I congedi di maternità e parentali sono stati uno strumento fondamentale per aiutare le donne a non rinunciare al proprio lavoro quando nascono i figli. Il congedo di maternità è stato introdotto in Italia nel 1971, prevalentemente come tutela della salute della lavoratrice madre. La legislazione vigente prevede per la lavoratrice dipendente un’astensione obbligatoria dal lavoro di 5 mesi (di cui almeno uno prima del parto), durante i quali viene pagata un’indennità pari all’80% della retribuzione media giornaliera, aumentata al 100% per il pubblico impiego e per alcune categorie di privati, a seconda del contratto collettivo. Rispetto agli altri Paesi europei il congedo di maternità italiano è sufficientemente lungo e relativamente ben pagato.
Tuttavia esistono categorie di lavoratrici non completamente tutelate: alle lavoratrici autonome, così come alle lavoratrici parasubordinate, spetta, infatti, un’indennità calcolata sul reddito dell’anno precedente, ma non vi è alcun obbligo di astensione dal lavoro come accade per le dipendenti. Le nuove forme contrattuali, molto diffuse proprio tra i giovani e tra le giovani in particolare, forniscono garanzie minori in caso di maternità rispetto ai contratti a tempo indeterminato. Il quadro che ne emerge è, quindi, quello di una riduzione nel tempo della tutela della maternità in Italia e di un’incapacità di adeguare le norme alle evoluzioni del mercato del lavoro.
Il congedo parentale è stato invece introdotto nel 1977, in tempi simili a quelli di molti Paesi europei, ma è stato esteso al padre con la direttiva (n. 96/34/Ce) del 3 giugno 1996 del Consiglio dell’Unione europea.
Dai confronti internazionali emerge che l’Italia si trova in una posizione intermedia per quanto riguarda la durata del congedo, ma la legislazione è assai poco generosa in termini di retribuzione sostitutiva. Il congedo parentale, così come risulta oggi, è dato ai genitori per un periodo complessivo di 10 mesi, che diventano 11 qualora il padre usufruisca di almeno 3 mesi di congedo.
Congedi parentali in Europa
|
Congedo di maternità (durata in settimane) |
Congedo di maternità (% di salario percepita) |
Congedo parentale (durata in (mesi) |
Congedo parentale (% di salario percepita) |
Congedo di paternità (durata in giorni) |
Francia |
16* |
100 |
36 |
42,4 |
11 |
Italia |
21 |
80 |
11 |
30 |
- |
Regno Unito |
26 |
46 |
6 |
15,3 |
14 |
Spagna |
16 |
100 |
36 |
7,3 |
3 |
Svezia |
15 |
80 |
18 |
66 |
77 |
*26 settimane per il 3° figlio.
Fonte: dati Ce e Ocse.
L’opportunità di un mese in più ha la precisa finalità di incentivare il lavoratore padre a usufruire del congedo parentale, tale congedo può essere utilizzato nei primi 8 anni di vita del bambino. Ai lavoratori dipendenti viene corrisposta un’indennità per astensione facoltativa pari al 30% della retribuzione media giornaliera fino al terzo anno di vita del bambino.
Nonostante le opportunità ai padri, nel 2009 solo 24 mila padri contro oltre 253 mila madri hanno usufruito in Italia del congedo parentale, e i dati mostrano che l’utilizzo da parte dei padri cresce con il loro livello di istruzione. Oggi i dati Istat mostrano che solo una bassissima percentuale di padri, il 7% usufruisce del congedo parentale nei primi due anni di vita del bambino,di ben al di sotto della media europea, che è del 30% (in Svezia si arriva al 69% e in Finlandia al 59%).
La spiegazione per il limitato utilizzo da parte dei padri sta senza dubbio nella scarsa abitudine e informazione tra i lavoratori rispetto a questo tipo di congedo, ma anche nel fatto che un’indennità pari solo al 30% del salario rende economicamente conveniente per le famiglie la scelta di far prendere il congedo a chi ha il salario più basso, tipicamente la donna. Recentemente è stato mostrato che un incremento della durata del congedo parentale produce un aumento della probabilità di lavorare e di ritornare al lavoro delle mamme (soprattutto per le donne più istruite) e i congedi part-time presi simultaneamente da ambedue i genitori (sull’esempio di Svezia e Norvegia) potrebbero contribuire a ridurre l’impatto negativo sulla carriera e sui salari delle madri. In questo modo si ridistribuiscono su ambedue i genitori i costi dei congedi parentali sulle carriere lavorative.
Per quanto riguarda il congedo obbligatorio, dal 2001 i padri hanno diritto a usufruire del congedo di maternità nei casi di decesso della madre, di sua grave disabilità, di abbandono del bambino o in caso di coppie separate o divorziate se al padre è affidata la custodia del bambino.
Nel 2010 una direttiva europea impone a tutti gli Stati membri di introdurre 2 settimane obbligatorie di congedo di paternità: oggi in Italia non esiste il congedo di paternità, cioè un periodo riservato ai padri, mentre invece è presente in quasi tutti gli Stati europei con diverse durate, dai tre giorni della Spagna agli undici giorni della Francia. Il congedo di paternità appare finalmente nel ddl di riforma del mercato del lavoro all'art. 56 in cui si introducono, in via sperimentale dal 2013 al 2015, tre giorni di congedo di paternità obbligatorio. Questa proposta va nella direzione giusta, ma è decisamente troppo limitata. Le “quote azzurre” dei padri, sia nel congedo obbligatorio sia nel congedo facoltativo, devono essere di una misura che possa contribuire a cambiare l’esperienza dei padri e ridurre le asimmetrie nella coppia al di la dei messaggi simbolici.
Se sia il congedo obbligatorio sia quello parentale saranno più condivisi da ambedue i genitori, ci saranno meno perdite di capitale umano e meno ragioni per le imprese di discriminare le lavoratrici nei loro percorsi di carriera.
La situazione italiana appare, dunque, ancora lontana da quella di altri Paesi europei, che hanno introdotto legislazioni che incentivano esplicitamente la condivisione del lavoro di cura tra i genitori nei primi anni di vita del bambino, a tutela di una presenza continuativa delle lavoratrici madri sul mercato del lavoro.
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