Ripristinare i confini e costruire nuovi muri non serve né a gestire meglio il flusso di migranti, né a fermare le stragi nei mari o a bloccare l'orrore del jihad.
La volontà del governo austriaco di ripristinare il confine del Brennero rischia invece solo di sancire definitivamente l’incapacità politica dell’Europa e dei Paesi interessati a gestire i flussi migratori e far tornare indietro pericolosamente l’orologio della Storia. Non occorre ricordare come per la nostra terra, l’Alto Adige/Südtirol, quel confine abbia rappresentato fino a tempi recentissimi, una ferita aperta e abbia provocato solo sofferenze e alimentato incomprensioni e diffidenze.
È importante che anche il nostro “Euregio” (il gruppo europeo di cooperazione che riunisce Trentino, Alto Adige/Südtirol, Tirolo) continui a far sentire unitariamente la propria voce nei confronti di Vienna. L’auspicio è che il governo austriaco si renda conto che sta contribuendo a mettere in crisi il progetto di integrazione europea, un progetto di pace tanto più necessario in questa fase storica difficile e delicata.
Il Brennero non è infatti solo un confine come un altro, ma un vero e proprio simbolo.
Il “secolo breve” aveva sentito molte volte nominare la solitaria località a cavallo di uno dei molti valichi alpini dell’Europa, adagiato fra sud e nord. Per gli avventurosi viaggiatori del diciottesimo secolo, che scendevano dalle regioni fredde sulle orme di Goethe, il Brennero non aveva un significato politico, né di frontiera fisica o doganale, ma segnava l’inizio di un leggero e, per il viaggiatore del nord, dolce declivio verso le regioni temperate, verso i limoni del piccolo annuncio di Mediterraneo che era il Garda per il “Grand Tour” dal territorio germanico. Si apriva quello che oggi si chiamerebbe una “macroregione transalpina”, un territorio già meridionale. Ma questa idea già romantica di un “sud del nord” non è sicuramente balenata, neanche per un attimo, nella mente dei decisori politici della vicina Austria, quando hanno immaginato di rinforzare le “difese” dalle invasioni meridionali verso le lande nord-orientali del Centro Europa. Il fascismo mussoliniano ha speso fiumi di inchiostro e di parole vuote per manipolare il valore simbolico del passo alpino; ha esibito nella sua breve ma disastrosa dominazione locale un grottesco rigonfiamento di petto, utilizzando strumentalmente e in modo manipolatorio il Brennero quale nome “del” confine, per eccellenza. Oggi, di nuovo, finite nel nulla della polvere della storia le lotte dei nazionalismi più ciechi e brutali, ritornate nell’alveo della memoria – forse finalmente collettiva – le tragedie degli spostamenti “Oltrebrennero” di popolazioni sudtirolesi costrette e scegliere fra due tirannie con le cosiddette “opzioni” del 1939; diventata memoria storica anche la firma 70 anni fa di uno storico accordo parigino che toglieva al confine quel valore di simbolo di conflitto e di lacerazione, assistiamo a spettacoli che ci riportano bruscamente nella “grande storia”: quella della civiltà umana che si sposta, che fugge dalle guerre, che cerca un posto dove fare vivere dignitosamente i propri figli. E il Brennero viene nuovamente sbarrato, dopo venti anni di fine delle frontiere. Nessuno ricorda quasi più il grande Ibsen, a pochi chilometri dal Brennero, andare “a fare le acque” alle terme, per lui un sud accogliente, nonostante il rigore invernale.
Oggi il Brennero rischia di nuovo di tornare a rappresentare la chiusura, non l’apertura; il divieto e il controllo difensivo-aggressivo, non l’accoglienza. Si parla di un simbolo di separazione, e certamente il governo austriaco crede, o si illude, di porre un argine a uno spostamento di persone che preoccupa l’opinione pubblica di mezza Europa: ma è uno spettacolo politico a cui occorre dire con franchezza non eravamo preparati, quello della vicina e civilissima piccola realtà europea, a cui ci legano ormai decenni di ottimi rapporti di scambio, di vicinato, di prossimità culturale, che intraprende la strada di regimi ben meno aperti e di debole tradizione democratica. Regimi che in Europa orientale hanno eretto muri e sbarramenti verso altre persone, in contrasto con le politiche di accoglienza che hanno invece aperto le porte, ormai quasi trent’anni fa, ai loro connazionali, in cerca di migliori destini: ma scendendo verso sud. La paura nei confronti dell'idraulico polacco, che tormentava i sonni di alcuni personaggi dei populismi reazionari di qualche anno fa, è diventata più opaca, sostituita da quella verso le popolazioni in fuga da guerra e miseria, dal Vicino e Medioriente.
Non è questo il destino del Brennero: quello di segnare, in modo quasi caricaturale, di nuovo un confine sbarrato, tra una parte e un'altra dell’Europa. Noi, quel passo alpino, l’abbiamo da tanto tempo familiare: ci passiamo per andare nel capoluogo del Tirolo, con la sua brillante università, Innsbruck, realtà sorella delle nostre Trento e Bolzano, che accoglie studenti da tutto il mondo, e soprattutto dalla nostra realtà “al di là” del Brennero; abbiamo istituito una regione transfrontaliera, una “Euregio”, come dicono tutti qui, dove gli scambi linguistici, di intelligenze, di saperi, sono si può dire moneta quotidiana. Quest’anno, i nostri ragazzi delle tre realtà trentina, altoatesina e tirolese hanno riflettuto e discusso insieme, in più lingue, sul valore politico dell’Europa, hanno viaggiato insieme con il “viaggio della memoria” a visitare l'orrore di Auschwitz; l’anno prima, si erano incontrati a commemorare dopo cent’anni quei poveri ragazzi morti in nome di corone e di patrie, dissoltesi subito dopo il loro sacrificio.
Tornare indietro non è possibile. Molti dei ragazzi che si sono incontrati non portavano nomi tedeschi, né italiani, ma di altre parti del mondo: sono cittadini con diritti e doveri, spesso parlano più lingue, e sono tirolesi, o sudtirolesi, o trentini, o italiani altoatesini, o altro. Sono ragazze e ragazzi per i quali il Brennero deve essere il nome di una tranquilla località tra le montagne, dove si beve un buon caffè ristretto, si fanno affari, le lingue di confondono e incontrano, e andare a sud o a nord è una scelta di libertà, di curiosità, di spirito di scoperta.
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