Germania, il «Tv-Duell» tra Merkel e Schulz. Alle prossime elezioni di settembre saranno chiamati a votare oltre sessanta milioni di cittadine e cittadini della Repubblica federale. I sondaggi assegnano, con un vantaggio tranquillizzante, la vittoria ad Angela Merkel, che, nonostante la crisi economica scoppiata ormai dieci anni fa e l’emergenza rifugiati, sembra capace di non farsi logorare dall’inevitabile usura da esercizio del potere. Questo quarto successo, tuttavia, non può essere spiegato solo con le virtù e le abilità della cancelliera.

Nel «duello» televisivo di ieri sera Angela Merkel è sembrata più sicura e preparata di Martin Schulz: il candidato socialdemocratico doveva incalzare la cancelliera e rovesciare la discussione sui temi rispetto ai quali criticare le scelte del governo. In questo non è stato aiutato dall’impostazione del dibattito, concentrato per oltre la metà su questioni di politica internazionale, sull’Islam e sull’integrazione (un dibattito, va riconosciuto, nel complesso poco interessante, legato a questioni marginali: i più giovani hanno denunciato sui social network che il «duello» fosse in realtà una sorta di «interrogatorio» di AfD alla grande coalizione).

Schulz ha preferito contestare alla cancelliera la gestione della crisi dei rifugiati e l’accordo con la Turchia, senza riuscire, però, anche solo a tratteggiare una politica davvero alternativa a quella dei conservatori: non è chiaro, ad esempio, cosa intenda Schulz per un linguaggio più «duro» con il presidente turco. L’impressione è che Schulz, almeno in politica estera, sia rimasto ancorato al dibattito degli anni Novanta, alla «promozione» dei diritti umani e della democrazia, a quel «mai più Auschwitz» che autorizzò l’attacco in Kosovo: il Paese che vuole governare, però, è radicalmente cambiato da quello che preferì a Kohl il socialdemocratico Schröder.

Il vero paradosso è che la Germania è realmente attraversata da una serie di difficoltà che media e riviste specializzate non mancano di sottolineare: ad esempio una crescente disuguaglianza (tema a cui il grande storico Hans-Ulrich Wehler dedicò il suo ultimo libro); la questione dei salari troppo bassi, che rischia di minare le fondamenta dell’economia sociale di mercato (lo denunciava la «Sueddeutsche Zeitung» appena qualche tempo fa); la diminuzione della disoccupazione a costo, però, dell’aumento di figure contrattuali atipiche; la persistenza di una marcata divisione del Paese tra Est e Ovest a oltre venticinque anni dalla riunificazione.

Tuttavia, la Spd non sa approfittarne (e nemmeno la Linke, nonostante un chiaro programma elettorale) e il favore dei tedeschi verso i populisti di Alternative für Deutschland, per quanto ancora consistente e da non sottovalutare, si è decisamente raffreddato, ai conservatori e alla cancelliera, pur criticati, non sembra, pertanto, esserci alternativa.

Forse la risposta è contenuta in una frase sibillina che Angela Merkel ha pronunciato domenica sera: «Viviamo una fase avvincente ma anche esigente: quello che oggi appare certo, non è per nulla assicurato per il domani». In quel momento Merkel si riferiva alle nuove tecnologie che potrebbero rivoluzionare il mercato del lavoro, ma è una frase potentemente ambigua, nella quale si ravvisa una certa ansia per il futuro e per tutte le sfide che il Paese sarà chiamato a gestire. Lo storico Volker Ullrich in un’opera ormai divenuta un classico sul II Reich parlava di una potenza nervosa (Die nervöse Grossmacht 1871-1918), la Germania di oggi sembra allo stesso modo, ma per ragioni diverse, inquieta, ansiosa.

Gli scandali degli ultimi anni (quello del diesel e del cartello delle case automobilistiche, come pure quello legato ai mondiali di calcio del 2006 che hanno toccato anche un’autorità nazionale come Franz Beckenbauer) hanno certamente incrinato la fiducia dell’elettorato verso la politica, che appare incapace di governare questi processi, ma soprattutto spinto gran parte del Paese sulla difensiva, preoccupato della messa in discussione del Modell Deutschland e, ad esempio, il rischio, nel settore automobilistico, di una crisi e della conseguente perdita di posti di lavoro.

Non è un caso che su questo tema, Angela Merkel, nel dibattito di ieri sera, sia stata chiarissima: si è detta contraria a rimborsi per i consumatori sul modello del diritto statunitense e ha indicato come priorità la difesa dei livelli occupazionali.

Il successo di Angela Merkel è interamente qui, nella sua capacità di magnetizzare il consenso di una parte consistente della popolazione tedesca, trasversale per classe e formazione ma tutto sommato omogenea dal punto di vista anagrafico.

Si faccia riferimento alla distribuzione dei votanti per età: la quota di ultrasessantenni è di oltre venti milioni (più di 1/3, dunque, del corpo elettorale), il gruppo di per sé più numeroso è quello tra i cinquanta e i sessant’anni (circa dodici milioni, il 20%) mentre coloro che hanno meno di trent’anni sono meno di dieci milioni (di cui circa tre milioni che andranno al voto per la prima volta). Nulla di nuovo, si dirà: è un fenomeno ormai molto evidente in gran parte d’Europa, sebbene in Germania sia più marcato.

In estrema sintesi si può parlare di una società inquieta, che ha certamente affrontato la crisi meglio di altre ma che teme di poter perdere gran parte del proprio benessere (preoccupazioni ovviamente presenti soprattutto in quei dodici milioni di cinquantenni). Il paradosso è che questo processo, come i dati mostrano, è già in corso: l’aumento della disuguaglianza, come pure una deviazione non lieve dai principi dell’economia sociale di mercato, sono fenomeni che dagli anni novanta sono andati sempre più ad accentuarsi.

Tuttavia i recenti scandali sullo spionaggio degli Stati Uniti ai danni degli alleati occidentali, tra cui la stessa Germania, come pure le polemiche sugli scandali legati all’industria automobilistica hanno offerto nuovi elementi di preoccupazione. È, come si diceva, la crisi, meglio, la sindrome di «accerchiamento» del Modell Deutschland, che spinge molti a considerare imprescindibile, da parte della classe politica, la difesa delle grandi aziende tedesche, in una parola la questione degli interessi nazionali e della tenuta stessa del paese.

Come coniugare efficacemente la difesa degli interessi nazionali senza cadere in una logica sciovinista ma puntando anche a un’integrazione in Europa? È questo il vero dilemma per una generazione (come detto tra le più consistenti tra quelle chiamate a votare a fine settembre) che rappresenta la cifra del prossimo passaggio elettorale. A questa generazione si è rivolta, con successo, Angela Merkel.

Alternative für Deutschland (AfD), con la quale Merkel ha escluso ieri ogni collaborazione, riscuote un successo interclasse e intergenerazionale, questo è la ragione del suo successo e anche dei suoi evidenti limiti: è parte di un processo di ri-nazionalizzazione della politica che, però, in Germania non si radica in un partito chiaramente antisistema, restando confinata a una dimensione esclusivamente populista e di protesta, che ben si adatta a intersecare trasversalmente, in senso sociale come pure generazionale, la società tedesca. Una «seria» ed efficace difesa degli interessi nazionali è demandata ai conservatori.

È questa impostazione a consegnare un nuovo mandato ad Angela Merkel: si tratta di uomini e donne cresciute nell’idea della riunificazione e, al contempo, della costruzione europea, per i quali il voto ad AfD è semplicemente inaccettabile, perché semplicemente nega lo spirito che ha animato quella generazione, mentre è ancora troppo vago e quindi «rischioso» quello per i socialdemocratici (sembra tornare di moda il vecchio motto di Adenauer: «Keine Experimente»).

Su questo, i conservatori, che pure non hanno un programma chiaro e definito (sull’Europa c’è ben poco ad esempio, tranne una sibillina volontà di cooperare con la Francia dopo l’elezione di Macron, che suggerisce anche una tacita adesione alle proposte di Parigi di una revisione dei Trattati), sono riusciti ad accreditarsi come più efficaci delle forze progressiste.

Il vero problema di questa impostazione è che, al quarto mandato, Angela Merkel sarà chiamata a un’operazione non più di contenimento dell’ansia e dell’inquietudine dei suoi concittadini, ma di una vera e propria trasformazione della capacità del paese di affrontare il proprio ruolo in Europa e nel mondo. Non si può avere paura del futuro troppo a lungo, perché, presto o tardi, arriva.

 

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