«Sì, Claudine, abbiamo vinto, ma solo temporaneamente. Basterà una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Sono diritti che non sono acquisiti per sempre. Bisognerà restare vigili, per tutta la vita». Così puntualizzava Simone de Beauvoir in una conversazione con la scrittrice e militante Claudine Monteil, in seguito alla legalizzazione dell’aborto in Francia.
Parole che sono state riprese negli ultimi mesi, in Francia, nel clima scaturito dalla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire il diritto federale all’aborto: in reazione, diverse personalità politiche hanno rilanciato, per la terza volta dopo i tentativi mancati del 2017 e 2019, la discussione per iscrivere l’aborto della Costituzione francese. La legge oggi fa parte del Codice della salute pubblica e può essere abrogata tramite un’altra legge semplice; se diventasse parte della Costituzione, le modifiche diventerebbero materia da Consiglio costituzionale.
Tre diverse proposte sono state discusse, emendate, rifiutate negli ultimi mesi, finché l’Assemblée nationale, lo scorso 24 novembre, ha votato (337 favorevoli, 32 contrari e 18 astenuti) una proposta che dice che la legge «garantisce l'effettività e la parità di accesso al diritto all'interruzione volontaria della gravidanza». Ciò non significa che passerà la modifica costituzionale – si tratta di mettere in atto passaggi istituzionali complessi – ma il dibattito illustra bene il clima politico, culturale e sociale che sta vivendo il Paese. Se venisse approvata, la Francia sarebbe il primo Paese al mondo a iscrivere l’aborto nella sua Costituzione.
Questo dibattito, il trasporto e l’indignazione per la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti e i continui scandali legati alla violenza sulle donne sono particolarmente carichi di significato. Specialmente in questo 2022, anno in cui ricorre un anniversario fondamentale per la Francia: i 50 anni dal «processo di Bobigny»: tre anni dopo, nel 1975, verrà votata la legge Veil, che ha reso legale l’interruzione volontaria della gravidanza nel Paese.
Tenutosi tra l’ottobre e il novembre del 1972, il processo è in realtà composto da due sedute separate: il primo vede imputata Marie-Claire Chevalier, 17 anni, e il secondo altre quattro donne – la madre di Marie-Claire, Michèle, di mestiere poinçonneuse alla metropolitana parigina (la persona che validava a mano i biglietti, mestiere scomparso celebrato da una canzone di Gainsbourg), due colleghe di Michèle che l’hanno aiutata a trovare la donna che ha praticato l’aborto su Marie-Claire e, appunto, l’abortista. Marie-Claire rimane incinta in seguito a uno stupro subito a 16 anni. Particolare grottesco e inaudito: viene denunciata dal suo aggressore, arrestato perché coinvolto in un furto.
L’avvocata del processo di Bobigny è la franco-tunisina Gisèle Halimi. Halimi ha difeso dei militanti per l’indipendenza algerina e ha militato in prima persona per la causa; è la sola avvocata ad aver apposto pubblicamente la sua firma sul Manifesto delle 343, pubblicato nel 1971 dal «Nouvel Observateur» e firmato da 343 donne che chiedono la legalizzazione dell’aborto affermando di esservi ricorse («Io ho abortito») ed esponendosi alle possibili conseguenze legali. Tra le firmatarie anche Simone de Beauvoir, Catherine Deneuve, Marguerite Duras, Brigitte Fontaine e Claudine Monteil, la più giovane tra le aderenti.
Halimi è anche fondatrice, insieme a Simone de Beauvoir e Jean Rostand, dell’associazione «Choisir la cause des femmes», che ha portato avanti le battaglie pubbliche sull’Ivg. Su Gisèle Halimi, per dare la misura dello statuto della persona, c’è un dibattito per l'entrata al Panthéon, riaperto proprio dal dibattito sull’Ivg nella Costituzione: a fare da freno, il suo netto profilo di militante e la questione algerina. Simone Veil, che ha dato il nome alla legge, è entrata nel tempio dei grandi di Francia nel 2018, a un anno dalla sua morte.
Il processo di Bobigny arriva in una Francia straziata e dolorante: ogni anno circa un milione di donne francesi ricorreva all’aborto. A morirne, o a pagarne le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali, erano le donne delle classi popolari
Il processo di Bobigny arriva in una Francia straziata e dolorante: ogni anno circa un milione di donne francesi ricorreva all’aborto. A morirne, a rovinarsi la vita, a pagarne le conseguenze fisiche, psicologiche e sociali erano le donne delle classi popolari che arrivavano in ospedale in seguito alle conseguenze disastrose di pratiche raffazzonate: insultate e umiliate dal personale, colpevolizzate, sottoposte al raschiamento spesso praticato (non per ragioni mediche) senza anestesia.
Halimi ne fa un processo politico, immediatamente: «Mai come oggi mi sono sentita, in aula, accusata e avvocata allo stesso tempo», dichiara durante l’arringa. Halimi ha abortito due volte: «Ho abortito. Lo dico. Signori, sono un'avvocata che ha infranto la legge». E parla senza mezzi termini di una vera – reale, terribile, violenta – «giustizia di classe», che si iscrive e segna i corpi delle donne delle classi popolari, mentre le altre, quelle che potevano permetterselo, andavano in Svizzera o Inghilterra, nell'ipocrisia generale.
Il processo di Bobigny è stato quello dei grandi testimoni. Persone del mondo della cultura, della scienza, dello spettacolo, persone venute a portare una testimonianza politica: Simone de Beauvoir è passata alla sbarra, così come le attrici Delphine Seyrig e Françoise Fabian, entrambe con un’interruzione di gravidanza alle spalle; Michel Rocard, fondatore del Partito socialista unificato, i premi Nobel della medicina Jacques Monod e François Jacob, e il presidente del Planning familial, Simone Iff.
E un ultimo, fondamentale testimone, la cui storia merita di essere citata: Paul Milliez. Paul Milliez è un medico e un ex resistente, noto per l’impegno politico (contro l’Algeria francese, tra le altre cose). È anche un cattolico praticante, padre di sei figli, formato dai gesuiti, un uomo che aveva pensato al seminario. Halimi sa che una voce cattolica è necessaria. E infatti l'intervento di Milliez pesa grandemente non solo sull’evoluzione del processo, ma nel cambio di orientamento dell’opinione pubblica.
Modifica anche la sua esistenza, però: «Se la signora Chevalier fosse venuta da me, l'avrei sicuramente aiutata», dice in aula quest’uomo profondamente contrario alla legalizzazione dell’aborto. Millez racconta, durante il processo, di aver fatto abortire delle donne arrivate da lui in condizioni gravi, in seguito a pratiche abortive clandestine. Il presidente del tribunale gli fa notare che si tratta di riparare le conseguenze di un atto, non di praticare un aborto: «Se non fossi intervenuto, la gravidanza avrebbe continuato il suo corso. Non posso dirvi che ho agito senza problemi di coscienza. Ma penso che il mio dovere sia quello di aiutare una donna nella situazione complicata nella quale si trova. [...] Da allora ho favorito diversi aborti, non solo terapeutici, ma anche sociali».
In seguito al processo, Millez viene convocato dal ministro della Salute, il gaullista Jean Foyer, in presenza del presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici, per informarlo del loro disappunto rispetto alla posizione sostenuta durante il processo: l’ingiustizia che vivono le donne delle classi popolari «non è una ragione perché i vizi dei ricchi diventino anche i vizi dei poveri», sostiene il ministro. Millez riceverà, il giorno successivo, una reprimenda pubblica: viene allontanato, isolato e la sua posizione – «Non vedo perché noi cattolici dovremmo imporre la nostra morale a tutti i francesi» – la paga cara: messaggi con insulti, aggressioni a lui e alla sua famiglia. Ai quali si aggiungono centinaia di lettere di donne che gli chiedono aiuto e che «Le Monde Diplomatique» ha pubblicato in occasione di questo anniversario: lettere che raccontano di una Francia in sofferenza, una Francia dove, nonostante fosse legale dal 1967, non è facile l’accesso alla contraccezione.
La sentenza è emessa il 22 novembre 1972: Michèle viene multata di 500 franchi con sospensione della pena, le due colleghe sono assolte e l'abortista riceve una condanna a un anno di carcere con sospensione della pena. Sentenze leggere per l'epoca: una vittoria.
Dalle 518 condanne per aborto registrate nel 1971, si passa a 288 nel 1972, per scendere a poche decine (con una forte diminuzione dei decessi) nel 1973, anno in cui è pubblicato il Manifeste des 331 sul «Nouvel Observateur», una petizione firmata da 331 medici che affermano di aver praticato aborti nonostante il divieto imposto dalla legge francese. Questo manifesto fa eco a quello delle 343.
La legge Veil, sull'interruzione volontaria della gravidanza, arriva nel 1975, nello stesso anno in cui viene approvata in Austria e tre anni prima che in Italia. In Finlandia (1970), Danimarca (1973) e Svezia (1974) ci erano già arrivati. E nel Regno Unito l’Abortion Act è del 1967. Ma in Europa diversi sono i Paesi che hanno legalizzato l’aborto solo in un passato recente: in Spagna nel 2010, in Lussemburgo nel 2014, a Cipro e in Irlanda nel 2018. In Polonia è fortemente ristretto, a Malta resta illegale.
La legge francese quest’anno è stata modificata per portare a 14 settimane il termine ultimo per praticare una Ivg: questo diritto vale per tutte le donne, anche minorenni senza l’accordo della famiglia, o non francesi
La legge francese quest’anno è stata modificata per portare a 14 settimane il termine ultimo per praticare una Ivg: questo diritto vale per tutte le donne, anche minorenni senza l’accordo della famiglia, o non francesi. Il costo è rimborsato completamente dal Servizio sanitario nazionale. Un sondaggio pubblicato il 29 novembre (anniversario del primo voto in Parlamento della legge Veil) racconta che il 77% dei francesi sono favorevoli all’aborto (erano il 47% negli anni Settanta): l’86% degli intervistati, destra e sinistra non importa, approva la costituzionalizzazione del diritto all’Ivg.
Come dovunque, una cosa è la legge, un'altra sono la pratica e l’accesso: anche in Francia esiste l'obiezione di coscienza (anche se il ministero non è in grado di fornire dati specifici) per il personale che può praticare una Ivg; anche in Francia esistono zone dove l’accesso alla salute (generale e quindi anche sessuale e riproduttiva) è estremamente difficile, a volte quasi impossibile. Nella pratica significa attese troppo lunghe, distanze troppo importanti; significa la chiusura, negli ultimi 15 anni, di 130 centri del Planning familial, così come, negli ultimi 10 anni, sono 45 gli stabilimenti ospedalieri dove si praticavano Ivg (ma non solo), che hanno chiuso.
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