Continua il cammino verso la pace. Lo scorso 15 giugno il popolo colombiano, ancora inebriato dai festeggiamenti per la vittoria nella prima partita dei mondiali, è andato a votare consapevole di giocarsi alle urne il match più importante per le sorti del Paese. Poche ore dopo, la notizia che la comunità internazionale attendeva: Juan Manuel Santos è stato rieletto presidente della Repubblica con il 50,9% dei voti (circa 7,9 milioni), contro il 45% di Iván Zuluaga (6,8 milioni), delfino dell’ex presidente Álvaro Uribe.
I colombiani hanno detto "no" a un ritorno al passato, scegliendo di non rimettersi nelle mani di Álvaro Uribe e della sua tragica strategia di guerra contro il narcoterrorismo che tanto ha radicalizzato e insanguinato il Paese fra il 2002 e il 2010. Hanno detto "no" a una nuova chiusura degli spazi democratici, che avrebbe consegnato il Paese a quella zona grigia che va dal paramilitarismo alle forze militari più conservatrici e corrotte, ai grandi proprietari terrieri e latifondisti. Ma soprattutto, hanno detto "sì" al proseguimento del processo di pace in corso a Cuba con le Farc e all’apertura dei negoziati con l’altra guerriglia, l’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), annunciata dal governo lo scorso 10 giugno con il chiaro obiettivo di aumentare il peso della posta in gioco, in piena campagna elettorale.
La vittoria di Santos, fino a qualche mese fa data praticamente per certa dagli analisti, era stata messa in discussione dall’ottimo risultato di Uribe alle elezioni parlamentari di marzo, eletto senatore con due milioni di voti. Ma è stata la vittoria al primo turno delle elezioni presidenziali di Iván Zuluaga, con il 29% dei voti (contro il 25% di Santos), a far temere che Santos non riuscisse a far pendere di nuovo la bilancia dalla propria parte. Autore di una campagna elettorale disastrosa, il nuovo presidente è dotato di poco carisma e scarso appeal: lontano dalle fasce più povere della popolazione, non era stato in grado di comunicare in maniera adeguata neppure l'importanza del processo di pace in corso all'Avana. L’apatia e la sfiducia della popolazione nei confronti del sistema democratico e politico, che aveva provocato un alto astensionismo al primo turno - circa il 60 % degli aventi diritto - ha fatto il resto. Poi la rimonta e il risultato che ha ribaltato gli equilibri a destra.
Dopo le iniziali titubanze nel “fronte della pace” per un appoggio diretto al candidato Santos, espressione di un modello neoliberale, la maggior parte dei rappresentanti della sinistra ha sciolto le riserve e scelto un “ voto contro" Zuluaga-Uribe, in nome degli accordi de L'Avana. La candidata del Polo democratico Clara Lopez, l’ex sindaco di Bogotà Antanas Mockus e quello attuale Gustavo Petro (ex-guerrigliero del M-19) sono solo alcuni dei molti politici e intellettuali che hanno spostato il clima di opinione, in particolare nella capitale. A questo si sono aggiunte alcune mosse politiche ben riuscite di Santos e un pizzico di fortuna. Da un lato, il presidente è riuscito a fare un accordo politico con il Partito liberale e a farlo muovere sulla Costa Atlantica, dove l’astensionismo è calato sensibilmente; dall’altro lato, il presidente ha smesso di fare campagna elettorale intorno al suo nome e l’ha aperta a tutti i sostenitori del percorso di pace, chiedendo un fronte ampio per poter traghettare il Paese per la prima volta in una situazione di "post-conflitto". Questo ha funzionato, anche in contrasto con la campagna di Zuluaga, povera di proposte e incentrata sull’attacco personale a Santos. Ma a Santos non è mancata la mano del destino nell'era dei social network. Si tratta di un video, girato con il cellulare e diventato virale grazie al web, nel quale viene intervistata una signora di 85 anni di un quartiere popolare di Villa Vicencio che dichiara di sostenere “JuanPa’” e di votare contro “Zurriaga”: una mossa che ha avvicinato l'immagine di Santos per la prima volta alle fasce più povere del paese, contrastando il carisma populista di Uribe.
Questa campagna elettorale consegna, inoltre, un dato che è senza precedenti: la formazione di un’alleanza storica fra destra liberale e sinistra moderata, fronte che non rappresenta una maggioranza politica ma che si erge a difesa di alcuni pilastri che il popolo colombiano non vuole più demolire: il cammino verso la pace e la tutela della democrazia. Un "capitale politico", ora nelle mani di Santos, che si gioca tutto sugli accordi di pace. Qui, durante il ballottaggio, le Farc e il governo hanno già fatto una prima “dichiarazione di principi” sul quarto punto dei negoziati di pace, il più delicato: il riconoscimento delle vittime e la non-impunità. In un Paese con più di 5 milioni di sfollati, 160.000 civili uccisi in cinquant’anni di conflitto e migliaia di desaparecidos, garantire giustizia, verità e “riparazioni” per le vittime è la sfida più importante per un presidente che voglia essere ricordato dalla storia come colui che riuscì a portare la Colombia alla pace e alla riconciliazione nazionale.
Riproduzione riservata