Profumo di cambiamento. Le elezioni rappresentano, per il sistema politico messicano, ma più in generale per la vita politica e sociale dell’intero Paese, un appuntamento cruciale che va al di là delle proprie implicazioni politiche. È come se l’intera società accelerasse i suoi tempi con cadenza precisa ogni sei anni. L’appuntamento elettorale, su cui si sta lavorando già da mesi, è previsto per il 1° luglio 2012, quando gli elettori saranno chiamati a esprimere il proprio voto per il presidente della Repubblica. Il sistema elettorale messicano, gestito magistralmente dall’Instituto Federal Electoral (Ife), si mette in moto puntualmente ogni sei anni, allo scadere del mandato presidenziale, senza possibilità di ricandidature. Le ultime due tornate elettorali si sono svolte in un clima politico acceso ma, a differenza delle precedenti, sostanzialmente corretto. I brogli del 1988 e la violenza politica del 1994 sembrano ormai appartenere a un passato lontano nella memoria politica del Paese.
Fra i molti partiti politici presenti sulla scena elettorale tre sono i protagonisti: il Pri, Partido Revolucionario Institucional, il partito-Stato che ha gestito il potere dalla fine della fase armata della Rivoluzione messicana al 2000; il Pan, Partido de Acción Nacional, il partito attualmente al governo, di orientamento di centrodestra, e infine il Prd, il Partido de la Revolución Democrática, di sinistra. Tra i fondatori di quest’ultimo Cuauhtémoc Cárdenas, figlio del più amato fra i presidenti post-rivoluzionari ed eterno sconfitto elettorale. I candidati alle presidenziali sono, per il Pri, Enrique Peña Nieto, ex governatore dello Stato di Messico; per il Pan, Josefina Vázquez Mota, già capogruppo dei deputati panisti alla Camera; per il Prd, Andrés Manuel López Obrador, figura storica del partito e leader indiscusso, dopo lo stesso Cárdenas. I diversi sondaggi prevedono al primo posto il candidato del Pri, al secondo quello del Pan e al terzo quello del Prd. Cambiano i numeri, ma le posizioni rimangono queste. Se così fosse, il Pan pagherebbe il prezzo più alto, in termini elettorali, dell’attuale congiuntura in cui versa il Paese, soprattutto per la lotta al narcotraffico.
Nelle elezioni del 2000, che hanno visto la fine del dominio elettorale del Pri, il Pan si presentava come sinonimo stesso del cambiamento. Nei giorni precedenti alle elezioni, un gruppo di simpatizzanti del Pan ebbe la bizzarra idea di diffondere in uno dei punti più inquinati della metropoli il “profumo del cambiamento”. Vale a dire, attraverso speciali diffusori posizionati su una jeep, percorreva l’anillo periférico, una sorta di mega-raccordo anulare, diffondendo nell’aria la fatidica essenza. Al di là dell’originalità dell’idea, il sapone liquido, depositandosi sull’asfalto, provocò una serie di tamponamenti a catena. Oggi, del cambiamento, e del suo profumo, non rimane che un vago ricordo. Due presidenti e dodici anni di gestione del potere hanno trasformato definitivamente il Pan da forza di opposizione a forza di governo.
Il Pri, invece, negli ultimi due mandati, da storica forza di governo si è visto relegare nell’inconsueto ruolo di partito di opposizione, perdendo terreno anche sul piano della credibilità. A questo si aggiunge anche la difficoltà nella scelta dei candidati. Qualche tempo fa, il candidato del Pri, Enrique Peña Nieto, in una gaffe memorabile ha confuso il nome dell’autore de Il Trono dell’Aquila, Carlos Fuentes, più volte candidato al Nobel, con quello di Enrique Krauze, storico di fama internazionale: in pratica due colossi della cultura messicana contemporanea. Il romanzo avveniristico prende spunto dal blocco delle usuali comunicazioni via etere, dove gli uomini di potere sono costretti, loro malgrado, a mettere nero su bianco gli intrighi e le meschinità di una classe politica che ha come unica aspirazione quella di occupare il “trono” del presidente. Di questo passo, Carlos Fuentes si assicurerebbe il titolo – di sicuro effetto – del suo prossimo romanzo: Il Trono della Quaglia.
Riproduzione riservata