Abbassare l’Iva sugli assorbenti dal 22 al 10% è la proposta inserita nella legge di Bilancio dalla ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti. Un passo avanti, dietro la spinta della raccolta firme promossa da Coop, collettivo Onde Rosa, associazione Tocca a noi, insieme a Change.org. Ma l’obiettivo di riduzione resta il 4%, per il folto gruppo di attiviste – e anche attivisti – che si è mobilitato in lungo e in largo per l’Italia nel Tampontaxtour (partito da Firenze il 16 luglio scorso) per sensibilizzare le persone rispetto al diritto di garantire igiene e prodotti sanitari a basso costo alle donne.

E così, grazie a un movimento nato «dal basso» e a 650 mila firme raccolte, si potrà parlare di mestruazioni anche in Parlamento, senza imbarazzo e battute superficiali. Come invece avvenne cinque anni fa, la prima volta che si provò a introdurre l’argomento, quando Giuseppe Civati presentò, insieme a Beatrice Brignone, Andrea Maestri e Luca Pastorino, la proposta di legge per l’abbassamento dell’aliquota sui prodotti di prima necessità destinati alle donne. Perché, sebbene sembri banale ribadirlo da tanto è evidente, avere le mestruazioni non è una scelta: in più, è un segno di salute per le donne, dal momento che essere in età fertile e non avere le mestruazioni, al contrario, può essere segno di una patologia in corso. Nella routine della vita quotidiana, il ciclo porta con sé, come minimo, un fastidio, un pensiero in più da gestire e che in qualche modo intralcia le proprie attività. Per qualche donna è addirittura invalidante, doloroso, talvolta insopportabile, e non è sempre facile capirne i motivi e trovare delle soluzioni per alleggerire la sofferenza.

Avere le mestruazioni non è una scelta: in più, è un segno di salute per le donne, dal momento che essere in età fertile e non avere le mestruazioni può essere segno di una patologia in corso

Le donne hanno le mestruazioni 65 giorni all’anno per circa 40 anni nel corso della loro vita, come riporta uno studio di «Lancet» realizzato nel 2019 per dare supporto a quelle organizzazioni internazionali che si prefiggono di intervenire in quei Paesi e in quelle realtà in cui la povertà o le scarse condizioni igieniche possono seriamente mettere in difficoltà le donne, soprattutto le giovanissime, a causa delle mestruazioni. Non avere a disposizione assorbenti può essere – ed è – un motivo per non andare a scuola, con tutto ciò che consegue. Non accedere a dispositivi efficaci e sicuri può provocare infezioni, anche molto pericolose. E se si considera che nel 2017 erano quasi due miliardi le donne in età da mestruazioni, ossia circa il 27% della popolazione mondiale totale, è presto evidente che non si tratta di un tema minoritario.

Qual è, quindi, il significato profondo dell’abbassamento dell’Iva? Vuol dire riconoscere che gli assorbenti sono beni di prima necessità, non di lusso. Già nel gennaio del 2019, con una Risoluzione, il Parlamento europeo esortava gli Stati membri a «sostenere l'uguaglianza di genere in tutte le politiche fiscali» e quindi a intraprendere delle politiche sull’Iva che non penalizzassero le donne nell’acquisto di beni di consumo a loro necessari, considerando che una discriminazione in questo senso andrebbe a inficiare anche altri ambiti della vita, quali il lavoro e l’istruzione. A oggi la Germania ha l’Iva al 7%, la Francia al 5,5%, la Spagna al 10 (ma è in corso l’iter per portarla al 4), l’Olanda al 9, il Belgio al 6, Cipro, Malta e la Polonia al 5. L’Irlanda è a zero e il Regno Unito anche; la Scozia è inoltre stato il primo Paese a distribuire gratuitamente gli assorbenti nei centri di aggregazione. E la strada della gratuità è senz’altro quella a cui punta Period think tank, un think tank il cui obiettivo è quello di colmare ogni divario di genere e combattere la violenza sulle donne. Giulia Sudano, che di Period Think tank è co-fondatrice e presidente, identifica di fatto l’Iva in una sorta di «estrazione di risorse» che lo Stato fa a scapito delle donne. E afferma con convinzione che per parlare di parità sia necessario partire dall’equità: una condizione ancora lontana dall’essere raggiunta, di cui la tassa sugli assorbenti è uno dei tanti tasselli.

Bisogna intraprendere delle politiche sull’Iva che non penalizzino le donne nell’acquisto di beni di consumo a loro necessari, poiché una discriminazione in questo senso andrebbe a inficiare anche altri ambiti della vita

Restando all’ambito dei beni di consumo, si noterà come in generale quelli destinati alle donne vengono commercializzati con costi più alti rispetto a quelli indirizzati agli uomini. Idealo, il portale internazionale di comparazione dei prezzi, ha messo a confronto i prezzi di articoli uguali ma «pensati» per uomini o per donne: tutto quanto è commercializzato «al femminile» risulta costare di più, dalle scarpe da ginnastica agli shampoo, dai prodotti per la cura del viso e del corpo ai deodoranti e profumi. Uno studio commissionato alcuni anni fa dal sindaco Bill de Blasio a New York – From Cradle to Cane: The Cost of Being a Female Consumer. A Study of Gender Pricing in New York City – aveva messo in risalto lo stesso dato anche tra i giochi «per bambini» o «per bambine», dove, spesso, la differenza è solo nel colore rosa usato per le femmine: un monopattino rosa e uno rosso mostravano una notevole differenza di prezzo a sfavore di quello rosa.

La proposta di legge depositata anni fa dai deputati di Possibile non riuscì a fare breccia in un Paese ancora culturalmente non disponibile ad accettare come qualcosa di normale le mestruazioni, derubricate a questioni «di donne» in un immaginario che rimanda all’impurità, allo sporco, al disgusto. Hanno poi ripreso la battaglia in modo bipartisan 31 deputate, tra cui Laura Boldrini, che sono riuscite a spuntarla solo sui prodotti compostabili: anche nella scorsa legge di Bilancio l’ex presidente della Camera dei deputati ha provato a raggiungere il 10% ma, all’epoca, venne calcolato che servivano 90 milioni di euro per avallare questa operazione.

Oggi quel muro finalmente si è rotto. Grazie a donne caparbie, spesso giovanissime, che hanno portato avanti la battaglia: «il percorso è nato dall’esigenza di conquistare uno spazio politico che non avevamo in quanto donne – sono le parole di Marta Gammella di Onde Rosa durante il convegno che si è tenuto al Senato lo scorso 5 novembre per fare il punto sulla raccolta firme. Il gruppo è nato dal basso, è stato da subito trasversale e ha coinvolto diverse generazioni di donne e di uomini. Abbiamo iniziato in un sottoscala milanese e non avremmo mai pensato di arrivare fin qui».

Gli spazi di partecipazione sono ancora troppo pochi in Italia, luoghi in cui si possa riflettere sulle piccole discriminazioni quotidiane che le giovani donne subiscono. Change.org ha ampliato la loro voce accolta, lungo la strada, da altri soggetti della politica e della società civile.

Giulia Sudano di Period think tank è convinta che i giovanissimi siano molto consapevoli del fatto che devono lottare per ottenere ciò che vogliono: hanno di fronte a sé il pericolo dell’ambiente malato che la generazione adulta ha consegnato loro. Sono una fetta piccola della popolazione, e rischiano di non essere ascoltati: per questo è importante sostenerli nella conquista dei diritti e dell’equità di genere.