L'Unione che c'è, l'Unione che verrà: Come pochi sanno, il Consiglio europeo si riunisce da alcuni anni nel Palazzo fortificato a Bruxelles che ha preso il nome dall’umanista fiammingo Justus Lipsius vissuto nella seconda metà del sedicesimo secolo fra il natio Belgio, la Francia e la Germania insegnando prima presso i calvinisti e conciliandosi poi con i gesuiti in un ribaltone dovuto a un suo personale adattamento alle circostanze. Discusso filosofo del diritto, cercò una via mediana fra la politica e la morale giustificando l’astuzia e talvolta la frode in un prudente compromesso con la virtù.
La Commissione europea risiede dalla fine degli anni Sessanta nel Berlaymont, un palazzo a stella (che fronteggia il Justus Lipsius) costruito sulle fondamenta di un convento di suore belghe che gestivano un’importante scuola femminile cattolica. Comprato il terreno per installarvi la Commissione europea, le brave suorine furono costrette a trasferirsi in quel di Waterloo.
Il Parlamento europeo risiede infine a qualche centinaio di metri dal Consiglio e dalla Commissione in un quartiere di palazzi e uffici in continua espansione, con due edifici principali dedicati l’uno ad Altiero Spinelli e l’altro a Paul-Henry Spaak.
Nel suo discorso sullo “stato dell’Unione” il presidente della Commissione europea ha inopinatamente citato Justus Lipsius riferendosi però non alla sua opera principale (il Politicorum sive civilis doctrinae libri sex) dove si dichiara disposto più a sopportare un regime dispotico che ad ammettere il diritto alla rivoluzione ma a una sua opera minore – il De Constancia – in cui si lancia in un improbabile elogio di determinazione e perseveranza “a right and immovable strenght of the mind, neither lifted up nor pressed down with external or casual accidents” che per l’umanista fiammingo corrispondevano alla stabilitas loci e alla tranquillitas animi.
L’argomentazione di Barroso sembra nascere da queste due convinzioni: la crisi di cui ha sofferto l’Europa è fondata su accidenti esterni o casuali (“exactly 5 years ago the United States government took over Fannie Mae and Freddie Mac, bailed out AIG and Lehman Brothers filed for bankruptcy protection”) e questi eventi hanno “triggered the global financial crisis”; noi europei dobbiamo reagire con tranquillitas animi perché l’Europa “has fought back…giving a determined response”.
A otto mesi dalle elezioni europee, Barroso tenta di fronteggiare l’evaporazione del consenso europeo e i rischi dell’avanzata degli euroscettici che trent’anni fa erano isolati oltre la Manica, disegnando un quadro positivo dello “stato dell’Unione”: il settore finanziario è stato riformato e i risparmi dei cittadini sono stati messi in salvo; l’Europa è stata apprezzata e incoraggiata al G20 di San Pietroburgo; i nostri valori, i nostri interessi e la nostra prosperità sono protetti nell’era della globalizzazione; gli spread calano; i Paesi più vulnerabili pagano meno interessi; il prodotto industriale cresce; la fiducia nel mercato è tornata; Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia riprendono a crescere (fra i PIIGS che crescono Barroso non ha citato l’Italia, ndr); il processo di realizzazione del meccanismo unico di sorveglianza bancaria è quasi completato; il mercato unico dei beni funziona bene come chiave della competitività e dell’occupazione; le nuove prospettive finanziarie consentono di investire nella ricerca, nell’educazione e nella formazione; infine la nostra economia si fonda sulla crescita verde.
È la “new narrative” della Commissione, condivisa dai governi e dalla maggioranza del Parlamento europeo, che sarà il leitmotiv della campagna delle istituzioni europee in vista del voto del 25 maggio 2014 Le istituzioni europee – ha ricordato Barroso – saranno giudicate tutte insieme e dovranno dunque lavorare, tutte insieme, “per l’Europa”.
Gli elettori non giudicheranno o non giudicheranno solo l’Europa qual è o quale viene descritta loro, ma l’Europa che verrà o quella che sarà promessa dalle forze politiche. La domanda non sarà più quella di Giuliano Amato e Massimo Salvadori di venticinque anni fa “Europa conviene?” ma “quale Europa conviene ?”.
Certo ha ragione Barroso quando dice: ”l’Europa è molto più presente nella vite dei cittadini”. Dodici governi sono caduti negli ultimi cinque anni a causa (o grazie) all’Europa e la campagna elettorale si giocherà intorno alle risposte che riguardano più il futuro che il passato. Per questo il discorso sullo “stato dell’Unione” dimentica (e lo fa forse volontariamente se è vero che Barroso non rifiuterebbe un terzo mandato) l’impatto che potranno avere nella campagna elettorale europea le candidature alla presidenza della Commissione europea dei leader delle maggiori famiglie politiche: i socialisti Schulz o Lamy o, perché no, Letta; i popolari Tusk, Barnier, Reding o Rehn, i liberali Verhofstadt o Rasmussen in una girandola di nomine che prevede anche quella del presidente del Consiglio europeo dopo Herman Van Rompuy, dell’alto rappresentante della politica estera dopo la baronessa Ashton e del presidente del PE dopo Martin Schulz.
Nella campagna elettorale la domanda “quale Europa conviene?” potrebbe essere scomposta in due questioni dimenticate da Barroso: qual è la dimensione politica ottimale della futura Europa e quali lezioni di politiche e di istituzioni (direbbe Habermas: di “democrazia sopranazionale”) devono essere tratte da una crisi strutturale che non è stata provocata da accidenti esterni o casuali.
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