Ci possono essere molte ragioni per ritenere improvvida la proposta di azzerare le tasse universitarie, ma la critica secondo cui sarebbe regressiva e a favore dei ricchi è un errore.
Perché le tasse della scuola dell’obbligo (materna, media, secondaria) sono sostanzialmente nulle? Perché la nostra legislazione ritiene che il valore dell’istruzione abbia carattere universale, indipendentemente dal vantaggio particolare che ne trae colui che la riceve:
in quanto bene pubblico è opportuno sia finanziata con imposte, che hanno il grado di progressività che ad esse è assegnato dalle leggi tributarie (in Italia è in genere basso, anche per la tolleranza dell’evasione). Per l’istruzione universitaria si ritiene invece che il vantaggio che il singolo ne ritrae sia importante, forse giustificato dal fatto che chi è laureato guadagna di più di un non laureato. Quindi è giusto che una parte del costo dell’istruzione universitaria sia a carico di chi ne usufruisce: paghi cioè una tassa. Ma quanta parte va messa a carico dello studente e della sua famiglia? Non esiste una risposta chiara, dipende da giudizi di valore, da valutazioni complesse, anche rispetto ad alternative. Grasso ritiene che la correlazione tra sviluppo della conoscenza e benessere della collettività sia oggi aumentata rispetto al passato e che quindi l’istruzione universitaria debba esser trattata come quella oggi obbligatoria. È sbagliato ciò? Direi di no.
Altri possono pensare che questo ragionamento vada invece applicato alla fruizione dei servizi della televisione pubblica. Perché il canone tv non copre integralmente il costo del servizio pubblico? Perché pur riconoscendo al servizio pubblico un’importanza tale da renderlo assimilabile a un servizio a utilità universale (avere un a popolazione consapevole di ciò che accade, aperta al confronto di posizioni diverse, alla cultura ecc., sempre che sia questo che la nostra tv pubblica offre), una parte rappresenti tuttavia un vantaggio individuale e come tale vada pagato da chi ne fruisce. Quanta parte? Non esiste una risposta chiara. Renzi ritiene evidentemente che il vantaggio universale sia oggi preminente rispetto a quello individuale. È sbagliato? Non necessariamente.
Altri ancora, fra cui chi scrive, pensano che entrambe le proposte siano oggi meno attraenti di altre, a cui si potrebbe applicare la stressa logica. Si pensi, ad esempio, al costo per la famiglia degli asili nido. Perché costano di più della scuola materna? Non me lo spiego. Se c’è un servizio che presenta importanti aspetti di universalità, sotto molteplici dimensioni (opportunità educative, palestra di integrazione delle famiglie di immigrati, opportunità di partecipazione femminile al mercato del lavoro, sostegno alle famiglie con figli), mi pare sia questo. Ma anche questo è un giudizio di valore.
Anche gli asili gratis sarebbero un regalo ai ricchi. E allora? Se ragioniamo un po’ su queste cose, mi pare che la progressività non c’entri per niente. Se si vuole affrontare questo problema lo si faccia nel campo proprio: dicendo se si preferisce una flat tax dell’x percento o aumentare, che so, al 60%, le aliquote marginali sopra x-mila euro di imponibile.
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