La situazione politica tra rigore e proteste di piazza. Lo scorso 7 maggio il primo ministro incaricato Victor Ponta, esponente del Partito socialdemocratico, ha chiesto e ottenuto la fiducia parlamentare. È quindi alla guida del terzo governo in carica in Romania dall’inizio dell’anno, e non sarà sicuramente l’ultimo, poiché le elezioni politiche si svolgeranno il prossimo novembre.
All’inizio di febbraio, infatti, il premier Emil Boc, a capo del governo da più di quattro anni e sostenuto dal Partito democratico-liberale e dal partito della minoranza ungherese, aveva rassegnato le dimissioni sulla scia delle proteste dell’opinione pubblica contro le misure draconiane adottate in politica economica, oltre che dell’impopolarità di parte della compagine ministeriale.
Al posto di Boc era stato nominato primo ministro Mihai Răzvan Ungureanu, capo dei servizi segreti, sostenuto come il suo predecessore da una coalizione di centrodestra. La scelta del presidente della Repubblica Traian Băsescu – la Romania, va ricordato, ha una forma di governo semipresidenziale – mirava principalmente a ripulire l’immagine del Partito democratico-liberale, a cui egli stesso appartiene, in vista delle elezioni previste per il prossimo novembre. La scelta non si è rivelata felice: l’idea stessa di nominare come primo ministro un alto esponente dei servizi segreti in un Paese oppresso, nel passato recente, dal controllo asfissiante della Securitate ha risvegliato vecchi fantasmi. In più, il governo Ungureanu sul piano della politica economica si è collocato in continuità con il governo Boc, e le proteste di piazza sono continuate, tanto che alla fine di aprile, dopo meno di tre mesi di governo, anche Ungureanu si è dimesso.
A questo punto Băsescu ha incaricato il leader dell’opposizione Ponta di formare un governo che traghetti il Paese verso le prossime consultazioni. Quello di Ponta è quindi un governo a termine che, però, cambia gli scenari politici nel Paese, la coalizione che lo sostiene è infatti quella che prima era all’opposizione: l’Unione social-liberale, formata dal Partito socialdemocratico, dal Partito nazional-liberale e dal Partito conservatore, con l’appoggio esterno dell’Unione nazionale per il progresso romeno. La sfida che Ponta ha di fronte è ambiziosa. I governi precedenti sono caduti principalmente a causa del malcontento della popolazione verso la politica economica di taglio della spesa pubblica, che ha colpito soprattutto i dipendenti statali e i pensionati: stipendi pubblici e pensioni hanno subito una riduzione del 25%. L’aumento contestuale di cinque punti percentuali dell’Iva ha ulteriormente indebolito il potere d’acquisto delle classi sociali disagiate. Su questo la coalizione di centrosinistra ha costruito la sua popolarità: nei sondaggi di gennaio il vantaggio sul centrodestra arrivava addirittura al 30%. Non è un caso che le prime dichiarazioni del ministro delle finanze incaricato, Florin Georgescu, fossero relative alla reintegrazione di salari e pensioni, mentre altri esponenti del futuro governo parlavano addirittura di una riduzione dell’Iva dal 24 al 9% sul pane. Tuttavia, in una situazione di crisi come quella attuale, il governo romeno non può dare alla comunità internazionale, e soprattutto alle istituzioni finanziarie internazionali, l’immagine di un allentamento del rigore. Uno dei primi incontri di Ponta da premier incaricato è infatti stato con gli inviati dell’Fmi e della Banca mondiale. Il nuovo governo, quindi, dovrà mediare tra la piazza e i vincoli di bilancio, cercando contemporaneamente di non indebolire la coalizione, visto che ancora prima del voto già alcune voci critiche sulla composizione della compagine governativa si sono levate proprio dal partito di Ponta. Il nuovo premier nel discorso di presentazione della lista dei ministri ha insistito sulla lotta alla corruzione e sull’efficienza dell’azione di governo, sottolineando la discontinuità rispetto ai governi precedenti, ma sul piano della politica economica non è sceso nei particolari.
Certo è che Ponta ha di fronte a sé un compito difficile: deve rassicurare la comunità internazionale, ma allo stesso tempo non scontentare la piazza, o rischia di perdere, in vista delle prossime consultazioni elettorali, il “bonus” ottenuto dalla sua coalizione grazie ai fallimenti dei governi di centrodestra che lo hanno preceduto.
Riproduzione riservata