Il 6 dicembre è prevista l’uscita in Italia del film del regista inglese Mike Newell tratto da Great Expectations di Charles Dickens. Si tratta dell’ennesima trasposizione sullo schermo del grande romanzo. In attesa di valutare la qualità del film, è un ottimo pretesto per riprendere in mano o leggere per la prima volta un libro straordinario. 

Presentato lo scorso settembre al Toronto International Film Festival, Great Expectations di Mike Newell  non ha sollevato particolari entusiasmi fra i critici e sembra allinearsi fra quei prodotti tratti dalle opere di Dickens, cinematografici o televisivi, ben girati e ben recitati, che però finiscono immancabilmente per banalizzare e impoverire la ricchezza strabordante degli originali, comprimendo in qualche ora trame di mille e più pagine. Per di più, come ogni film tratto da Grandi Speranze negli ultimi cinquant’anni, anche l’opera di Newell ha su di sé il peso di una doppia eredità: da una parte il romanzo dickensiano del 1860-1861, dall’altra il capolavoro cinematografico che David Lean ne trasse nel 1946, trasformando Dickens in una delle icone di una Gran Bretagna rinata dalle macerie fisiche e morali della guerra, portavoce di un buon senso e di un sano ottimismo assurti a valori fondamentali per la nuova solidarietà sociale del welfare post-bellico. Oggi di tutto questo rimane una trama avvincente (ma meno intricata di altri romanzi dickensiani come Casa Desolata o La piccola Dorritt) che qualunque adattamento è costretto a tradire, semplificando o sacrificando personaggi e situazioni del testo originale.

Sarà curioso vedere quale sarà il finale dell’opera, dei tre a disposizione: Dickens pubblicava inizialmente i suoi romanzi a puntate e questo gli permetteva un controllo costante su di essi, con la possibilità di modellare la narrazione sulla base delle reazioni dei lettori. Egli non usava di solito questa opportunità per cambiare radicalmente le sue trame. Solo in un caso, ovvero proprio in Grandi Speranze, modificò il finale, sostituendo l’amara conclusione che aveva pensato inizialmente per la storia d’amore fra il protagonista Pip e l’amata Estella con la possibilità di un futuro comune fra i due, finalmente liberi delle grandi aspettative che avevano rischiato di rovinare loro la vita. Il film di Lean, invece, come altri adattamenti dei romanzi dickensiani, preferì un lieto fine privo di ombre in cui la complessità del romanzo dickensiano finisce per scomparire.

Sempre a proposito di complessità, un altro problema per ogni adattamento dell’opera è posto dal personaggio principale del romanzo, Pip, che racconta la storia dalla prospettiva di un adulto. Dickens aveva usato la stessa tecnica una decina di anni prima in David Copperfield, il più autobiografico dei suoi romanzi. Pip è però molto più complesso del suo predecessore Copperfield, a volte perfino sgradevole nel suo snobismo, segno evidente che il suo autore si stava muovendo verso una comprensione più profonda dell’animo umano e delle motivazioni, sublimi e meschine, che muovono le azioni dei suoi personaggi. Se Pip perde quella capacità di coinvolgere profondamente il lettore che caratterizzava David Copperfield, guadagna però in verosimiglianza psicologica. Allo stesso modo, i cattivi dei romanzi precedenti sono ora sostanzialmente dei personaggi ossessionati dal loro passato, che fanno del male senza rendersi conto delle conseguenze delle loro azioni e a volte sono i primi a subirle, oppure dei personaggi potenzialmente positivi che risultano invece deboli e incapaci di reagire alle pressioni sociali e personali che si addensano su di loro.

Un’ultima nota sull’umorismo dickensiano: se fino a mezzo secolo orsono di Dickens si sottolineavano immancabilmente l’allegria e l’ottimismo, con il passare dei decenni è prevalsa una tendenza opposta che oggi, altrettanto parzialmente, esalta gli aspetti più cupi e drammatici delle sue opere. In realtà la sua ricchezza consiste anche nell’evocare situazioni abiette e drammatiche accanto ad altre leggere e ironiche. Vedremo se nel film di Newell questa tendenza si invertirà nuovamente. «Grandi aspettative» nel film di Newell, però, non ne abbiamo così come, nonostante la sua riconosciuta bravura, sappiamo che difficilmente Helena Bonham Carter potrà superare la sublime Martita Hunt, l’indimenticabile miss Havisham diretta da David Lean.