«Brits out!»: i dissidenti repubblicani e il processo di pace nord-irlandese. Il recente riesplodere della violenza in Irlanda del Nord – dove due militari dell’esercito britannico e un poliziotto appartenente ai nuovi apparati di sicurezza della regione sono stati uccisi da dissidenti repubblicani – pone all’ordine del giorno diversi interrogativi.
Il primo riguarda gli obiettivi perseguiti dalle fazioni dissidenti dell’IRA che hanno rivendicato le azioni. Gli attentati, infatti, non erano solamente tesi a colpire i nemici storici della lotta repubblicana, nel tentativo di provocare una reazione, che si auguravano indiscriminata. La Continuity IRA e la Real IRA, le organizzazioni repubblicane che hanno rivendicato tali azioni, hanno come loro primo obiettivo quello di colpire e screditare quella parte del movimento repubblicano che, accettando gli accordi di pace, ha messo fine a trent’anni di violenza politica nella regione. La partecipazione del Sinn Fèin all’interno delle istituzioni nord irlandesi viene interpretata dai dissidenti repubblicani come un tradimento della causa indipendentista. Per questi gruppi la lotta armata per cacciare i soldati britannici dal Nord Irlanda continua e nessun processo di pace è possibile prima del definitivo disimpegno di Westminster dalla regione. Un terzo gruppo di dissidenti, Óglaigh na hÉireann, non ha ancora colpito, ma si teme che possa farlo presto per rivendicare la propria capacità di fuoco e non lasciare l’iniziativa armata soltanto nelle mani delle altre due organizzazioni. Gli attentati hanno l’obiettivo di spingere i leader del Sinn Féin oggi al governo ad avvicinarsi alle posizioni unioniste e di costringerli a difendere gli apparati di sicurezza, in modo da screditarli successivamente all’interno della comunità nazionalista come traditori della causa repubblicana. Tale strategia avrebbe il merito di ottenere nuove reclute e di rompere progressivamente il sostegno della stragrande maggioranza della comunità nazionalista al processo di pace. Elementi entrambi fondamentali per iniziare una nuova campagna militare nel caso in cui gli apparati di sicurezza optassero per un’azione repressiva indiscriminata.
Il secondo interrogativo riguarda l’eventualità che il Nord Irlanda possa ripiombare negli anni bui dei cosiddetti "troubles" (1969-1998), quando sono state uccise più di 3700 persone in una trentina d’anni. La situazione socio-politica è completamente diversa da allora. Sul finire degli anni sessanta la comunità nazionalista, minoranza nella regione, era esclusa (in parte intenzionalmente) da ruoli istituzionali. Oggi i suoi rappresentati siedono all’interno delle nuove istituzioni emerse con il processo di pace. Se allora la comunità unionista viveva un forte conflitto interno, oggi il Democratic Unionist Party sembra saldamente detenere la maggioranza dei consensi. Per le strade di Belfast e Derry non ci sono più dimostranti per i diritti civili e tantomeno parroci protestanti a soffiare sul fuoco del conflitto etnico-nazionale. I giovani, che un tempo si scontravano pressoché quotidianamente con la polizia e l’esercito, oggi assomigliano sempre più ai loro coetanei europei, e appaiono sempre più disinteressati alla politica. La polizia stessa è stata fortemente riformata in modo da permettere anche alla comunità nazionalista di riconoscervisi, al punto di integrarla con giovani reclute. La crisi economica che oggi colpisce l’intero emisfero non ha certo risparmiato il Nord Irlanda, ma gli aiuti britannici e irlandesi sono ancora sostanziosi e le iniquità sociali degli anni Sessanta e Settanta sono un ricordo lontano. I fattori che un tempo furono alla base dello scoppio e della duratura virulenza dei "troubles" oggi sembrano interamente scomparsi. Nell’attuale contesto socio-politico regionale e internazionale molto difficilmente si potrebbe riproporre l’intensità di violenza che per trenta anni ha dominato quest’angolo nel Nord-ovest dell’Europa. Questo evidentemente non esclude la possibilità che gruppuscoli estremisti decidano di imbracciare nuovamente le armi per ricordare che, nonostante la firma degli accordi di pace, per alcuni il conflitto nord irlandese è ancora aperto.
Occorre allora riflettere sulle strategie da adottare oggi per evitare il ripetersi degli errori del passato. Innanzitutto appare prioritario limitare, per quanto possibile, al solo campo investigativo l’utilizzo delle forze dell’ordine. Evitare poi una qualsiasi repressione indiscriminata della comunità nazionalista. Impedire infine che gruppi paramilitari lealisti leggano gli attentati come un nuovo pericolo per la propria comunità e rispondano con nuove azioni di violenza, innescando una spirale a catena. In questo senso, fondamentale sarà la fermezza del Sinn Fèin nel contrastare nuove azioni violente e nel sostenere le, seppur deboli, istituzioni regionali. Le altre forze politiche, abbassando i toni, paiono disposte a riconoscere alla leadership repubblicana la sostanziale positività del lungo percorso fatto sin qui. Le marce della pace che nelle scorse settimane hanno attraversato le maggiori città nord irlandesi sono sicuramente lo strumento più diretto per respingere ogni desiderio di tornare indietro ai cupi anni dei "troubles", considerando che l’estate delle marce settarie non è troppo lontana e che arrivarci indeboliti sarebbe sicuramente un’arma potente nelle mani di coloro che vogliono destabilizzare il processo che da anni ha pacificato il Nord Irlanda.
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