Non tutto è nero e fosco come sembra. All’orizzonte si profila anche qualche buona notizia.
Dopo molto parlare e molto annunciare, infatti, l’adeguamento alla media europea degli stipendi dei (numerosi) parlamentari italiani non dovrà più avvenire, con “urgenza” e “per decreto”. Il tema, delicatissimo come facilmente s’intende, andrà invece posto in discussione laddove lo si è sempre dibattuto e sempre lo si dovrà dibattere: in Parlamento. Saranno le Camere, e non più, per fortuna, un noioso professore di economia insieme ai suoi altrettanto noiosi professori circondati da tecnici, a provvedere, se vorranno provvedere, al taglio delle indennità di deputati e senatori. Nel modo, nel tempo e nel quanto che riterranno più corretti e opportuni. Oppalà.
È quanto previsto da un emendamento del governo (quello dei noiosi, sempre loro) presentato alle Commissioni Bilancio e Finanze. E per fortuna. Perché la norma prevista in origine dal decreto sarebbe stata illegittima, come ci spiegano i più esperti. Anche per quanto riguarda lo stipendio dei parlamentari, dunque, l’ultima parola toccherà, come sempre, ai parlamentari medesimi. Cui il governo ha tuttavia ricordato, con fermo garbo istituzionale, la necessità-dovere di equiparare il trattamento economico di titolari di cariche elettive e dei vertici di enti e istituzioni pubbliche rispetto alla media degli analoghi trattamenti economici percepiti dai colleghi europei. Ma le buone notizie non vengono mai sole, ed eccone subito, dappresso, un’altra. È stato infatti stabilito che “il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea” sia escluso “dall’ambito di applicazione” delle misure di liberalizzazione delle attività economiche previste dall’articolo 34 della manovra. Quella stessa manovra cui dobbiamo salva la pelle (ma che, nel salvarla, infligge a molti parecchie e dolorose ferite).
Due buone notizie, almeno. Eppure c’è chi si lamenta dei tempi bui.
Ma buone per chi?
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