25 anni dopo il 3 ottobre 1990. Avrebbe potuto e dovuto essere una grande festa patriottica e, in parte, certamente lo è stata. Un quarto di secolo dal giorno che ha ufficialmente sancito la riunificazione della Germania. In tutte le città, grandi e piccole, discorsi, rievocazioni, bandiere nero-rosso-gialle, musiche, danze e chilometri di salsiccia e fiumi di birra. A Berlino, davanti alla porta di Brandenburgo una folla infinita fino alla Siegessäule. Anche un’edizione straordinaria della Bild Zeitung distribuita gratuitamente a tutti i Bundesburger. La cerimonia ufficiale si è tenuta, non a caso, a Francoforte, di fronte alla Paulskirche, per ricollegarsi idealmente alla problematica tradizione democratica che nel 1848 non era riuscita ad imporsi e che sembra invece oggi saldamente radicata.
In effetti, al di là della retorica d’occasione, c’è di che festeggiare. Venticinque anni fa è iniziato un processo di unificazione che è ancora in corso e che continuerà ancora per molti anni, se mai arriverà ad una conclusione. Ma i progressi sono stati notevolissimi e quasi sbalorditivi. C’è chi parla di Anschluss, evocando l’annessione dell’Austria da parte del Reich hitleriano, chi di conquista coloniale della ex Ddr da parte della Bundesrepublik. In effetti, quella che i tedeschi occidentali chiamano die Wende (la svolta) e altri, soprattutto tedeschi orientali, der Bruch (la rottura), è stato un caso di cambiamento repentino, accelerato e non privo di una certa brutalità, anche se non è stata versata neppure una goccia di sangue. Sta di fatto che oggi (lo dicono i dati delle indagini più recenti) solo poco più di un tedesco orientale su 20 rimpiange la Ddr, anche se molti di più (un buon 57%) ritengono che di quel regime non tutto fosse da buttar via. Dal punto di vista economico (in termini di Pil pro capite) il divario tra i Länder dell’Est e quelli dell’Ovest è ancora notevole, ma in via di riduzione. Politicamente, ad Est restano più forti le forze estreme di destra e di sinistra, ma i grandi partiti di centro Cdu e Spd si sono insediati abbastanza saldamente. I pregiudizi e le mentalità sono più dure a morire del divario economico e delle fratture politiche. È più facile cambiare l’economia e la politica che non la testa della gente. Ma anche qui, la voglia di stare insieme, il senso di appartenenza alla comune patria tedesca, è certamente più forte delle divisioni culturali. Peraltro, noi italiani sappiamo bene che, nonostante i divari economici e le pulsioni secessioniste (ormai sopite), tra Nord e Sud troviamo il modo di stare, bene o male, insieme.
Ma, dicevo, la ricorrenza del 3 ottobre è stata solo in parte una grande festa patriottica. Due nubi hanno impedito di celebrarla con piena serenità. La questione dei profughi suscita molte preoccupazioni. Tutti i discorsi, a cominciare da quello del presidente Gauck, hanno invocato l’unità nell’affrontare questa sfida. La coraggiosa apertura di Angela Merkel, sorprendente per un animale politico così cauto e temporeggiatore, sta spaccando non solo il suo partito ma anche il partner socialdemocratico. Le stime dicono che quest’anno ne arriveranno 800.000, ma i più pessimisti già parlano di un milione e mezzo. A preoccupare non è soltanto l’emergenza. Anche la macchina organizzativa tedesca incontra qualche difficoltà quando si tratta di accogliere ogni giorno decine di migliaia di persone che hanno bisogno di un tetto qualsiasi, di un giaciglio e di un po’ di cibo. Ma la sfida dell’emergenza, dell’accoglienza, della registrazione ecc. in qualche modo verrà risolta. È il “dopo” che preoccupa di più, perché bisognerà trovare a tutti un’abitazione stabile, un lavoro che consenta di sopravvivere. Già si fa il conto di quanti interpreti, di quanti poliziotti, di quanti medici e di quanti infermieri, di quanti assistenti sociali, di quanti insegnanti in più ci vorranno per innescare processi di integrazione ed evitare che nascano focolai di rivolta e che si moltiplichino i casi di conflitto coi gruppi xenofobi e con le popolazioni locali. Angela Merkel punta sulla fiducia: la Germania unita ce la può fare. Una grande lezione morale, soprattutto al resto d’Europa e in una fase in cui l’immagine della Germania era non poco appannata. Molti però non condividono il suo coraggio.
Se questo non bastasse è arrivata la batosta della Volkswagen, le cui conseguenze per la Germania (e anche per il resto d’Europa) sono ancora largamente imprevedibili, ma certo non saranno positive. La Volkswagen aveva prenotato per la festa del 3 ottobre un paginone della "Frankfurter Allgemeine Zeitung", all’ultimo minuto ha dovuto cambiare il testo: niente festa, ma la promessa che farà tutto il possibile per riacquistare la fiducia dei propri clienti.
Queste sono le nubi che hanno offuscato la festa dell’unità tedesca. Qualcuno da noi si è rallegrato dei guai della Germania. C’è poco da rallegrarsi.
Riproduzione riservata