All’indomani delle celebrazioni della Cinquantesima giornata mondiale della Terra indetta dall’Onu e mentre si dibatte su come debbano essere affrontate le conseguenze della pandemia, appare più che mai necessario discutere del ruolo dell’agricoltura, la cui realtà trascina con sé un passato che l’ha vista protagonista e che ha segnato le grandi trasformazioni demografiche, sociali, economiche e culturali del Paese. Due aspetti emergono con forza: da un lato le relazioni fra agricoltura, cibo e salute; dall’altro quelle fra agricoltura, zone rurali e territorio. Si tratta di collegamenti che sono andati modificandosi profondamente nel tempo e nello spazio. Tenterò di affrontarli separatamente, per poi vedere come possono essere riuniti per dare un contributo al superamento del rilevante impatto della pandemia.

Il ruolo dell’agricoltura nella produzione di cibo è oggi molto diverso rispetto al passato. Solo agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso il valore della produzione agricola italiana era pari a circa il 70% dei consumi alimentari del Paese, con i 45 milioni di residenti di allora; in agricoltura erano impiegati oltre 8 milioni di occupati, quasi il 40% del totale, ma rilevanti erano la sottoccupazione e la precarietà del lavoro nelle campagne. Oggi il valore della produzione agricola ha raggiunto quasi 60 miliardi di euro, ma rappresenta poco più del 30% dei consumi alimentari delle famiglie italiane. In agricoltura si conta meno di 1 milione di lavoratori occupati (equiparati a unità di lavoro a tempo pieno), pari a circa il 5% dell’occupazione totale del Paese, la cui popolazione si è stabilizzata e ha raggiunto i 60 milioni di residenti. Una maggiore rilevanza è stata assunta sia dalla trasformazione dell’industria alimentare e delle bevande, sia da tutti i servizi necessari per portare il cibo «dall’azienda alla tavola», servizi che vanno dalla logistica alla distribuzione tradizionale e moderna, fino a includere il settore dei bar e della ristorazione privata e collettiva.

L’importanza del sistema agroalimentare in Italia può essere meglio compresa guardando ad alcuni grandi numeri aggregati che ne evidenziano la complessità e al diverso contributo fornito dai numerosi settori che lo compongono. Nel 2017 la catena alimentare vedeva la presenza di circa 2 milioni di imprese, di cui 1,1 milioni di aziende agricole, di cui molte piccolissime, poco rilevanti dal punto di vista economico, ma importanti socialmente e nella gestione del territorio; di oltre 3 milioni di occupati, di cui 830 mila in agricoltura e oltre 1 milione nella ristorazione; di oltre 100 miliardi di valore aggiunto, di cui più della metà si realizza nella fase produttiva, in parti simili da agricoltura e industria alimentare e delle bevande. Con più di 500 miliardi di fatturato, di cui oltre il 60% fornito da servizi, logistica, distribuzione e ristorazione, che vedono la concentrazione del loro potere di mercato lungo tutte le filiere.

Va detto infatti che la catena alimentare italiana si presenta complessa perché si articola in numerose filiere, che vanno da quelle ortofrutticole a quelle vitivinicole, a quelle della carne fino ai formaggi e al latte. La loro presenza si concretizza spesso in concentrazioni e specializzazioni territoriali, con la creazione di veri e propri «distretti agroalimentari», a cui ultimamente si sono aggiunti anche quelli «biologici». L’Italia, inoltre, ha il primato nell’Unione europea con quasi 850 prodotti di qualità regolamentati da disciplinari di produzione registrati a livello europeo, di cui 285 sono prodotti Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta), a cui vanno sommate altre 500 denominazioni di origine del settore vitivinicolo. Vi è poi una vasta gamma di «prodotti tradizionali», definiti a livello regionale.

La realtà italiana si configura quindi come un vero e proprio «mosaico territoriale» della produzione di cibo, che spazia dalle produzioni di tipo continentale a quelle mediterranee; mosaico che si arricchisce e si integra in un grande patrimonio territoriale e paesaggistico, in cui spiccano numerosi borghi e paesi, espressione di antiche tradizioni culturali, non solo enogastronomiche. Su questa sorta di «mosaico» si è sviluppata la cucina italiana, con una notorietà mediatica sottovalutata in passato quanto sovraesposta oggi, ma che dimostra di potere rappresentare un veicolo importante per valorizzare la diffusione della «dieta mediterranea» e dell’ampia varietà del cibo italiano a livello internazionale.

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 3/20, pp. 440-448. Il fascicolo è acquistabile qui]