Una polemica post vacanze estive ha infiammato la stampa d’Oltralpe: al centro del dibattito, tra social, giornali e chiacchiere da aperitivo, ci sono la carne e il suo consumo. Non in termini di impatto ambientale – sappiamo bene che la carne rossa, o meglio i metodi di allevamento intensivi, sono responsabili di quasi la metà delle emissioni agricole –, né per questioni di salute – il rapporto tra consumo di carne rossa e alcuni tipi di tumori – ma in termini di genere, ecologia e mascolinità.

Lo scorso 27 agosto, la deputata di Europe Écologie Les Verts Sandrine Rousseau ha sostenuto che bisogna «cambiare mentalità, affinché mangiare una bistecca al barbecue non sia più un simbolo di virilità». Rousseau non è nuova né alle polemiche, né ai buzz: si definisce «ecofemminista» ed è attaccata, da destra (e anche da sinistra), come rappresentante dello spettro che si aggira in Europa, la cultura «woke».

Per questa frase, che pecca forse in complessità, Rousseau si è vista rivolgere qualsiasi tipo di commento, da parte degli scandalizzati –  «grottesco» –, dei preoccupati della «decostruzione dei nostri uomini», di chi l’ha sbeffeggiata – «Et alors?» –, sino alla lettura vetero-marxista di Fabien Roussel, leader del Partito comunista francese – «Non possiamo certo parlare del sesso delle bistecche, il consumo di carne si fa in funzione di quello che ho nel portafogli, non nelle mutande».

«La bistecca fa parte della stessa mitologia sanguigna del vino. È il cuore della carne, è la carne allo stato puro e chi la assume ne assimila la forza taurina», scriveva Roland Barthes nelle sue Mythologies negli anni Cinquanta. Negli anni Settanta il sociologo Pierre Bourdieu ne La Distinzione, annotava: «La carne, alimento nutriente per eccellenza, forte e che dà forza, vigore, sangue, salute, è il piatto degli uomini, che ne mangiano il doppio, mentre le donne si aiutano con una piccola porzione».

D’altronde, che la carne celi (e nemmeno tanto) una mitologia non è certo cosa nuova. Così come non è nuovo che un ordine simbolico si celi dietro una costruzione sociale. Nel Medioevo, per esempio, in alcune diete monacali la carne era quasi o del tutto eliminata, perché ritenuta una pericolosa scorciatoia verso il cammino della perdizione della carne, in quanto la carne chiamerebbe altra carne.

Esiste poi una questione di status quo che riguarda la capacità di consumo: « Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta la carne, soprattutto se rossa, simboleggiava sia il progresso sociale sia l'accesso al benessere», spiega il sociologo Jean-Pierre Poulain su «Le Monde». «Il modello alimentare contadino si basava su zuppa e pane. Alla fine della Seconda guerra mondiale, il pasto borghese, che si è progressivamente imposto in tutta la società, si articolava intorno a un antipasto, un dessert e, soprattutto, un piatto a base di carne».

La giornalista Nora Bouazzouni ha pubblicato nel 2021 un intero libro sul mito della donna vegetariana e dell’uomo carnivoro – Steaksisme: en finir avec le mythe de la végé et du viandard –, un mito che è culturale, ma che ha anche impatti e costi sociali ed economici: «Le donne sono sottoposte all'ingiunzione di essere magre. Fin da piccole viene loro insegnato che devono stare attente a ciò che mangiano. Il cibo è associato a imperativi di salute e nutrizione. (...) Gli uomini, invece, sono educati all'aspetto edonistico e l'abbondanza. Questo si riproduce nelle famiglie: i piatti delle figlie adolescenti sono controllati di più di quelli dei maschi; avere un grande appetito è considerato normale nei ragazzi, non nelle ragazze».

La frase di Rousseau non ha sollevato solo uno storm di tweet con immagini di salsicce e bistecche, ma ha permesso di aprire una discussione per parlare di transizione alimentare, salute pubblica e mascolinità

La frase di Rousseau non ha sollevato solo uno storm di tweet con immagini di salsicce e bistecche, ma ha permesso di aprire una discussione per parlare di transizione alimentare, salute pubblica e di mascolinità. Sulla stampa diverse tribune hanno cercato di aprire una riflessione sulla questione, portando dati e parlando del rapporto tra ecologia e femminismo: Riconoscere che gli uomini mangiano più carne delle donne è un progresso per la salute e il clima, titola «Le Monde»; «Sandrine Rousseau ha ragione, il barbecue resta un totem virile», scrive «Libération».

E poi sono arrivati i numeri, pubblicati da quasi tutti i grandi media, che raccontano come queste abitudini alimentari, oltre che culturali, siano lo sfondo dei nostri pasti.

Secondo l'ultimo Etude individuelle nationale des consommations alimentaires, pubblicato nel 2017 dall'Agenzia francese per la sicurezza sanitaria (Anses), gli uomini mangiano il 50% in più di salumi rispetto alle donne (34,2 grammi al giorno in media per gli uomini, rispetto ai 20,9 grammi per le donne) e quasi il doppio di carne (escluso il pollame): 61,2 grammi al giorno, rispetto ai 34,1 per le donne.

Uno studio pubblicato nel novembre 2021 su «Plos One», basato sulle abitudini alimentari di 212 britannici, afferma che una dieta vegetariana emette il 59% in meno di gas serra rispetto a una dieta convenzionale. In media, la dieta degli uomini presi in esame ha avuto un impatto ambientale maggiore del 41% rispetto a quella delle donne, soprattutto a causa della differenza nel consumo di carne e, in misura minore, di alcool. Nel mondo le persone che hanno adottato un regime vegetariano sono in maggioranza donne. Il rapporto del Gruppo intergovernativo sul Cambiamento climatico (Ipcc) nota che il consumo di carne, più forte tra gli uomini, ha un impatto climatico rilevante.

Last but not least , il consumo di carne è diverso anche tra il Nord e il Sud del mondo: per esempio, un europeo o un nord-americano consuma in media dalle sei alle dieci volte più carne che un africano e due volte di più che un asiatico (dati «Le Monde», giugno 2022).

Infine, uno studio ha davvero toccato il nervo scoperto: il rapporto tra carne e virilità. Magari quella tossica. In seguito alla polemica, l’Ifop (l’Istat francese) si è infatti chiesto chi sono i consumatori di carne, che cosa pensano delle donne e, anche, che cosa votano. Carne, genere e politica è un sondaggio realizzato per l’osservatorio Darwin Nutrition su un campione di 2.033 uomini a partire dai 18 anni, i cui risultati hanno stupito perfino il direttore del polo Politica/Attualità dell'istituto, François Kraus. Su «Le Parisien» Kraus afferma che le idee sessiste sono sovrarappresentate tra chi si autodefinisce «très viandard», un “grande consumatore di carne”: «Raramente abbiamo visto risultati con differenze così marcate. Personalmente, non me l'aspettavo».

Uno studio ha davvero toccato il nervo scoperto: il rapporto tra carne e virilità. Magari quella tossica. In seguito alla polemica, l’Ifop (l’Istat francese) si è infatti chiesto chi sono i consumatori di carne, che cosa pensano delle donne e, anche, che cosa votano

Per esempio: il 21% degli uomini concorda con la seguente affermazione: «In una coppia è normale che la donna svolga più attività domestiche dell'uomo». Parliamo di un uomo su cinque tra gli intervistati, ma il tasso di approvazione sale al 47% per coloro che mangiano carne rossa quotidianamente (rispetto al 19% dei consumatori settimanali). O ancora: «Per sedurre, un uomo deve essere libero di importunare una donna che gli piace». Questa affermazione raggiunge il 38% dei consensi tra i consumatori giornalieri di carne o selvaggina, contro il 18% degli altri. E infine: «Un "no" a volte significa "sì" nel caso di una relazione sessuale». Qui abbiamo il 36% per chi dice di mangiare "tanta carne", contro il 15% di chi ne limita il consumo.

Dunque, chi votano queste persone?

Chi consuma molta carne politicamente è soprattutto molto a destra, o molto a sinistra (anche se non sono specificati i partiti di riferimento). «In questo 15% di ultrasessisti, abbiamo il tipo urbano e quello rurale. I primi sono per lo più giovani uomini di periferia, portati da un senso di identità. Il legame tra identità e virilità è, infatti, centrale. Prima mettevamo in mostra i muscoli e l’auto di grossa cilindrata, ora è la costata di manzo», dice Kraus. 

E chi vive in aree suburbane o rurali? «Mescolano le idee di patrimonio culinario, tradizione e nazione, e sono molto di destra. Tutti rifiutano il politicamente corretto dell'alimentazione, che incoraggerebbe le persone a mangiare più verdure. I messaggi sulla salute sono lasciati alle donne o ai "fighetti" (“bobo”)», spiega il responsabile dell'Ifop.

Il consumo di carne, specifica Kraus, non basta da solo, naturalmente, a raccontare il grado di conservatorismo della società francese ma, secondo questo sondaggio, «il consumo (eccessivo) di carne rossa o di selvaggina, soprattutto se associato a determinate caratteristiche socioculturali (classe operaia, ruralità, basso livello di istruzione ecc.), va di pari passo con un rapporto molto conservatore rispetto alle donne, al mondo e al pianeta. Sarebbe una scorciatoia un po’ ottusa dire che l'amore smodato per la carne è intrinsecamente legato a un sessismo altrettanto smodato, e l’affermazione è contraddetta dal sondaggio, che mostra come un alto numero di uomini amanti della carne sia allo stesso tempo ostile al sessismo. Ma in certi ambienti operai, rurali o identitari, il gusto per questo simbolo di forza e potere è effettivamente l'espressione di una forma di mascolinità egemonica, che risponde senza dubbio al bisogno di mostrare simbolicamente una virilità spesso minata da un relativo fallimento sociale».

Il 60% degli intervistati si dice d’accordo o piuttosto d’accordo con l’affermazione che mangiare carne sia un simbolo di virilità. E non è difficile da credere. Come spesso accade, sentiamo solo chi urla più forte, chi riempie i social di foto di salsicce e donne in bikini, chi è toccato nel nervo scoperto della sua nevrosi, personale e, ahinoi, sociale.