Nella formazione della giunta del comune di Genova, il sindaco Doria ha affidato l'assessorato al personale a una dirigente dell'Asl e quello alla scuola a un pro-rettore dell’Università cittadina. Tutto nell'ordine delle cose, se non fosse che la prima chiede di continuare a svolgere pure il suo attuale lavoro (magari anche solo part-time) e il secondo, già dimessosi da pro-rettore, di mantenere la cattedra.
Quella che potrebbe essere una grande innovazione nel panorama politico italiano rischia di tradursi in una grana per Doria. Da destra (Pdl) e da sinistra (Sel) gli si chiede di imporre ai due assessori di scegliere tra politica e lavoro, accusandoli di volersi accaparrare un doppio incarico e di non assolvere il mandato amministrativo a tempo pieno. Il primo rilievo è risibile: il lavoro non è un incarico. E poi, in un mondo in cui migliaia di politici hanno sempre ed esclusivamente svolto attività politica e solo per questo ricoprono contemporaneamente due, tre, quattro cariche senza avere alcun lavoro, preoccuparsi di questo doppio incarico dei due assessori è la classica ricerca della pagliuzza nell'occhio del fratello senza scorgere la trave nel proprio.
Più comprensibile, ma non giustificabile, è, invece, il timore dei professionisti della politica per il fenomeno in sé degli assessori part-time. Se l'esperimento dovesse riuscire a Genova, che è una grande città, un numero non trascurabile di assessori e sindaci, anche di comuni di media dimensione, vedrebbe messa a repentaglio la propria sopravvivenza di amministratore pubblico/funzionario, che dal solo esercizio della carica trae prestigio e reddito; anche se all'inizio della carriera politica aveva un lavoro dal quale si è distaccato.
Una manifestazione della degenerazione della nostra politica sta proprio nella difficoltà di riattaccare al lavoro i politici di lungo corso. I quali, quando sono costretti a discutere di rinnovamento della politica, il massimo che riescono a concedere è l’introduzione di un limite al numero di volte in cui è possibile essere eletto o nominato a una determinata carica, ma con l'inconfessato obiettivo del fine carica mai: dopo due mandati da sindaco, si può fare due volte il deputato o il senatore o il consigliere regionale e poi due volte il presidente dell'Iacp e poi ancora dell'azienda del turismo; e così via con una carriera di politico a tempo pieno di cui si possono accettare alti e bassi purché non si debba arretrare all'iniziale impiego. Qualcuno provi a rimandare in una classe di scuola media o anche di liceo un politico, che magari non ha neanche dato buona prova come amministratore pubblico, dopo che per 15-20 anni non vi ha messo piede per dedicarsi a tempo pieno a fare l'assessore o il sindaco di un paese: le tenterà tutte prima di tornare a essere un anonimo professore, con un arretramento di status sociale e, spesso, anche economico.
Vi è da dubitare che la bontà del lavoro di un amministratore pubblico abbia una qualche relazione di proporzionalità diretta con il tempo che esso passa in comune. È più probabile che la relazione possa essere di proporzionalità inversa. Il compito dell'amministratore è quello del decisore politico, di chi sceglie le politiche da realizzare. Compito difficile, che richiede competenze, di cui spesso i politici di professione difettano, e comporta l'assunzione di grandi responsabilità. Ma è un'attività che può essere svolta anche con un impegno temporale parziale, se l'amministratore non si dedica anche ad altro durante il tempo di presenza in municipio.
Se sindaci e assessori a tempo pieno rispondessero con sincerità a un'indagine sul modo di impiegare il loro tempo di presenza in ufficio, non stupirebbe se risultasse che una parte non trascurabile lo passano in attività di relazioni politiche, cioè nel curare il proprio elettorato, nel mantenere i rapporti con i propri sodali di partito o di corrente, nell'intrecciare qualche trama. Molto probabilmente risulterebbe anche che un po' di tempo lo dedicano altresì a occuparsi di ciò di cui avrebbero la competenza esclusiva dirigenti, funzionari e impiegati, con buona pace della riforma sulla separazione delle funzioni politiche da quelle amministrative.
Se il tempo che gli assessori part-time di Genova continueranno a dedicare al lavoro che hanno fatto finora lo sottrarranno alla cura delle relazioni politiche e all’intromissione nella gestione operativa delle scelte che essi faranno, avranno molto da guadagnare l’amministrazione pubblica e di che preoccuparsi i sostenitori dei politici full time e del fine carriera politica mai.
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