Le due coppie candidate dell'Spd a confronto. Manca meno di un mese al congresso della Spd che sancirà quale delle due coppie guiderà il partito nei prossimi anni. Anche la Spd ha scelto, infatti, di affidare il vertice del partito a un uomo e una donna, come accade ad esempio, nei Grünen. Un ultimo confronto tra i quattro è previsto il 18 novembre. Dal 19 fino al 29 gli iscritti potranno votare su internet o per posta. Poi ci sarà il congresso vero e proprio, dal 6 all’8 dicembre a Berlino: un congresso fatto di delegati, che discuteranno la proposta degli iscritti e la metteranno al voto (per cui un distinguo dei delegati dalla scelta degli iscritti è, almeno teoricamente, sempre possibile).
Dopo il primo turno – nel quale ha votato poco più della metà degli iscritti senza che nessuna delle coppie candidate raggiungesse la maggioranza assoluta –, a contendersi la guida del partito saranno Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans da un lato, e Klara Geywitz e Olaf Scholz dall’altra.
La prima coppia è considerata quella prossima a un progetto più “di sinistra”: conclusione del corso neoliberista, messa in discussione della Grande coalizione (magari sostituita da un governo di minoranza della sola Cdu), un profilo più chiaramente legato alla socialdemocrazia vecchio stile. I due hanno il sostegno dei giovani del partito, ma scontano, tuttavia, una certa inesperienza politica.
L’altra coppia è più vicina all’establishment che ha guidato il partito sino ad oggi, per giunta Olaf Scholz è l’attuale ministro delle Finanze e vicecancelliere. Una loro vittoria significherebbe, almeno per la Spd, la prosecuzione dell’esperienza di governo con i conservatori fino alla scadenza della legislatura (2021), al termine della quale Scholz ha promesso di non voler ripetere una grande coalizione. Promessa quantomeno surreale visto che a decretare la fine di questa formula saranno gli elettori: secondo i sondaggi, infatti, conservatori e socialdemocratici insieme non avrebbero la maggioranza per governare e dovrebbero cercare comunque altri alleati.
Le due coppie stanno evidenziando tutte le differenze tra le loro proposte politiche. In particolare, l’accordo sul clima e quello, recentissimo, sulle pensioni vengono considerati da Esken e Walter-Borjans ben poca cosa rispetto a quello di cui il Paese avrebbe bisogno: vale a dire aumento della tassa sui patrimoni per sostenere il passaggio a un modello industriale “verde” e salari più alti per pensioni più giuste (il salario minimo dovrebbe, conseguentemente, essere elevato a 12 euro l’ora, di contro agli attuali 9,19 che diventeranno 9,35 l’1 gennaio 2020).
Anche nel confronto organizzato nella sede del partito il 12 novembre, i quattro hanno continuato a rimarcare le differenze: Geywitz e Scholz hanno ribadito la rilevanza degli accordi raggiunti, e lo stesso Scholz ha ricordato il suo impegno per l’introduzione del salario minimo, che vuole contribuire a elevare sino a 12 euro l’ora, la bontà delle proposte sulle pensioni («un grande successo della Spd») come pure dell’esperienza del partito al governo. Gli altri due, invece, hanno contestato questi accordi: quello sulle pensioni, in sé corretto, rischia di confermare la crescita del settore dei bassi salari, assolutamente insufficienti per una pensione dignitosa, per cui si renderebbe poi necessario l’intervento dello Stato (vale a dire dei contribuenti).
La differenza tra i due è emersa chiaramente quando si è parlato del recente accordo per le condizioni di lavoro dei corrieri postali, un settore gravato negli ultimi anni da esternalizzazioni, affido a terzi in appalto spesso del tutto privi di tutele, salari bassissimi e premi di produttività che gravano non poco sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori. Scholz ne ha difeso l’impianto, ricordando come proprio stando al governo il partito abbia potuto mettere la questione al centro dell’agenda politica e ottenere un risultato soddisfacente, ad esempio sull’obbligo del versamento dei contributi in capo alle aziende che ricevono un appalto e decidono di ricorrere ad aziende terze (ribadendo come sia importante «gioire per le cose fatte» e non solo bersagliare il partito di critiche). Gli ha replicato a muso duro Esken, che ha ricordato di aver lavorato proprio in quel settore e che non c’è accordo che tenga se non lo si trasforma completamente, visto che è stato completamente riformato negli ultimi anni. Se semplici, piccole migliorie sarebbero ovvie, la socialdemocrazia dovrebbe, invece, fare di più.
È stato un confronto vero. Va dato atto ai quattro protagonisti di non aver nascosto le differenze ma, anzi, di aver cercato di renderle ancora più evidenti. Entrambe le coppie scontano difficoltà non da poco: Geywitz e Scholz rappresentano la continuità e davvero non è chiaro come intendano condurre il partito fuori dall’attuale declino. Il voto più giovane, cittadino e istruito sembra andare ai Grünen, mentre fette consistenti dell’elettorato socialdemocratico si allontanano sempre di più dal partito, ormai ridotto a meno del 15%. Tuttavia, in un partito anestetizzato da quasi vent’anni di governo (nel quale la Spd è presente dal 1998 con l’eccezione della legislatura 2009-2013), la maggior parte degli iscritti e dei quadri potrebbe decidere di continuare su questa strada.
Dall’altro lato Esken e Walter-Borjans possono intercettare il voto dei delusi della Grande coalizione, da sempre in crescita, e proporre una linea simile a quella del Labour di Jeremy Corbyn. Non è un caso che il loro bersaglio polemico preferito siano le riforme di Schröder e, in particolare, il sistema comunemente noto come Hartz IV. Tuttavia, questo potrebbe essere anche un limite: i due scontano l’assenza, anche solo per esperienza, di un profilo politico più generale, a esempio sulle questioni internazionali ed europee. Inoltre, non è chiaro come e quando vorrebbero mettere fine a questa esperienza di governo: per ora sono stati sibillini, affidandosi al voto del congresso per i prossimi due anni di governo.
L’impressione è che lo scontro tra le due coppie sia la prosecuzione di quello avviato due anni fa, dopo la decisione di dar vita a una nuova Grande coalizione. Decisione scaturita per il fallimento delle trattative su una coalizione tra Conservatori, Verdi e Liberali. Allora il partito fu quasi obbligato ad accettare di nuovo il governo, nonostante un’opposizione interna in crescita. Questo ha impedito a una nuova generazione di imporsi nella Spd, di avviare un dibattitto libero dai compromessi costanti e faticosi della Grande coalizione, di poter tornare a discutere in totale libertà di un rinnovamento politico e organizzativo del partito. Restare al governo ha significato limitare al massimo una discussione aperta, perché il partito non si esponesse al rischio, costante, di passare per eccessivamente radicale: lo dimostra il surreale dibattitto di questa estate sviluppatosi intorno all’intervista al capo degli Jusos, Kevin Kühnert, sul senso del socialismo democratico e su alcuni possibili scenari, come ad esempio la nazionalizzazione delle imprese. Questo rischio ha di fatto ridotto la Spd a essere la “sinistra” della Cdu: era inevitabile che questa impostazione non fosse premiata dagli elettori.
D’altro canto, va pure detto che un ritorno a una proposta socialdemocratica “vecchio stile” potrebbe rivelarsi insufficiente, vista l’ansia della popolazione per il futuro del Model Deutschland e l’interesse della destra più radicale tra i Conservatori a soffiare sul vento dell’antieuropeismo e dello scetticismo verso la comunità internazionale, in nome della difesa degli interessi “tedeschi”. Tornerebbe utile rileggere Willy Brandt e la sua capacità, con la Ostpolitik, di connettere la questione nazionale tedesca con un mutato quadro internazionale. Ma al momento, la Spd sembra davvero lontana dall’aver maturato un nuovo scenario di politica internazionale con il quale convincere, tranquillizzare e persino galvanizzare i propri cittadini e aprire al contempo una strada nuova anche per il resto del continente.
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