Manca un mese al voto per il rinnovo del Bundestag. Le elezioni si terranno infatti il prossimo 24 settembre e il vantaggio dell’Union di Cdu e Csu sulla Spd di Martin Schulz sembra ormai incolmabile: oltre il 38% ai conservatori, meno del 24% ai socialdemocratici. I sondaggi sembrano, quindi, dare per certo un nuovo cancellierato di Angela Merkel, il quarto, eguagliando così Helmut Kohl.
Più difficile individuare la coalizione delle forze politiche che dovrebbe sostenere l’eventuale IV Kabinett Merkel. La soluzione più scontata è la riproposizione della Grande coalizione tra Union e Spd: ad avviso di chi scrive è l’ipotesi peggiore, che consegnerebbe di nuovo il governo del Paese a una maggioranza enorme (ben oltre il 60%), con un’opposizione divisa in quattro, relativamente deboli partiti e, nei fatti, ininfluente.
Il sistema politico della Repubblica federale, imperniato sulla centralità del Bundestag, vive di una costruttiva dialettica tra forze di maggioranza e di opposizione, mentre la Grande coalizione determina la necessità di continui accordi extraparlamentari, tra i grandi partner dell’alleanza, con il rischio di ridurre il lavoro del Bundestag a mera certificazione di questi accordi. Non è un caso che in quarant’anni di Repubblica di Bonn la Grande coalizione fu una soluzione adottata solo per un triennio (dicembre 1966 - ottobre 1969), mentre dalla Riunificazione si sono già succedute due Grandi coalizioni (2005-2009 e 2013-2017, entrambe a guida Merkel, e non va dimenticata la fitta collaborazione tra socialdemocratici e Union a inizio 2000 per l’approvazione di Agenda 2010).
Nell’ipotesi di Grande coalizione non sarà irrilevante verificare chi costituirà il principale partito di opposizione, cioè il gruppo parlamentare più numeroso tra le forze di opposizione, che, per regolamento del Bundestag, è quello che interviene subito dopo il governo. Al momento i sondaggi indicano la Linke, ferma a un tutto sommato deludente 9%, tuttavia – e questo è uno degli elementi d’interesse di questa campagna elettorale – Alternative für Deutschland (AfD) potrebbe recuperare qualche punto, riuscendo a imporsi come prima forza di opposizione (al momento è data all’8,3%).
Su AfD si è detto di tutto: in particolare è stata sottolineata la crisi del partito rispetto a un anno fa, quando i sondaggi gli attribuivano un consenso a doppia cifra. Indubbiamente ha avuto ragione Angela Merkel a non cedere praticamente nulla alle richieste del nuovo partito – che pure si è affermato a livello di Länder – facendone decantare la forza con la sola azione del proprio governo (ovvero: la rigidità nella vicenda del debito greco e l’accordo con la Turchia sui rifugiati). Tuttavia AfD, calamitando voti trasversalmente da tutto il quadro politico, potrebbe rendere necessaria una nuova Grande coalizione, fossilizzando così il sistema politico tedesco e riuscendo, per la prima volta nella storia della Repubblica federale, a far entrare i rappresentati di un partito dichiaratamente estremista al Bundestag.
Alla Grande coalizione, Angela Merkel potrebbe preferire altre opzioni: ad esempio un’alleanza giallo-nera con i liberali della Fdp, che dovrebbero rientrare al Bundestag (attualmente sono dati oltre l’8%) dopo lo shock del 2013 quando ne furono esclusi non avendo superato, per la prima volta, la soglia del 5% e che puntano, con un programma molto aggressivo, a cambiare il corso di una Cdu e di una Cancelliera considerate troppo «socialiste». Un’alleanza Union e Fdp sembra, però, non disporre, al momento, della maggioranza necessaria, seppur per uno scarto minimo. Come pure una coalizione, inedita sul piano federale ma già sperimentata nel Baden-Württemberg e in alcune città, tra conservatori e Grünen, il partito verde.
La soluzione potrebbe essere una coalizione tra conservatori, liberali e verdi, con la Merkel che potrebbe riuscire (in questi dodici anni ha dimostrato come sia la sua qualità migliore) a far convivere i riottosi alleati e a fare del proprio partito il perno dell’inedita alleanza ‘giamaicana’ dai colori delle forze politiche che la sosterebbero (giallo, nero e verde). Christian Lindner, Presidente della Fdp che ha resuscitato il partito, pur essendo ostile a questa ipotesi – perché ne riconosce i rischi per il suo programma liberale – potrebbe essere costretto ad accettarla se il suo partito non disponesse dei voti necessari per una coalizione con i soli conservatori, anche per boicottare – obiettivo che la Fdp persegue dichiaratamente – l’ingresso dei socialdemocratici al governo.
Con una simile coalizione Angela Merkel potrebbe procedere imponendo i punti qualificanti del suo programma: stabilità interna, con un occhio alle classi sociali più a rischio (quindi salario minimo, dialogo con i sindacati, investimenti mirati e conti in ordine), e guida dell’Europa, con il consenso necessario per una modifica (non cosmetica ma rilevante) dei Trattati europei, obiettivo che dovrebbe coronare il suo lungo cancellierato.
I Grünen, in caduta libera (poco più del 7%), potrebbero accettare l’esperimento di un governo con Angela Merkel, anche perché non sembrano avere altre scelte. Al momento, infatti, l’ipotesi di una coalizione di Spd, Linke e Grünen, oltre che difficilmente praticabile, non dispone del consenso necessario (ottengono poco più del 40 percento).
Nel campo progressista la crisi appare profonda: la Spd sino a oggi non ha trovato in questa campagna elettorale una propria identità, il suo candidato è molto debole e non è riuscito a capitalizzare l’entusiasmo che pure si era manifestato quando fu annunciata la sua candidatura. Martin Schulz non è mai riuscito a declinare una propria idea di politica, alternativa a quella della Cancelliera. L’attuale dirigenza del partito sembra troppo interessata a restare al Governo, palesando così la preferenza per l’ipotesi di un rinnovo della Grande coalizione: non è difficile immaginare che questo scenario potrebbe determinare anche uno scontro generazionale con gli Jusos guidati dalla trentenne Johanna Ueckermann, che tentò di evitare già nel 2013 l’accordo con la Cdu e la Csu, e uno con la sinistra interna del partito, nella quale spicca la figura di Andrea Ypsilanti, animatrice dell’Institut Solidarische Moderne, che da anni tenta di definire un programma comune di governo per le forze progressiste.
La Linke ha scelto la strada di opporsi alla Spd e di sottolineare gli aspetti meno radicali del programma socialdemocratico, elaborando al contempo rivendicazioni molto più forti come l’innalzamento del salario minimo a 12 euro o la messa in discussione del sistema dei sussidi Hartz IV. La strada, almeno per il momento, non sembra aver convinto l’elettorato. Sembra profilarsi per le forze progressiste una crisi che non si può spiegare in termini di (maggiore o minore) radicalità, quanto piuttosto di senso e prospettiva di una forza di sinistra in un mondo che cambia.
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