa non sono qui oggetto di analisi, ma sembra che purtroppo aumenti il giro di vite sostanziale sulle libertà nello spazio pubblico e privato, se non addirittura tramite una modifica costituzionale come in Francia. L’esperienza di Bruxelles è un banco di prova e probabilmente sarà usata come un precedente. Anche per quanto riguarda il conflitto in Siria e contro Daesh (acronimo arabo per l’organizzazione dello Stato islamico in Iraq e nel Levante – Siria), gli attentati di Parigi stanno spinto il governo francese verso le posizioni di compromesso di Mosca e Washington.

Il punto diplomatico di convergenza è la formula di compromesso e di mediazione raggiunta alla conferenza di Vienna di fine ottobre 2015. Nella sostanza si riprende quanto delineato negli incontri precedenti di Ginevra I e II con due differenze sostanziali: la partecipazione formale dell’Iran dopo l’accordo sul nucleare del luglio 2015; l’idea che il ritiro di Bashar al Assad non sia precondizione ai negoziati e al processo di transizione ma parte, possibile, di quest’ultimo. Con riluttanza, perché presi alla sprovvista dall’intervento diretto russo e ormai convinti che l’Iran non sia più un nemico da contenere, gli Stati Uniti si sono mossi gradualmente verso le posizioni di Mosca: posizioni che di fatto sono condivise con le diplomazie di Italia, Germania, Egitto, Giordania e Regno Unito.

Assieme a Turchia e Paesi arabi del Golfo, la Francia si è sempre schierata nel gruppo dei "falchi": ha deciso di sostenere le loro ossessioni anti-iraniane, mettendosi di traverso anche durante i negoziati sul nucleare e accettando l'idea che fosse giusto sostenere qualsiasi forza anti-Assad e anti-Iran nel campo di battaglia siriano, perfino se salafite-jihadiste. La cosiddetta “diplomazia dei contratti” ha attratto in Francia cospicui investimenti dai Paesi arabi del Golfo, ha permesso la firma di importanti contratti per la vendita di armi nonché l’apertura della base militare di al Dhafra ad Abu Dhabi. Parigi si è dunque ritagliata un ruolo di partner affidabile per le monarchie arabe del Golfo, sottovalutando forse l’impatto che questo tipo di alleanze politiche può avere tanto a livello regionale che interno. Questa posizione era condivisa in sostanza anche con gli Usa finché non si è giunti all'accordo sul nucleare con l'Iran nel luglio scorso. Ottenuto un buon risultato, Washington ha deciso che non è più necessario tenere Teheran sotto attacco in Siria. L'avvicinamento lento, difficile ma sensibile tra Mosca e Washington sul dossier siriano ha ristretto i margini di manovra di Parigi. Per non essere esclusa dai giochi, il governo francese inizia allora a bombardare Daesh anche in Siria, senza peraltro grandi risultati sul campo.

Infine, gli attentati di Parigi. Il governo francese dichiara "guerra" a Daesh, bombarda Raqqa, la capitale de facto dell'organizzazione, e si coordina in modo più stretto con la Russia. Nei colloqui di Vienna e del G20 in Turchia del 15-16 novembre, Parigi continua a sostenere la rimozione di al Assad ma accetta l'idea che la fine del presidente siriano non sia il pre-requisito per dare inizio ai negoziati e imporre una transizione politica in Siria, bensì sia uno degli elementi da costruirsi e verificarsi nel corso del processo. Parigi si allinea così al trend internazionale, cercando di cavalcarlo nella speranza di poterlo influenzare nel momento opportuno.

Una delle ultime fonti di resistenza alla convergenza internazionale nella lotta contro Daesh rimane invece la Turchia del presidente Erdogan. Immobile nell’obiettivo di destituire l’ex-amico Bashar al Assad e nell’impedire alle forze curde progressiste (tanto siriane quanto turche) qualsivoglia autonomia, Ankara continua a giocare al rialzo il prezzo del proprio intervento contro Daesh. Le forze curde siriane e quelle statunitensi, infatti, preparano un attacco contro la capitale di Daesh, Raqqa: il passaggio e il sostegno, almeno logistico, della Turchia sarebbe di grande aiuto, ma si scontra con il rifiuto di Erdogan. Abituato a radicalizzare il conflitto per raggiungere i propri risultati, il Presidente turco cerca ora di sabotare la converenza tra Stati Uniti e Russia. Esercito siriano e russi marciano nel nord-ovest della Siria contro le posizioni dei ribelli anti-Assad più legati ad Ankara, tra cui le milizie siro-turkmene e Jabhat al Nusra (al Qaida in Siria).

L’abbattimento nell’area del Sukhoi SU-24 russo il 24 novembre è un evento molto pericoloso che, indipendentemente dall’esatto svolgimento dei fatti, viene sfruttato da Ankara per allineare i Paesi Nato al suo fianco. D’altra parte, Mosca contrattacca esponendo le ambiguità e le connivenze degli alleati europei e Usa. La richiesta turca alla Nato rimane quella di legittimare il suo intervento militare in Siria, nei fatti contro i curdi siriani o l’esercito siriano e i suoi alleati, russi compresi: con grande piacere per Daesh, si rischia lo scontro diretto tra Nato e Russia in terra siriana. D’altro canto, la richiesta all’Italia di aumentare la propria presenza in Libano per permettere a Parigi di intervenire in Siria è però pericolosa in quanto le forze francesi non possono svolgere alcun ruolo di mediazione e interposizione perché da tempo troppo schierate contro al Assad. Il drammatico precedente della missione in Libano nel 1983 forse è stato dimenticato.

Vedremo a breve se gli attacchi di Parigi e la crisi russo-turca contribuiranno ad accelerare la convergenza internazionale, mettendo all’angolo le posizioni più radicali, o al contrario acuiranno le divergenze, fomentando gli interessi particolari e permettendo a Daesh di uscire dall’assedio in cui si trova oggi.

 

 

[Questo articolo è stato pubblicato anche su Mentepolitica]