Il vicepresidente dell’Unione europea Timmermans ha ricordato che la crisi energetica che ci sta investendo è frutto di scelte sbagliate che hanno privilegiato il gas a scapito di investimenti insufficienti in energie rinnovabili. L’Unione europea ha infatti una forte dipendenza energetica (percentuale di energia importata) soddisfatta largamente da Paesi extra-Ue: nel 2019, era pari al 61%. Tale dato arrivava al 77% nel caso dell’Italia, al 75% per la Spagna, al 67% pe la Germania, al 47% per la Francia. L'invasione dell'Ucraina ha aggravato la situazione. Il nostro Paese infatti è particolarmente dipendente dalla Russia, da cui importiamo il 40% del gas, utilizzato sia per il riscaldamento sia per la generazione elettrica (tra il 20% e il 25% della nostra elettricità deriva dal gas russo).
Questa situazione drammatica ci pone di fronte alla necessità di una nuova politica energetica, per coniugare indipendenza energetica e tagli alle emissioni di gas serra, per fronteggiare l’emergenza climatica. Per andare subito al punto: non esiste la neutralità tecnologica quando si persegue l’indipendenza energetica e la decarbonizzazione dell’economia. Ma ci sono politiche energetiche giuste e sbagliate.
C’è chi caldeggia una ripresa delle trivellazioni di gas naturale nel nostro Paese per incrementare la produzione nazionale. Si tratta di una soluzione dai benefici quasi nulli in termini di prezzo e di cortissimo respiro
Iniziamo dalle seconde: l’Italia deve ridurre velocemente l’utilizzo di gas, escludendo il ritorno all’energia nucleare. C’è chi caldeggia una ripresa delle trivellazioni di gas naturale nel nostro Paese per incrementare la produzione nazionale. Si tratta di una soluzione dai benefici quasi nulli in termini di prezzo e di cortissimo respiro: l'Italia consuma circa 70 mld m3 di gas l'anno, ma ha riserve per soli 90 mld m3. Allo stesso tempo, il nostro governo con l’aiuto di Eni si sta rivolgendo ad Algeria, Congo, Angola, Mozambico per diversificare le importazioni di gas. Se nel brevissimo periodo tale politica è forse inevitabile, questa ostinazione per i combustibili fossili, volta a sostituire il fornitore russo con Paesi né specchiatamene democratici né stabili, appare preoccupante. Una strategia che appare ancor più miope se si considera che, nel caso del Congo, gli accordi porteranno allo sfruttamento di nuovi giacimenti fossili, in contrasto con le raccomandazioni dell’International Energy Association (Iea) per ottenere entro il 2050 l’obiettivo di zero emissioni nette.
Le imprese del settore idrocarburi propongono di utilizzare le tecnologie di Carbon Capture and Storage (Ccs), che consentirebbe di continuare a utilizzare fonti fossili «catturando» la CO2. Purtroppo, ad oggi, nonostante un paio di decenni di sperimentazioni e molte risorse investite, le Ccs hanno prodotto risultati deludenti e sembrano lontane dal poter rappresentare una tecnologia utilizzabile per ridurre le emissioni di gas serra. Non è un caso che l'ultimo report dell’Intergovernmental Panel on Climate Chance (Ipcc) indichi per queste tecnologie costi molto elevati a fronte di un basso potenziale di riduzione delle emissioni. Inoltre, la Commissione europea ha bocciato il progetto Ccs dell’Eni e del governo italiano che prevedeva l’utilizzo dei fondi del Pnrr per immagazzinare CO2 nei giacimenti esausti di gas metano del mare Adriatico.
L'altra opzione che viene pavlovianamente rilanciata è quella del ritorno al nucleare a fissione. Tuttavia, l’evidenza empirica mostra inequivocabilmente che si tratta di una strategia assai improbabile (e di lungo periodo). Negli ultimi trent’anni nell’Unione europea e negli Stati Uniti ci si è limitati ad avviare la costruzione di 6 reattori di terza generazione, ma solo quello a Olkiluoto (Finlandia) è stato terminato, con tempi e costi triplicati che hanno causato una perdita di 5 miliardi di euro per Areva, controllata dallo Stato francese, provocandone la ristrutturazione. In questo contesto, i piani di Francia e Regno Unito, che prevedono rispettivamente 25 GW e 17 GW di nuovo nucleare sono stati accolti con scetticismo in due Paesi con una filiera nucleare, quasi assente in Italia. Anche per il nucleare a fissione di quarta generazione le prospettive non sono rosee: i piccoli reattori nucleari Smr (Small Modular Reactors), che puntano su una maggiore semplicità costruttiva per garantire rapidità di costruzione e costi competitivi, sono ancora lontani da un impiego su vasta scala. Non sono considerati un’alternativa realistica in tempi brevi neppure in Francia: il primo prototipo sarà costruito entro il 2030. Infine, ci sono risultati incoraggianti per il nucleare a fusione, ma l'impiego su scala commerciale – se mai ci si arriverà – è lontano probabilmente ancora qualche decennio.
Per ridurre la dipendenza dal gas e petrolio russo, la strategia di lungo periodo mostrata dall’Iea nel rapporto Net Zero 2050 è chiara e radicale: elettrificare il più possibile l’economia e accelerare gli investimenti in energie rinnovabili
Per ridurre la dipendenza dal gas e petrolio russo, la strategia di lungo periodo mostrata dall’Iea nel rapporto Net Zero 2050 è chiara e radicale: elettrificare il più possibile l’economia e accelerare gli investimenti in energie rinnovabili. Nello scenario «più tecnicamente fattibile, più efficiente dal punto dei vista dei costi, e più accettabile socialmente» per giungere a zero emissioni nette entro il 2050, il rapporto mostra che: i) non bisogna sviluppare nuovi impianti di estrazione di gas, petrolio e carbone; ii) le rinnovabili potranno coprire il fabbisogno elettrico mondiale fino al 90%; iii) nel 2050, il solare sarà la fonte più importante di energia (e non solo di elettricità) a livello globale; iv) il nucleare avrà un ruolo marginale, coprendo il fabbisogno globale di elettricità per meno del 10%, concentrato Paesi emergenti - nelle economie avanzate il suo contributo si dimezzerà dal 18% al 10%. Tali indicazioni sono rafforzate dall’ultimo rapporto Ipcc, che mostra come le energie rinnovabili possano fornire il maggiore contributo alla mitigazione delle emissioni. Infatti, le rinnovabili sono in grado di produrre energia a costi ultra-competitivi senza aver bisogno di incentivi: il rapporto conferma questa tendenza: dal 2010 il costo del solare, eolico e delle batterie si è ridotto dell’85%.
Come è posizionata l'Italia rispetto allo scenario di zero emissioni nette dell’Iea? Nonostante i sostanziali progressi negli ultimi vent’anni, nel nostro Paese circa il 60% di energia elettrica e l'80% dell'energia totale è prodotta da fonti non rinnovabili. Dopo ambiziosi programmi di incentivazione delle rinnovabili di 15 anni fa, l’Italia oggi arranca. Nel fotovoltaico, l'Italia è seconda in Europa per installazioni, ma ha meno della metà dell'installato tedesco: 22 GW contro 60 GW. Quanto a installato pro-capite siamo soltanto al decimo posto in Europa, nonostante un potenziale solare più elevato degli 8 Paesi su 9 che ci precedono. Il mercato italiano langue da circa un decennio: se dal 2008 al 2013 sono stati installati circa 18 GW, nel periodo successivo si sono aggiunti appena 4 GW. Questo quadro desolante non migliorerà nell’immediato futuro: le previsioni di installazioni vedono l'Italia dietro Germania, Olanda, Francia, e persino Polonia e Danimarca. Il paradosso è completo se si pensa che dopo la Spagna, tra gli Stati membri l'Italia è quello in grado di produrre elettricità da solare a costi inferiori rispetto al nucleare e al gas.
Il mancato sviluppo delle rinnovabili nel nostro Paese non dipende neppure dalla mancanza di progetti. Ci sono richieste di autorizzazioni inevase di impianti rinnovabili per circa 200 GW: solo la metà potrebbe coprire il 45% circa del fabbisogno elettrico italiano (oggi pari a circa 300 TWh/anno). L’obiettivo fattibile d’investimenti annuali per 10 GW consentirebbe di immettere in rete più elettricità di quella prodotta da un nuovo reattore nucleare, a costi e tempi enormemente inferiori. L’investimento in energie solare ed eolica può essere realizzato senza ridurre la produzione agricola del nostro Paese e senza violare i vincoli storici e paesaggistici. Ad esempio, la generazione di energia solare può essere aumentata utilizzando aree industriali dismesse e ricorrendo all’agri-fotovoltaico. I parchi eolici off-shore galleggianti non deturpano il paesaggio e hanno un impatto ambientale limitato. In questo caso, l’Italia potrebbe contare sulla tecnologia e l’esperienza di Saipem.
Un'obiezione contro lo sviluppo di rinnovabili su larga scala è la loro intermittenza: come si fa quando non splende il sole o non soffia il vento? Se la completa transizione verso le rinnovabili richiede tempo, nel breve-medio periodo è perfettamente fattibile l’integrazione nella rete elettrica di energia prodotta da fonti non programmabili, ma prevedibili. Nel frattempo, lo «storage» elettrico, che consente di immagazzinate energia prodotta da rinnovabili e rilasciarla quando necessario, sta facendo grossi passi in avanti e annunci di nuove, grandi installazioni si susseguono ormai con cadenza settimanale. Si pensi al recente piano di Endesa Portugal (Enel) per la realizzazione di un impianto ibrido che includerà 365 MW di solare, 264 MW di eolico, 169 MW di accumulo, e un elettrolizzatore da 500 kW per la produzione di idrogeno verde. L’utilizzo di eccedenze di energie rinnovabili per produrre idrogeno verde avrà un’importanza crescente nelle industrie ad alta intensità di emissioni come la siderurgia. Per esempio, il progetto di produzione di idrogeno verde sulle piattaforme dismesse al largo di Ravenna permetterebbe di produrre energia a zero emissioni senza ricorrere ai combustibili fossili.
Un altro problema possibile, almeno nel breve periodo, è rappresentato dalle connessioni elettriche tra le zone a maggior potenziale rinnovabile (ad es. il Sud e le Isole) e quelle a minor potenziale. In questo caso è necessario un maggiore intervento dello Stato, ma l’ostacolo è facilmente sormontabile se si considerano le risorse del Pnrr e le capacità tecnologiche e d’investimento di Terna, che con il piano Thyrrenian Link collegherà la Sardegna alla Sicilia e alla penisola italiana. A tal riguardo si consideri che tra Marocco e Regno Unito saranno posati 3.800 km di cavi sottomarini per trasportare l’energia prodotta in Africa da nuovi impianti di generazione d’energia solare ed eolica dotati di capacità di «storage», che andranno a coprire l'8% del fabbisogno elettrico del Regno Unito entro il 2030.
Non ci sono «bagni di sangue» all’orizzonte. All’opposto, la transizione verde è un’opportunità per rinvigorire l’asfittica crescita della produttività attraverso innovazioni ed investimenti
L’obiettivo del 70% di rinnovabili entro il 2030 è dunque pienamente realizzabile, come ribadito dallo stesso ministro Cingolani. L’elettrificazione e l’investimento in energie rinnovabili non garantirebbero solo l’indipendenza energetica dal gas russo e il rispetto dell’obiettivo di +1,5 °C dell’Ipcc, ma avrebbero un effetto benefico sulla stagnante crescita dell’economia italiana. Non ci sono quindi bagni di sangue all’orizzonte. All’opposto, la transizione verde è un’opportunità per rinvigorire l’asfittica crescita della produttività attraverso innovazioni ed investimenti. Per esempio, Enel sta costruendo una gigafactory di pannelli solari vicino a Catania. In Svezia, la collaborazione tra imprese pubbliche e private nel progetto Hybrit ha portato alla realizzazione del primo impianto pilota per una siderurgia alimentata da idrogeno verde. Ciò richiede una nuova stagione di politiche d’innovazione e industriali verdi. Purtroppo, sia il Pnrr sia le politiche del governo dopo lo scoppio della guerra in Ucraina non sembrano andare in questa direzione e appaiono invece come un coacervo scoordinato di misure senza una chiara visione di sviluppo sostenibile del Paese. Misure che, anzi, lo rallenterebbero, come nel caso del preannunciato ritorno al carbone.
La drammatica crisi in corso sembra offrire l’opportunità per un cambiamento: salvo un netto cambiamento di rotta, che a oggi è purtroppo difficile immaginare, l’Italia rischia di sprecarla definitivamente.
[Questo articolo è stato tradotto in spagnolo e pubblicato su "Agenda Püblica"]
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