Schleswig-Holstein: l'effetto Schulz è finito? Alle 18 di ieri si sono chiuse le urne dello Schleswig-Holstein, il Land più a Nord della Germania, per eleggere il nuovo Landtag, il Parlamento, all’interno del quale sarà poi definita la maggioranza di governo. Il risultato non è lusinghiero per il presidente uscente, il socialdemocratico Torsten Albig, che guidava una giunta insieme ai Grünen e al partito della minoranza danese (Ssw, che entra comunque nel Landtag, anche se non supera la soglia del 5% che, trattandosi del partito espressione di una minoranza, non si applica).
L’esperienza di governo della coalizione guidata da Albig non era stata negativa, al contrario godeva di un certo apprezzamento: la Spd perde, tuttavia, il 3,2% dei voti (risultato complessivo 27,2%) e questo priva la coalizione uscente della maggioranza al Landtag.
La Cdu, affidatasi a un giovane, Daniel Günther, classe 1973, quale candidato di punta per il governo del Paese, si riconferma primo partito (+1,2%, nel complesso 32%): a questo punto toccherà innanzitutto proprio alla Cdu verificare le condizioni per una coalizione. Possibili sono un’alleanza con la Spd sull’esempio federale (una «Grande coalizione», anche se il Land ha conosciuto solo una volta questa esperienza) o con i Grünen (12,9%) e i liberali della Fdp (11,5% e addirittura +3,5% rispetto al 2012), una coalizione «Giamaica» per via dei colori dei partiti (nero della Cdu, verde per i Grünen e giallo per la Fdp). Ancora possibile, anche se politicamente complicata, è l’ipotesi di una coalizione tra Spd, liberali e verdi: da domani i partiti avvieranno le trattative ma il dato della Cdu peserà non poco sulle scelte da compiere.
Alternativ für Deutschland (AfD) entra nel Landtag con un poco lusinghiero (se confrontato ad altri risultati regionali, ma si deve sempre tener presente che era la sua prima prova nelle elezioni per il Landtag) 5,9% dei voti, ottenendo quattro seggi. Tutti gli altri partiti hanno già escluso qualsiasi forma di collaborazione con AfD. Fuori la Linke ferma al 3,8% (+1,5% rispetto al 2017), scompaiono i Pirati, che nel 2012 ottennero l’8,2% dei voti.
Potrebbe restare una vicenda locale se, appena poche settimane fa, Martin Schulz non avesse indicato i tre passaggi che lo avrebbero condotto alla Cancelleria: le elezioni prima in Saarland (segnate da un successo della Cdu e da un arretramento della Spd), poi nello Schleswig-Holstein e, infine, in Nordrhein-Westfalen (le elezioni sono fissate per la prossima settimana). Evidentemente il risultato di oggi non può soddisfare le aspettative del candidato cancelliere socialdemocratico, che, infatti, si è subito detto profondamente deluso.
Le questioni locali, che pure hanno animato la campagna elettorale – in particolare quelle riguardanti l’istruzione e alla tassa sull’asilo, voluta dalla coalizione uscente – non sono certamente in grado di spiegare la sensibile riduzione dei consensi di elettori patita dalla Spd, nonostante il giudizio positivo sul governo guidato da Albig a favore della Cdu: è più che probabile che si tratti di un segnale degli elettori inviato direttamente al Willy Brandt Haus, la sede centrale della Spd.
La candidatura di Martin Schulz è in crisi: la sua nomina (ma soprattutto la rinuncia alla corsa per la Cancelleria dell’ex presidente Sigmar Gabriel, poco amato dal partito) aveva fatto parlare di un «effetto Schulz» nei sondaggi, che avevano evidenziato una rilevante crescita per la Spd, da poco più del 20% dei primi di gennaio fino al 32% di fine marzo, prossima a superare l’Union di Cdu e Csu. Vero o presunto che fosse, questo effetto sembra essere scomparso (la Spd è nuovamente sotto il 28%, molto distante dai conservatori) per via di una disastrosa campagna elettorale. Schulz ha scelto di non presentare, per il momento, un programma elettorale (se ne riparlerà al congresso federale del partito) e si è impegnato in una serie di affermazioni (rivedere le norme della disoccupazione di lunga durata, quelle sul sistema dei sussidi) che sembrano un tentativo di ‘ricollocarsi’ a sinistra – magari strizzando l’occhio alla Linke, che insegue la Spd su questi stessi temi – ma che sino a oggi non hanno entusiasmato l’elettorato.
Il risultato di AfD non è certamente lusinghiero e, tuttavia, il partito entra in un altro Landtag. AfD sembra essere in difficoltà, dilaniata da conflitti interni emersi all’ultimo congresso del partito, e dal venir meno (quantomeno temporaneamente) delle due crisi che ne avevano decretato il successo: quella europea, in particolare, quella nota giornalisticamente come la crisi dei debiti sovrani (alla quale il partito deve la sua fondazione e i suoi primi successi, non a caso il primo segretario era Bernd Lucke, un economista) e quella dei rifugiati determinata dalla guerra in Siria. La Cdu guidata da Angela Merkel ha resistito alle critiche nel corso di tutto il 2015 e il 2016 e adesso sembra riuscire a fronteggiare con maggiore determinazione gli slogan, velleitari ma a tratti efficaci, della nuova formazione.
La momentanea crisi del partito non va però sopravvalutata: AfD rappresenta ancora oggi uno dei fattori di maggiore problematicità del sistema politico tedesco, perché rende possibile, con la problematica categoria del populismo, a far isolare tutte le forze non pienamente integrate o integrabili nei due grandi Volksparteien (tra cui, ad esempio, la Linke), rendendo (quasi) inevitabile una nuova Grande coalizione tra Spd e Union di Cdu e CSU.
A questo proposito c’è anche un altro aspetto delle elezioni nello Schleswig-Holstein da non sottovalutare, lo riportava la Welt qualche giorno fa con le parole di Wilhelm Knelangen, professore di Scienza Politica all’Università di Kiel: AfD ha fatto molta fatica a presentarsi come un partito antisistema, unica alternativa alla politica tradizionale. La ragione è molto semplice: nel Land non c’è quasi mai stata una Grande coalizione tra Spd e Cdu. I due grandi partiti guidano coalizioni autonome, alle quali fa da contraltare un’opposizione forte e credibile, che critica il governo e si propone quale alternativa. In questo modo, la soluzione è affidata interamente alla dialettica tra le proposte politiche dei partiti e AfD non può limitarsi a presentarsi come ‘altra’ ma deve concretamente intervenire nel dibattito del Land con soluzioni e proposte credibili.
Una simile spiegazione è convincente. Dove la democrazia, infatti, riesce a organizzarsi intorno a proposte politiche chiare, è più difficile affermarsi esclusivamente grazie ad una retorica anti establishment: un’altra ragione per augurarsi la fine, rapida, della Grande coalizione a livello federale.
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