Da molti mesi viviamo in una campagna elettorale permanente, benché sembri essere tramontata – almeno al momento in cui scriviamo queste note – l’ipotesi di una conclusione anticipata della legislatura. Qualche pericolo modesto c’è ancora, perché se si mette al riparo la legge di stabilità non è poi detto che per bloccare qualche riforma caratterizzante, ad esempio la modifica della legge sulla cittadinanza impropriamente chiamata «ius soli», non si faccia saltare il governo, sia pure in extremis. All’opposto c’è l’ipotesi di tirarla il più possibile per le lunghe, con l’eventualità di sfruttare tutti i ritardi attuabili giungendo a maggio 2018 per il ricorso alle urne. Comunque vada, resta il fatto che questa ultima fase della legislatura mette in luce tutte le debolezze del cosiddetto sistema-Paese.

Un’affermazione, questa, che potrebbe sembrare paradossale nel momento in cui si registra una certa evoluzione in senso positivo dell’economia italiana, cioè di quello che sembrava il nostro tallone d’Achille. La polemica politica molto aveva insistito su questa debolezza che rischiava di collocarci fuori dal quadro europeo, almeno se lo si riduceva ai maggiori Stati, coi quali si è soliti confrontare il nostro. L’immagine di un Paese incapace di tutelare il benessere economico dei suoi cittadini, magari facendo leva sulla solita leggenda degli immigrati che rubano il posto agli italiani, è stata ampiamente usata dalle opposizioni all’attuale governo, sia da quelle più moderate (si fa per dire: Brunetta e altri non lo sono poi tanto) sia da quelle più esagitate, tanto sul versante destro quanto su quello sinistro del nostro arco parlamentare.

Ci si è chiesti in questi mesi se quelle armi retoriche potessero ancora aver presa sull’elettorato, soprattutto su quello che non partecipa più al voto, nel momento in cui si fosse realizzato che la crisi economica sembrava andare evolvendosi positivamente. Per questo non mancano i segnali, che si possono trovare sia a livello di rilevazioni scientifiche (statistiche sulla produzione, sul tasso di fiducia, sull’incremento delle esportazioni ecc.) sia a livello di impressioni che si possono cogliere, per così dire, in maniera più impressionistica (incremento del turismo, tenuta delle spese voluttuarie ecc.). Che tutto ciò possa tramutarsi rapidamente in una carta di credito per il governo in carica e per il Pd, il partito che lo sostiene, è tutto da vedere per almeno due motivi. Il primo, banale ma determinante, è che i tempi di percezione dei cambiamenti da parte dell’opinione pubblica non coincidono con il loro verificarsi concreto. Gli storici sanno per esempio che il fascismo in Italia andò al potere sull’onda del timore di una «rivoluzione rossa» quando i sommovimenti che potevano indurre questa preoccupazione erano ormai esauriti, sicché Angelo Tasca poté lanciare il famoso giudizio sul fascismo come controrivoluzione «postuma e preventiva».

 

[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 5/17, pp. 770-776, è acquistabile qui]