Questo articolo fa parte dello speciale Città medie al voto
Il centro storico di Belluno sta disteso sopra uno sperone di roccia eroso dalle acque del Piave e del suo affluente Ardo che, per secoli, è stato la fonte primaria di energia per segherie, fucine, “folli”, concerie e mulini che sorgevano lungo il suo corso, invadendo i quartieri urbani di borgo Pra e borgo Piave. La città divenne capoluogo il 16 giugno 1797 per decreto napoleonico, in seguito all’unificazione dei territori di Belluno, Feltre e Cadore, che formarono il nucleo originario della provincia. Fu però, da subito, un capoluogo debole e privo di autorevolezza.
Feltre e il Cadore hanno chiesto più volte l’annessione ad altra provincia, ma solo Sappada si è trasferita in Friuli. I provvedimenti economici per la ricostruzione dopo il criminale disastro del Vajont offrirono alla città, e all’intera valle del Piave, un’opportunità di sviluppo industriale manifatturiero che nel capoluogo è durato appena quarant'anni. Oggi, delle cento imprese finanziate in città con i contributi pubblici di allora, ne rimangono attive solo cinque. Anche l’affermazione del turismo dolomitico ha avuto limitati effetti a Belluno. La città negli ultimi vent'anni ha registrato una crescita di arrivi (+58%) e presenze (+4%), ma nel 2000 i flussi turistici erano modesti, e gli arrivi e le presenze turistiche rappresentavano rispettivamente il 4% e l’8% del totale provinciale. Nel 2019 si è arrivati al 6% degli arrivi e al 5% delle presenze (ma, per fare un confronto, Cortina ospitò il 28% degli arrivi e il 26% delle presenze provinciali).
Belluno è il capoluogo amministrativo provinciale, eppure non ha un ruolo di guida dal punto di vista politico, economico, sociale e culturale. Aveva 35.050 abitanti nel 1991 e 35.436 nel 2021. Una città statica. Nel 2001 ospitava il 17% dei residenti provinciali, oggi ne ha il 18% perché la provincia ha perduto il 5% dei suoi residenti e anche perché in città sono immigrati 106 stranieri in media ogni anno (oggi sono 12.232, pari all’8% dei residenti).
Belluno è il capoluogo amministrativo provinciale, eppure non ha un ruolo di guida dal punto di vista politico, economico, sociale e culturale. Aveva 35.050 abitanti nel 1991 e 35.436 nel 2021. Una città statica
Il calo demografico appare ineluttabile, sebbene, nelle provincie confinanti, negli ultimi due decenni ci sia stata una crescita media del 4,5% e dell’1,7%. La popolazione a Bolzano e a Trento è cresciuta del 16% e del 14%; solo a Udine e a Vicenza c’è stata una modesta riduzione dei residenti, pari allo 0,4% e lo 0,9%, dal 2011 al 2021. Il peso percentuale della popolazione dei capoluoghi sul totale provinciale è diminuito in tutti i capoluoghi delle provincie confinanti tranne a Belluno, dov’è il 18% tale peso è minimo a Treviso (10%) e massimo a Bolzano (20%) e Trento (22%). Belluno ha una modesta forza attrattiva per i flussi sia migratori sia turistici.
Anche la centralità amministrativa s’è indebolita, molti enti pubblici sono stati chiusi, come la Banca d’Italia, altri, come la Camera di Commercio, i sindacati Cgil, Cisl e Uil, il Centro servizi per il Volontariato e Confcooperative, hanno fuso le loro sedi con quelle di Treviso. Inoltre, con la legge 56/2014, la Provincia è stata privata delle funzioni, delle risorse e del personale indispensabili per il suo funzionamento. Molte sue competenze (turismo, agricoltura, istruzione professionale, trasporti a fune ecc.) sono state accentrate in Regione. Anche l’Ulss 1 Dolomiti s’è impoverita di funzioni nell’ospedale di Belluno, nonostante la chiusura e il ridimensionamento degli ospedali di Auronzo, Pieve di Cadore, Cortina d’Ampezzo e Agordo. Per questi motivi ci sono solo 23 medici specialisti e 9 medici di medicina generale ogni 10.000 abitanti e il 6,5% dei pazienti si cura in altra Ulss.
Anche la capacità produttiva del capoluogo si trova in una sostanziale stagnazione. Nel 2001 la città aveva 3.080 imprese (3.455 unità locali) con 16.037 addetti, nel 2021 le imprese erano 2.314 (3.043 ul) con 12.238 addetti. Per la modifica dei criteri Istat, i dati non sono confrontabili se non nel caso delle manifatture (-15% di imprese, ul stabili e -25% di addetti), del commercio (-17% di imprese, ul stabili e - 25% di addetti), degli alberghi e ristoranti (+ 6% di imprese, + 32% di ul e + 69% di addetti) e delle costruzioni (+ 20% di imprese, + 34% di ul e +6% di addetti).
Si possono, invece, valutare con criteri uniformi le variazioni accadute dal 2011 al 2021. Nell’ultimo decennio si registra una flessione (-17 %) delle imprese manifatturiere, delle costruzioni (-7%), del commercio (-6%), una crescita del settore alberghi e ristorazione (+2%), dei servizi alle imprese (+11%), e dei servizi alle persone (+13%). Le imprese totali hanno avuto una riduzione del 2% e le unità locali una crescita dello 0,5%. Una stagnazione che contrasta con lo sviluppo più evidente nei comuni limitrofi che hanno saputo innescare processi di crescita economica più robusti di quelli del capoluogo.
Tuttavia, a Belluno si vive bene; il Pil resta al di sopra della media europea del 16%
Nonostante la lentezza dei cambiamenti, a Belluno si vive bene; la provincia ha un Pil che, dal 2016, è cresciuto da 4,7 a 6,8 miliardi e il Pil pro capite è variato da 25.600 a 32 mila euro annui. Il Pil bellunese resta al di sopra della media europea del 16%, ed è superiore di quello di quattro province venete. Il reddito procapite della città capoluogo dichiarato nel 2019 è stato di 23.370 euro, inferiore ai redditi di Padova e Treviso ma superiore a quello delle altre province venete. Per qualità della vita la provincia di Belluno è al 18° posto della graduatoria, ma è al 49° posto negli ambiti della cultura e del tempo libero. Questo ritardo è inspiegabile se si considera che la città è il principale polo formativo d’istruzione superiore e accoglie la metà degli 8.000 studenti delle scuole medie superiori provinciali. Belluno ha inoltre tentato più volte di costituire un nucleo di formazione universitaria con le università venete, ma senza successo. Ora ospita due corsi della Luiss Business School e alcuni corsi di geografia alpina organizzati dalla Fondazione Giovanni Angelini - Centro Studi sulla Montagna, con l’Università di Padova.
Essere il capoluogo di una provincia con un elevato indice di qualità della vita dà alcuni vantaggi: infatti, Belluno offre i propri servizi alle manifatture dei comuni confinanti e alle imprese turistiche dolomitiche. Le imprese cittadine che offrono servizi alle une e alle altre sono il 37% del totale, mentre il settore manifatturiero rappresenta poco più del 6% delle imprese e il commercio il 25%. Non sembra esserci la consapevolezza di questa vitale relazione poiché, se ci fosse, il capoluogo si farebbe interprete degli interessi diffusi che dovrebbe rappresentare, invece di disinteressarsene, come fa da tempo. I bellunesi vivono la loro città come un luogo periferico e marginale e, in parte, questa percezione è corretta, poiché in provincia risiede poco più del 4% degli abitanti del Veneto (dei quali i residenti in città sono meno dell’1%).
Belluno è il capoluogo di una provincia interamente montana, nella quale i 2/3 della superficie sta sopra i 1.300 m di quota, con una densità abitativa di 55 ab/km2. Il comune di Belluno ha una densità abitativa di 241 ab/km2, inferiore a quella media del Veneto (266 ab/km2). È evidente che ha problemi e interessi completamente divergenti da quelli della maggior parte del territorio regionale. Per questo motivo si avverte il desiderio di avere una forma di governo più aderente ai caratteri geografici e sociali di questi luoghi. Ciò spiega i molti tentativi di staccarsi dalla struttura amministrativa del Veneto, anche in occasione dell’ultimo referendum per l’autonomia bellunese (22 ottobre 2017), che ottenne più voti favorevoli del contemporaneo referendum per l’autonomia veneta. Ma questo non spiega l'incapacità delle élite politiche venete di comprendere uno dei territori più pregiati della regione. Va anche detto, però, che le stesse élite politiche bellunesi faticano a farsi carico degli interessi del territorio dolomitico di cui dovrebbero essere il capoluogo. Stentano a comprendere quale possa essere il proprio ruolo nell'esercizio della leadership politica. Tutte le comunità deboli faticano non solo a esercitare una leadership convincente, ma anche a individuare quali siano i propri interessi collettivi. Faticano a definire obiettivi futuri possibili sui quali orientare la rappresentanza politica e l'impegno amministrativo al fine di raggiungerli.
Così le elezioni amministrative a Belluno propongono temi limitati all’orizzonte comunale. Si trascura di evidenziare la necessità di strumenti amministrativi su misura dei territori montani. Si assume il titolo di città capoluogo ma non le responsabilità che questo ruolo imporrebbe. La definizione di città e di capoluogo sono più virtuali che reali, la prima per le modeste dimensioni urbane, la seconda per una volontaria rinuncia a svolgere questo difficile ruolo.
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