«Gli Stati Uniti non sono stati costruiti da Wall Street ma dalla classe media», ha detto Biden nel suo recente discorso programmatico a Cleveland il 28 maggio. Una delle grandi difficoltà del Partito democratico è il fallimento, segnato dalla vittoria di Trump e dall’affermarsi dei movimenti neopopulisti, della ricerca da parte di Clinton e Obama di un new liberalism meno pubblico e più centrista, ma rivelatosi incapace di affrontare la nuova, frantumata «società del quinto Stato», difficile da sintetizzare nell’idea della middle class. Con questo termine, scrive Matteo Battistini nel suo bel libro, si intende «una formazione ampia, composta da molteplici gruppi sociali. Non solo la piccola borghesia imprenditoriale e professionale. Anche i colletti bianchi che rientravano nelle fasce basse del lavoro d’ufficio e chi svolgeva un lavoro manuale. Gli operai specializzati e sindacalizzati che […] attraversavano la frontiera tra blue collar e white collar». Quest’ampia, sfrangiata «classe media» resta il mito nazionale identitario e coincide con l’American people, sintetizzando le qualità etiche di un popolo patriottico e operoso.
I democratici sono il partito di questa vasta middle e lower middle class urbana, multirazziale, spesso giovane, con redditi e istruzione favorevoli che predomina negli Stati costieri cosmopoliti del Pacifico e del Nord Atlantico. Ma il Sud e il West, l’America rurale e delle città medie e piccole, le grandi aree delle fabbriche dismesse e delle vecchie tecnologie produttive sono prevalentemente repubblicane.
Nella società postfordista non si sa più bene che cosa sia la classe media nelle sue mille frantumazioni. La crisi dei democratici sta proprio, come illustrato da Mario Del Pero, nell’allontanamento nel 2016 di suoi segmenti importanti, con redditi medi (70.000-130.000 dollari l’anno), colpiti nei posti di lavoro, nelle professioni, nel piccolo commercio e nella piccola impresa, dai processi di integrazione globale, automazione e obsolescenza tecnologica. Nelle aree del declino manifatturiero sono spariti posti ben pagati e sindacalizzati per delocalizzazione e automazione (oltre 5 milioni dal 1979), sostituiti da posti sottopagati nel terziario, dalla gig economy, e da quella degli espedienti. Nel caso di Janesville, Wisconsin, nel 2008 chiude la General Motors, ma nel 2019 i disoccupati sono solo il 3% per il prevalere di lavori alienati, interinali e senza prospettiva.
Nella società postfordista non si sa più bene che cosa sia la classe media nelle sue mille frantumazioni, perché gli ultimi vent’anni hanno visto la disgregazione dell’universo socio-economico che fa da sfondo alla middle classCome dice Fabrizio Maronta, «gli ultimi vent’anni hanno visto la disgregazione dell’universo socio-economico che fa da sfondo alla middle class, soprattutto al suo zoccolo duro: bianco, anglosassone, protestante. Il risultato è un vortice di precarietà e solitudine verso cui fasce crescenti della popolazione si sentono risucchiate». Si è perso il valore identificativo del salario, la stabilità familiare e il classico itinerario di crescita generazionale. Il ceto medio maschile bianco sbandiera un nazionalismo razziale contro l’America «colorata» (e ispanica) in rapida crescita, ritenendosi escluso da una narrazione di americanità, costruita sui grandi agglomerati urbani, con le loro minoranze etnico-razziali, la rivoluzione femminista e nuovi stili di vita.
La differenza tra democratici e trumpiani non è tanto nei redditi, semmai nel livello di scolarità, assurto a criterio cardine di successo. Oggi, il 41% dei simpatizzanti democratici ha un titolo di college rispetto al 30% dei repubblicani, con un significativo capovolgimento rispetto al 1996, quando erano laureati il 27% dei repubblicani rispetto al 22% dei democratici. Una delle frustrazioni del ceto medio trumpiano è contro la «società della conoscenza» e della frontiera tecnologica, rispetto a cui si sente impreparato e perdente.
La crisi della middle class è la top priority del cuore rappresentativo e politico del Partito democratico, un nocciolo costituito dal grosso dei congressisti e dei governatori: tutti i suoi leader, da Chuck Schumer e Nancy Pelosi, fino ai più giovani Beto O’Rourke, Pete Buttigieg e Jay Inslee, promettono di ricostruire il contratto sociale con la classe media come «terreno di mediazione degli interessi e di incontro tra Welfare e capitalismo liberale», e di lottare contro un American Dream capovolto che avvantaggia i ricchi a spese, parole di Biden, di «gente ordinaria che fa cose straordinarie».
Biden ha lanciato un grande piano pubblico per raddrizzare gli squilibri della "quarta rivoluzione industriale", ridistribuire ricchezza e potere, riconnettere produttività e salario, ridare alla classe media la speranza del futuroSorprendentemente rispetto al suo passato centrista, Biden ha lanciato un gigantesco programma da 6 trilioni di dollari per lavoro, ambiente, sicurezza, infrastrutture, con un (moderato) incremento delle tasse sui grandi patrimoni, imprese e profitti, che smentisce le tendenze antistataliste e privatiste prevalenti fin dagli anni Ottanta. È un grande piano pubblico che dovrebbe raddrizzare gli squilibri della «quarta rivoluzione industriale», ridistribuire ricchezza e potere, riconnettere produttività e salario, ridare alla classe media frustrata la speranza del futuro.
È una svolta coraggiosa e molto difficile: la sottilissima maggioranza congressuale democratica potrebbe svanire alle elezioni intermedie del 2022; regole insensate come l’ostruzionismo al Senato quasi azzerano la sua produttività legislativa; il predominio trumpiano tra i repubblicani in molti Stati scatena battaglie radicali antidemocratiche di ostacolo all’accesso al voto o di allargamento del diritto privato di portare armi.
C’è anche un altro ostacolo. Biden parla di giustizia economica e fa bene, ma il racconto della mitica società della middle class prevedeva una solida famiglia nucleare, un’ampia affiliazione religiosa, un ruolo subordinato della donna, una diffusa etica del lavoro, un condiviso American Way of Life, fondamentalmente bianco. Dato questo nesso, Clinton aveva abbracciato i tradizionali family values. La disgregazione di questi fattori socio-culturali non può essere bloccata col solo discorso economico. Certo, gli obiettivi di giustizia economica godono di grande popolarità anche tra molti repubblicani, il 35% dei quali è favorevole a comprare un’assicurazione sanitaria pubblica. Nelle recenti elezioni presidenziali, in Florida il 61% dei votanti ha sostenuto il rialzo del salario minimo statale a 15 dollari, mentre solo il 48% ha votato per Biden. Ma sul terreno socio-culturale i democratici sono silenti o imbarazzati, e i repubblicani ci si gettano sopra, trovando anche riscontri inaspettati come tra alcuni immigrati latinos tradizionalmente democratici.
Il compito di Biden è contemporaneamente drammatico ed eroico, ma un risultato lo ha già ottenuto: superare la fallimentare Terza Via di Clinton e Obama, indicando al partito una via per il futuro.
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