1. Dopo le sconfitte del 4 marzo e delle elezioni amministrative da più parti si è auspicata una riflessione critica del gruppo dirigente del Partito democratico. Le proporzioni della perdita di consenso, anche in aree di radicamento storico, fanno pensare che questa riflessione non sia che la premessa di una vera e propria ricostruzione della presenza politica della sinistra riformista. Quali sono le questioni più importanti che andrebbero affrontate in questa fase?
Ricostruire significa in primo luogo ripensare. Partirei dunque dalla cultura politica e dall’organizzazione. Da troppo tempo (ben prima della segreteria di Renzi) il Pd si è abbandonato a una deriva disgregativa che non si può giustificare con l’argomento secondo cui i partiti novecenteschi sono finiti. Questo è vero, ma allora bisogna mettere in campo una nuova forma organizzativa, che usi sino in fondo e in modo politico le nuove tecnologie (sull’organizzazione Mauro Calise ha scritto cose chiarissime e indiscutibili che sottoscrivo). Non bastano i tweet. Non possiamo pensare che il partito di oggi sia un’entità che a livello nazionale produce solo dichiarazioni e annunci, mentre a livello locale produce sistemi di potere, più o meno corrotti o corruttibili secondo i casi. Bisogna ritrovare, nelle forme nuove che la società di oggi richiede, un soggetto plurale e aperto, ma capace di interpretare un progetto unitario.
Non meno importante, anzi forse persino più importante ancora, è la cultura politica: grande buco nero del Pd dalla sua nascita, ma dovremmo dire della sinistra italiana nella sua totalità. Una sinistra che è passata attraverso svolte anche estremamente significative – la fine del Pci, la costruzione dell’Ulivo, la delineazione di una prospettiva di centrosinistra. Il tutto senza mai fare bilanci o rivisitazioni, neppure di un’esperienza così particolare come quella comunista. Neanche del berlinguerismo. E non parliamo dell’esperienza socialista. Non avere affrontato un bilancio critico del proprio passato ha reso il Pd estremamente fragile di fronte al compito di governare in condizioni di difficoltà come quelle degli ultimi cinque anni. Oggi ci troviamo al cospetto di due gravi sconfitte, 2016 e 2018, senza strumenti per riflettere. E senza gruppo dirigente. Del resto come potrebbero formarsi dirigenti in una simile carenza di organizzazione e di cultura politica? Il Pd è praticamente ammutolito; altro intorno a lui non sembra crescere.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 4/18, pp.645-649, è acquistabile qui]
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