Che tipo di presidente della Repubblica serve all’Italia? In primo luogo un presidente che sia un custode e un garante della Costituzione, vale a dire che difenda le istituzioni da forzature populiste e demagogiche. Finora il clima sociale non si è praticamente mai increspato, segnando una bonaccia quasi costante, e quindi il sistema non è stato sottoposto a tensioni forti. Ma non è detto che, perdurando la crisi, anche questo stato di quiete perduri; e il nostro Paese ha una triste tradizione di violenza politica e sociale. È vero che non ci sono più né le ideologie millenaristiche né i fautori dell’ordine e della gerarchia, ma l’esasperazione nei confronti dei partiti e delle stesse istituzioni (ma anche delle banche, addirittura più invise dei partiti detto en passant: dati Swg aprile 2013) può portare a esplosioni incontrollate. Fin qui il ribollire di ansie e frustrazioni si è soprattutto riversato nel Movimento 5 Stelle, travolto da un successo imprevisto e di difficile gestione. Per il futuro non sappiamo. Quindi, un presidente che abbia la propria bussola ideale nella Costituzione assicura una gestione ferma e sicura di fronte a possibili – e anch’essi imprevedibili – scenari di crisi sociale e, inevitabilmente, politica.
In secondo luogo serve un presidente che abbia un riconoscimento internazionale. Come giustamente ricordava nella nota della scorsa settimana Gianfranco Viesti, è nell’Europa che si gioca molto (non tutto) del futuro della nostra economia. La coppia Napolitano–Monti ha fatto recuperare all’Italia una rispettabilità internazionale che il governo Berlusconi e lo stesso leader del Pdl avevano fatto precipitare agli inferi con improvvide dichiarazioni, sciagurate scelte di politica economica e, dulcis in fundo (sic), il bunga bunga. Curioso che ora, con questo encomiabile ruolino di marcia alle spalle e dopo aver mandato gambe all’aria il governo Monti dall’oggi al domani, si stracci le vesti dal desiderio di contribuire al bene dell’Italia (tornando al governo, ovviamente). Un presidente autorevole e apprezzato oltre i confini nazionali rafforzerebbe quindi la posizione dell’Italia nel contesto internazionale. E se l’Europa è cruciale, non va dimenticato che il mondo non si limita al vecchio continente o all’Occidente. Ci sono le potenze emergenti, dalla Cina all’India al Brasile, con cui l’Italia deve interloquire (e deve pure rimediare gaffe incredibili come quella del ministro Terzi nel caso dei marò). Un presidente di respiro globale costituisce un atout per un Paese e un governo che si gioca il futuro nella competizione internazionale.
Infine, il presidente rappresenta l’unità nazionale. Giustamente il segretario del Pd si è rivolto al Pdl per cercare un nome condiviso. Ma il sistema partitico italiano non è più bipolare: ora è tripolare. I voti grillini non sono meno “validi” di quelli del centrodestra: hanno pari dignità. Un accordo Pd-Pdl che tagliasse fuori volontariamente il M5S da questa scelta darebbe la sensazione di voler escludere, con un atteggiamento arrogante e supponente, i nuovi venuti. Per quanto i grillini siano “intrattabili” sotto molti aspetti, non possono essere considerati irrilevanti o “indegni”. Se scelta condivisa dev'essere, o coinvolge tutti i partiti oppure il partito pivot, il Pd, deve decidere chi favorire e chi scontentare, qualora Pdl e M5S (uscendo dal suo solipsismo) indicassero persone diverse da quelle presentate dai democratici. Alla fine, spetta al Pd fare la prima mossa.
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