I dilemmi che la campagna elettorale non ha affrontato. Almeno sino a oggi, le elezioni tedesche non hanno certo destato entusiasmo. La forza di Angela Merkel, la cui rielezione non è mai stata davvero messa in discussione, e l’incapacità di Martin Schulz di sfruttare il buon clima che si era generato inizialmente intorno alla sua candidatura, non hanno aiutato a vivacizzare il dibattito politico. Qualcuno si è spinto a parlare di «miseria» della campagna elettorale tedesca per via della sua superficialità e distanza dalle sfide reali per un Paese che gioca un ruolo non secondario anche sul piano internazionale.
Tuttavia, al netto delle valutazioni sulla qualità della sfida elettorale, l’attuale passaggio politico è complicato proprio perché interamente dominato dalla figura della Cancelliera, che il 24 settembre potrebbe giungere al suo quarto (e ultimo, come già ha ribadito) mandato. Sarà rieletta perché non ha alternative credibili e perché, come lei stessa ha ammesso sin dalla campagna elettorale del 2013, «i tedeschi mi conoscono». Ecco perché fino ad oggi la Cancelliera non ha fatto nulla per definire il suo programma, per chiarire come intenda gestire i prossimi anni e quali siano le priorità su cui concentrarsi. È certamente una scelta in linea con la personalità di Angela Merkel ma, alla lunga, può risultare poco lungimirante e persino pericolosa.
E questo perché questioni decisive sono rimaste ai margini della discussione, sebbene costituiscano veri e propri dilemmi non solo per il dibattito politico verso le elezioni ma per gli anni a venire. In estrema sintesi, si può parlare di cinque «dilemmi»: istituzionale, sociale, internazionale, europeo e politico.
1) Dobbiamo tornare a ribadirlo: la Grande coalizione (GroKo) è lo strumento con il quale la Germania ha affrontato la crisi, ma non può trasformarsi in una modalità permanente di governo. Nel lungo periodo, infatti, essa è difficilmente compatibile con la centralità del Bundestag così come delineata dal Grundgesetz e rischia di svilirlo a mero luogo di convalida di accordi extraparlamentari, con le opposizioni ridotte a esprimere esclusivamente un diritto di tribuna. Angela Merkel ha, nel corso della campagna elettorale, ribadito che potrebbe formare coalizioni con tutte le forze politiche, meno AfD e Linke, equiparando così i due partiti e collocandoli fuori dal circuito istituzionale perché regierungsunfähig (cioè non idonei a sostenere le responsabilità di governo). Si tratta di un’evidente forzatura per mettere in difficoltà la Spd e ribadire la centralità dei conservatori: ma è una forzatura rischiosa, perché impedisce l’evoluzione di alleanze politiche alternative e che rischia di svilire la democrazia. Va anche detto che Spd e Linke hanno fatto davvero poco per dimostrare che un’alternativa alla Grande coalizione è politicamente praticabile (come del resto avviene in alcuni Länder).
2) La Germania ha certamente affrontato la crisi meglio degli altri e oggi può vantare statistiche lusinghiere. Tuttavia non si possono ignorare altri dati, meno felici: ad esempio, la crescente disuguaglianza e la conseguente sclerotizzazione della società con livelli di mobilità sociale ancora deludenti. O l’aumento dei costi di affitto delle case, in un Paese che per anni si è vantato di essere la patria degli affittuari (a oggi Monaco ha il 75% delle case in affitto, Amburgo il 78% e Berlino l’85%, Holm 2014), è un problema centrale. Angela Merkel è riuscita a evidenziare i successi dei suoi dodici anni da Cancelliera, ricordando anche le sfide che il Paese è stato chiamato a fronteggiare, quella europea e quella sui migranti, ribadendo che non ci fosse alternativa praticabile alla strada imboccata. In particolare ha più volte sottolineato che il futuro è carico di incertezze e che, rispolverando lo slogan di Konrad Adenauer, tutto sommato è bene evitare qualsiasi esperimento (Keine Experimente) ed essere soddisfatti di quello che si ha. Anche qui Merkel utilizza un approccio sicuramente conveniente in termini elettorali, ma ben poco lungimirante: non si può giocare alla lunga con l’ansia e le preoccupazioni di una nazione intera. Merkel dovrà fare i conti con la povertà crescente in ampi strati della popolazione e chi sarà chiamato a occupare il suo posto tra quattro anni, proveniente dai conservatori o dalla Spd, dovrà indubbiamente rivedere e intervenire nelle troppe incongruenze che minano il Model Deutschland.
3) Poco è stato detto sul ruolo della Germania in Europa, si è trattato quasi esclusivamente di slogan contro lo stille della presidenza Trump. Quello che si sta determinando, nel lungo periodo, è un progressivo deterioramento dei rapporti tra Washington e Berlino, iniziato anni fa e al quale la presidenza Obama ha contribuito (ad esempio nell’aperta ostilità tra i due Paesi sulla gestione della crisi economica). Le parole di Angela Merkel, al momento, sono rimaste di circostanza, con qualche pregevole intuizione: è probabile che la Cancelliera lavorerà per una distensione dei rapporti con l’alleato americano, congelando i dissapori sull’Alleanza militare, come pure con Vladimir Putin e Recep Erdoğan. Da rivedere completamente l’approccio di Martin Schulz, rimasto fermo al dibattito degli anni Novanta: il socialdemocratico ha scelto la politica estera come terreno di scontro con la Cancelliera, accusandola di essere troppo «morbida» con gli altri leader e attaccando frontalmente tanto Trump che Erdoğan. Ha cercato così di accreditarsi come il candidato più europeista, paladino dei valori dell’occidente, democrazia e diritti fondamentali: l’idea quindi della Germania come potenza civile ma mai ferma di fronte a violazioni sistematiche dei valori occidentali, strumento con il quale a fine anni Novanta fu legittimato l’intervento in Kosovo. Qualunque cosa si possa pensare di quell’operazione, va detto che la riproposizione di quelle tematiche nel frangente attuale suona del tutto anacronistico (proprio in virtù della distanza crescente tra le due sponde dell’Atlantico).
4) La Cancelliera e il suo partito hanno riservato alla questione europea parole di circostanza: prevalentemente si è fatto riferimento alla Francia e al suo nuovo presidente quale occasione per rinsaldare l’asse con Parigi a vantaggio di tutto il resto dell’Unione. È probabile che si tratti di un’implicita adesione alle proposte di riforma abbozzate da parte francese: tuttavia né Merkel né Schulz hanno tentato in campagna elettorale di specificare senso e portata di queste proposte. Arrivata al quarto mandato, Angela Merkel potrebbe decidere di lasciare con una riforma non cosmetica ma sostanziale dei Trattati per i Paesi dell’Eurozona: ormai all’apice della sua carriera potrebbe superare le perplessità interne al suo partito e, più in generale, a tutto il Paese. Se dovesse riuscire, sarebbe davvero l’apoteosi del suo cancellierato. Anche qui, però, non si può non registrare la pericolosità di simili scelte, che condannano l’elettorato, nei fatti, a non poter intervenire nelle ipotesi di trasformazione dell’Unione, finendo così per aumentare lo iato tra le istituzioni europee e i cittadini, ai quali sta offrendo materia di riflessione lo stesso Tribunale costituzionale federale, ma non il proprio governo.
5) Resta, infine, il dilemma politico. Permane la preoccupazione dell’identità della Repubblica di Berlino, nata dalla riunificazione del 1989-1990. È probabilmente questo l’aspetto di maggiore preoccupazione per i tedeschi, soprattutto per le generazioni più anziane. Un Paese al centro, ma che si sente accerchiato (anche per via dei recenti scandali), ancora incapace di esprimere una sua guida tanto in Europa che nel mondo. Non è un passaggio semplice e, probabilmente, non si risolverà nei prossimi quattro anni, ma sarà la risposta a questa domanda che plasmerà l’Europa che verrà. Merkel indicherà soltanto la strada, sarà una nuova generazione, tanto di conservatori che di socialdemocratici, che avrà il compito di percorrerla. L’atteggiamento sin qui tenuto dalla Cancelliera non aiuta, però, questa generazione a emergere e la valutazione sul suo lungo cancellierato si baserà quasi esclusivamente sulle risposte che darà nei prossimi quattro anni a questi dilemmi.
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