L’altra faccia della migrazione venezuelana è europea. Il 2018 è stato l’anno in cui la profonda crisi economica e politica in cui versa il Venezuela ha mostrato la sua dimensione umanitaria più grave. Le condizioni disastrose del Paese andino, aggravate da un’incontrollata iperinflazione, hanno portato oltre la soglia della povertà circa il 61,2% della popolazione e spinto milioni di venezuelani a fuggire altrove, mettendo a dura prova la capacità di risposta dei Paesi latinoamericani. Secondo dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) attualmente 2,6 milioni di venezuelani risiedono all’estero, circa 1,9 milioni in più rispetto a solo 3 anni fa. Di questi, 1,8 milioni si sono spostati in un altro Paese del Sudamerica.
Il Paese che maggiormente ha subito le conseguenze di tale esodo è indubbiamente la Colombia, le cui cifre ufficiali parlano di 935.593 cittadini del vicino andino, seguita da Perù ed Ecuador che ne hanno finora accolti rispettivamente 414.000 e 209.000. Dei Paesi occidentali, gli Stati Uniti hanno visto aumentare la popolazione venezuelana soprattutto in termini di richieste d’asilo, finora 72.722. In Europa gli arrivi sono stati decisamente più contenuti e interessano soprattutto Spagna, Portogallo e Italia, con 43.038, 429 e 861 arrivi rispettivamente tra il 2016 e il 2017.
Fintanto che la soluzione alla crisi in Venezuela sembra lungi dall’essere raggiunta, il flusso è destinato a continuare, e alcuni esperti prevedono possa raggiungere la cifra scioccante di 4 milioni nei prossimi mesi, ossia circa il 15% della popolazione totale del Paese bolivariano. Si tratta della più grande crisi migratoria mai conosciuta in America Latina, superando di gran lunga il precedente più simile: il quasi milione e mezzo di cubani fuggiti principalmente verso Stati Uniti negli anni Sessanta, in seguito alla rivoluzione di Fidel Castro. Data l’entità e il brevissimo lasso di tempo in cui si sta materializzando, alcuni hanno iniziato a paragonarla alla crisi siriana.
La situazione è aggravata dal fatto che sul poroso confine di 2.219 chilometri che separa Venezuela e Colombia esistono solamente 7 punti di dogana ufficiali e centinaia di trochas, o passaggi illegali, storicamente utilizzati dalle popolazioni confinanti e dai quali diverse migliaia di venezuelani presumibilmente continuano a varcare il confine del vicino, ostacolando la raccolta di dati affidabili.
Un ulteriore fattore sul quale finora si è posta poca attenzione è la presenza in Venezuela di cittadini stranieri o con doppia cittadinanza, in particolari europei. In un discorso tenuto di fronte al Parlamento europeo il 23 ottobre, l’Alta Rappresentante Federica Mogherini ha segnalato che le persone che presentano queste condizioni si aggirerebbero intorno a 1 milione. Sebbene le ultime cifre ufficiali in Venezuela parlino di circa 200.000 cittadini europei residenti nel Paese, a marzo l’allora viceministro italiano per gli italiani all’estero fece riferimento a una comunità italiana di circa 140.000, mentre annunciava un pacchetto di aiuti a 600 famiglie in difficoltà. Nella stessa occasione menzionò che il numero di passaporti rilasciati dal Consolato italiano in Venezuela era cresciuto del 30% nel 2017 e continuava ad aumentare.
Costretti ad affrontare le stesse condizioni catastrofiche, migliaia di cittadini europei e venezolano-europei potrebbero essere in procinto di lasciare il Paese e cercare una vita migliore altrove, incluso ritornando al proprio Paese d’origine. I circa 300.000 colombo-venezuelani che hanno fatto ritorno in Colombia sono stati fatti rientrare nelle statistiche internazionali sotto la voce della migrazione venezuelana. Nelle sue cifre, l’Oim ha riservato lo stesso trattamento per i migranti venezuelani ritornati in Spagna, il 61,3% de quali è già in possesso della cittadinanza spagnola.
Che significherebbe un esodo di decine di migliaia di cittadini europei e rispettive famiglie verso un’Europa in preda a una crisi politica centrata sul tema migratorio? Come verranno aggregati questi dati? Esiste un’enorme differenza in termini di diritti tra cittadini dell’Unione europea e non: come verranno trattate tali disparità? Per i non-cittadini europei, l’opzione che offre maggiori garanzie è sicuramente essere trattati come rifugiati: la Spagna, ad esempio, ha conosciuto un balzo vertiginoso delle richieste d’asilo, ricevendone finora 28.323. È possibile che l’Italia vada incontro a dinamiche simili, visti i legami storici col Paese sudamericano e la consistente comunità italiana ivi presente? Al momento non si dispone di dati sufficienti per fare previsioni affidabili, ma l’entità del fenomeno consiglierebbe di approfondire l’analisi sulla faccia europea della crisi venezuelana.
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