Non è soltanto una questione di diritto processuale costituzionale l’approvazione della delibera della Corte costituzionale dell’8 gennaio scorso (“Modificazioni alle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”) che, oltre all’audizione di esperti di chiara fama, in particolare introduce, all’articolo 4-ter, la possibilità di poter presentare alla Corte un’opinione scritta attinente una questione di costituzionalità da parte dei cosiddetti “Amici curiae”, ossia le «formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali portatori di interessi collettivi o diffusi».

Si tratta, infatti, di una scelta di forte attenzione alla società in un momento nel quale, peraltro, il tessuto pluralistico dei nostri ordinamenti – come ha ricordato di recente il presidente Mattarella – vede molti soggetti sociali, a partire dal mondo del Terzo settore, sempre più protagonisti di un prezioso dinamismo che, «operando ogni giorno con grande generosità», produce riflessi importanti e incisivi nel nostro ordinamento e «crea interrelazioni con ogni altro ambito della vita sociale».

Dunque, ci sembra da accogliere con favore il fatto che la Corte costituzionale – innanzitutto per il tramite della sua nuova presidente Marta Cartabia – apra con un atto di questo tipo, corrispondendo alla sfide di complessità che provengono dalle nostre società, senza per questo dover rinunciare a quella naturale prudenza che qualifica ogni suo passo, a maggior ragione nel momento in cui, come si vedrà, si vengono a definire nella prassi applicativa i dettagli procedurali.

Questa scelta, peraltro, si incardina - in parallelo - nel solco dell’esperienza da tempo maturata dalla Corte costituzionale relativa all’ammissibilità o meno degli interventi di terzi come parti laddove si tratti di soggetti collettivi rappresentativi di interessi connessi a quelli delle parti (dai sindacati nelle cause di lavoro alle associazioni favorevoli al suicidio assistito o ad esso contrarie, ad esempio). In quei casi, infatti, quando la Corte è stata favorevole nell'ammettere gli interventi di terzi, ciò è avvenuto in ragione del fatto che questi venivano riconosciuti come portatori di un interesse giuridico sul quale la sentenza avrebbe comunque avuto lo stesso effetto prodotto su chi, appunto, era parte nel giudizio a quo davanti alla Corte. Evitando dunque di fare, in considerazione dell’effetto del giudizio, scelte diseguali fra uguali, la stessa Corte è stata sempre ferma nell'ammettere gli interventi di costoro (da ultimo, per esempio, con l’ordinanza n. 37 del 2020, che ha consentito l’intervento al Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti o quella, con l’ordinanza n. 204 del 2019, che ha consentito l’intervento ad ArcelorMittal Italia SpA, subentrata nella gestione di Ilva).

Anche sulla base di questa esperienza, dunque, si è addivenuti a questa nuova disciplina che allarga lo spazio delle opinioni a disposizione della Corte, senza per questo gravare le udienze e il contraddittorio. Non a caso, d’altronde, pur in vari modi e forme, questa scelta di apertura all’intervento di terzi nei giudizi di costituzionalità concreti è stata adottata da non pochi ordinamenti, tanto di Civil Law quanto di Common Law (Austria, Belgio, Francia, Germania, Spagna, Stati Uniti, per rimanere ai più noti)1 a conferma ulteriore della rilevanza che riveste per la stessa Corte il confronto con le altre esperienze comparate e il dibattito specialistico in tema, che da anni vede coinvolti attivamente pure gli studiosi del nostro Paese2.

Eppure, nel vivere con intelligente positività questa apertura3, non si possono dimenticare le attenzioni e le cautele usate dalla Corte a protezione del giudizio costituzionale e della stessa interpretazione costituzionale.

La Corte, infatti, di fronte alle dinamiche proprie di società sempre più fragili, emotive ed esposte a rapidi turbamenti e cambiamenti, sembra ben consapevole di questi fattori, essendosi imposta di “maneggiare con cautela”, come è stato scritto4, questi nuovi strumenti, approvando quindi una delibera che le potesse consentire un severo e non appellabile scrutinio delle opinioni scritte presentate dagli “Amici curiae”.

La consapevolezza di ciò emerge già dalla semplice lettura della delibera della Corte che, non a caso, presenta particolari vincoli ai soggetti sociali nel dare piena concretezza alla possibilità di un loro intervento come “Amici curiae”.

Dal punto di vista procedurale, la delibera della Corte costituzionale è, per l'appunto, assai stringente: non soltanto prevede che il testo presentato dall’Amicus curiae non possa essere più lungo di «25.000 caratteri, spazi inclusi» - ossia molto meno dei limiti dimensionali degli atti processuali di parte previsti dal Codice del processo amministrativo, aderendo così in modo fortemente coerente al principio di sinteticità di cui all’articolo 3, comma 2, appunto, del Codice – ma non prevede un termine per la notifica per le parti, né soprattutto alcuna motivazione da parte della stessa Corte costituzionale – o meglio più esattamente da parte del solo presidente (e forse del giudice relatore di quel provvedimento, ma non è specificato) con un suo decreto - per il rigetto del testo presentato dall’Amicus curiae.

La Corte, insomma, ha scelto la via di una prudente cautela nel voler adottare questa delibera, tutelando innanzitutto il processo costituzionale da molteplici – e potenzialmente incoerenti - interferenze esterne, grazie alla scelta di prevedere una forte discrezionalità in mano al giudice costituzionale nell’apertura o meno al testo presentato dall’Amicus Curiae; posto che, non da ultimo, secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 5 della delibera, non si consente alle formazioni sociali e ai soggetti istituzionali, le cui opinioni sono state ammesse, di assumere «qualità di parte nel giudizio costituzionale», non potendo dunque ottenere copia degli atti né, tantomeno, partecipare all’udienza.

Considerato tutto ciò, qualcuno potrebbe chiedersi, allora, a che cosa sia servita questa “apertura alla società”, se il varco è così stretto.

Dare una risposta di tipo binario a questa domanda sarebbe assai semplicistico per almeno due ragioni: da un lato, perché, nell’apertura all’ascolto della società, la Corte costituzionale deve innanzitutto proteggere e tutelare il ruolo incisivo che esercita nell’ordinamento, e questa consapevolezza non può non illuminare ogni sua scelta; dall’altro, perché i tempi e i modi di presenza della Corte nelle dinamiche della forma di governo non necessariamente debbono coincidere con quelli delle altre istituzioni, potendo essa stessa ben valutare e definire i margini di dialogo sociale da aprire.

Cosicché quella che può apparire oggi una cautela eccessiva domani, invece, potrà rilevarsi una scelta di saggezza, in quanto capace di dar modo alla stessa Corte, per il tramite delle esperienze, delle soluzioni e dei precedenti che si verranno a comporre nel tempo innanzitutto di riempire di contenuto, ad esempio, lo status dei soggetti sociali legittimati a questo intervento: un fatto di grande importanza, tenuto conto che, a differenza di altri Paesi5 le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi, godono come è noto di un favor così grande nel nostro ordinamento tale da far ricomprendere all’interno di questa dizione pressoché tutti gli attori sociali, quasi senza distinzione alcuna.

Inevitabilmente, allora, anche soltanto nel limitarsi a queste brevi considerazioni che emergono da una prima lettura della delibera, non sembra che la Corte abbia peccato di cautela: essa, al contrario, manifesta una profonda consapevolezza delle caratteristiche del nostro ordinamento e dei delicati fattori ed elementi che, anche storicamente, lo inverano, senza tuttavia, per ciò stesso, rinunciare a prescindere a quei mutamenti che le sfide del tempo progressivamente impongono alle nostre società; e dunque pure alle nostre istituzioni. D’altronde non è per un caso che la Corte si muove sempre «sul fragile crinale che separa la riduzione della complessità dal sacrificio del pluralismo», come ha sottolineato di recente Paolo Ridola6. In questo senso, quindi, non potrà non assumere un forte valore proprio quel criterio di attinenza alla questione di costituzionalità che è correttamente il primo filtro che la Corte ha inteso dare e che si manifesta innanzitutto nel termine assai stretto che la Corte ha previsto per l’intervento degli Amici curiae. E poi, anche come argine ad un uso smodato di questo istituto, sarà decisivo far emergere quanto prima – magari con un’ulteriore novella alle «Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale» del 1956 – una più puntuale definizione dei dettagli procedurali per il suo utilizzo, di modo che, valorizzando appieno quello che rimane un utile strumento per avere istituzioni più aperte alla società, e dunque giudizi costituzionali più coerenti con gli assetti sociali e il loro divenire storico, sia la stessa Corte a dare la conferma certa del suo intento di apertura verso la società e, del pari, a dare più certezze a coloro che credono, appunto, in quella volontà.

La strada del dialogo tra istituzioni e società, d’altronde, non è mai stata né lineare né senza aggiustamenti progressivi: l’averla intrapresa, tuttavia, è già un primo, importante passo. Da proseguire.

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1 Cfr. P. Passaglia (a cura di), L’intervento di terzi nei giudizi di costituzionalità concreti, Corte costituzionale, Dossier del Servizio studi, Area di diritto comparato, ottobre 2016.

2 Senza pretesa di esaustività, per un quadro del dibattito in tema a seguito della delibera, si vedano i commenti e le rispettive bibliografie e note, laddove presenti, alle quali si fa rinvio: T. Groppi, Nuovo corso della Consulta sotto il segno della trasparenza; P. Ridola, La Corte si apre all’ascolto della società civile; A. M. Lecis, La svolta del processo costituzionale sotto il segno della trasparenza e del dialogo: la Corte finalmente pronta ad accogliere amicus curiae e esperti dalla porta principale; S. Finocchiaro, Verso una giustizia costituzionale più “aperta”: la consulta ammette le opinioni scritte degli “amici curiae” e l’audizione di esperti di chiara fama; C. Tani, La svolta Cartabia. Il problematico ingresso della società civile nei giudizi dinnanzi alla Corte costituzionale; P. Costanzo, Brevi osservazioni sull’amicus curiae davanti alla Corte costituzionale italiana; M. Romagnoli, The Italian Constitutional Court Opens Up to Hear the Voice of Civil Society.

3 Una scelta che, peraltro, è in perfetta continuità con il recente spirito di apertura della Corte verso la società già testimoniato dai due importanti progetti realizzati, ossia il “viaggio” della Corte costituzionale nelle scuole e poi quello nelle carceri per far conoscere la Costituzione e la Corte costituzionale. Si veda l’articolo di presentazione dei due progetti, scritto dalla responsabile della comunicazione della Corte costituzionale, Donatella Stasio, Un "Viaggio" per testimoniare che la Costituzione è di tutti.

4 Cfr. S. Prisco, “Rigore è quando l’arbitro fischia”? Spunti di “ragionevole” scetticismo su legislatore, Corti e interpretazione, “Liber amicorum in onore di Augusto Cerri”, 2016, pp. 633 ss.

5 Sul punto, rinvio al mio La libertà di associazione in prospettiva comparata. L'esperienza costituzionale europea, Collana del Centro italiano per lo sviluppo della ricerca, Cedam-Wolters Kluwer, 2018.

6 Cfr. P. Ridola, La Corte si apre all’ascolto della società civile, cit.