Abbiamo ceduto alla tentazione di parafrasare il titolo di un noto film di Aldo, Giovanni e Giacomo, perché la situazione attuale ha più di qualche tratto di comicità surreale. La richiesta del premier Conte di costruirsi una «quarta gamba» per puntellare il suo ruolo avviene con l’adesione dei tre partiti che sono rimasti fedeli alla tesi che lui sia la chiave di volta di un sistema che altrimenti crollerebbe lasciando solo macerie. Eppure ognuno di questi dovrebbe avere ottime ragioni per riflettere se l’operazione non si tradurrà in una loro marginalizzazione.
Naturalmente si può condividere la famosa citazione di Romano Prodi della massima per cui «succhiare un osso è meglio che succhiare un bastone» (fatta a suo tempo a pro della riforma costituzionale di Renzi): tenersi Conte con questo governo è meglio che consegnare il Paese alle destre con un ricorso al voto anticipato. Rimane però il fatto che un osso sarà meglio di un bastone, ma rimane un osso e come pasto per tenersi in piedi si potrebbe anche provare ad avere qualcosa di più appropriato.
Il problema su cui vorremmo attirare l’attenzione è peraltro diverso e verte sul significato di inventarsi a tavolino un partito che non c’è. Lasciamo perdere le fumisterie di nobilitare l’operazione trasformistica di un volgo disperso che nome non ha (avrebbe detto il poeta), appiccicandogli vaghe etichette di europeisti, popolari, liberali, socialisti. Un partito esiste perché nel Paese è un punto di riferimento anche fuori delle Aule parlamentari, vive di prese di posizione nell’opinione pubblica, agita obiettivi, persegue strategie a prescindere dall’esistenza o meno di occasionali e imprevisti confronti parlamentari di sostegno ad un governo in crisi. Qualcuno ha visto all’azione in quest’ottica i cosiddetti «volonterosi»? Hanno dietro di loro uno straccio di militanza di base (i voti raccattati alle elezioni insinuandosi nelle pieghe del sistema sono altra cosa)?
Sono domande puramente retoriche, perché si tratta di operazioni di politica politicante piuttosto scoperte. Meglio allora la Svp che vota sì in cambio del via libera del governo alla provincia di Bolzano nel suo scostamento dalle direttive del ministero sulla colorazione delle zone. Del resto il partito di raccolta dei sudtirolesi è sempre stato filo governativo a prescindere (loro definiscono la faccenda Blockfrei), purché ottengano l’interesse della loro piccola patria. Ma almeno in questo caso si tratta di una piccola patria che esiste e ha una storia (la si può valutare sotto diversi punti di vista, ma c’è) e non del clientelismo spicciolo del trasformismo italico.
Perché i tre partiti dovrebbero stare attenti alla politica della quarta gamba? Giuseppe Conte ha spiegato l’operazione al Senato anche con una certa ingenuità: in un sistema spappolato, anziché puntare a ricostruirne la compattezza, meglio dare spazio alla sua feudalizzazione, affidando il coordinamento dei feudi a un «re» che facendo leva sui poteri del governo centrale faccia andare avanti il sistema. Questo è un ritorno al quadro proporzionale della prima repubblica con la Dc nel ruolo del re? Neppure per sogno. La Dc era un partito vero, con una storia, articolato sul territorio, che non era nato per essere stampella di altri, ma proponeva una sua visione del sistema italiano in nome della quale faceva politica. Poi si può giudicare variamente questa visione, che andrebbe anche analizzata per come si è esplicata in fasi diverse e con varianti notevoli, ma ciò non mette in discussione quella realtà.
Il cosiddetto partito di Conte è invece una operazione di potere che prova a costruire una base elettorale/parlamentare a sostegno di una costellazione di centri decisionali che non vogliono perdere spazi che si sono conquistati durante il lungo autunno della nostra repubblica. Anni fa si sarebbe detto che si tratta di una evoluzione «all’americana» del nostro sistema politico: adesso la definizione è passata di moda, ma la sostanza rimane.
Se questa operazione avrà successo, il che per ora non è affatto detto, i tre partiti dell' attuale coalizione finiranno marginalizzati. Leu perché già è piuttosto appannata nei suoi passati furori gauchiste ed è improbabile che possa far valere una sua impronta (Speranza è un più che decoroso ministro, ma fa cose che potrebbe fare un onesto politico di qualsiasi altro partito). I Cinque Stelle dovranno rinunciare a qualsiasi operazione dettata dalla loro residua identità grillina, perché certamente le buro-tecnocrazie che sostengono il progetto di Conte non vogliono saperne di quella roba (poi, per carità, un po’ di folklore su materie che non interessano a loro glielo lasceranno fare). Ma soprattutto è il Pd che rischia più di tutti.
Quel partito era nato per essere un partito di raccolta del riformismo italiano, una volta che si era liberato delle vecchie distinzioni para-ideologiche fra post-comunisti, post-democristiani, e post di altro genere: una formazione che doveva essere un luogo di sintesi nell’ottica di un sistema politico che si immaginava avviato verso un bipolarismo fra progressisti e conservatori. L’invenzione della «quarta gamba», ammesso ovviamente che abbia successo, scompagina non solo l’orizzonte del bipolarismo, perché di fatto avremmo una compagine che ha come obiettivo di appoggiare un governo quale che sia (e l’abbiamo già visto), ma toglie la possibilità al Pd di tenere nel suo seno componenti diverse come era in parte avvenuto fino a ora (anche se con esiti non sempre brillanti).
Il sistema italiano con una quarta gamba di quel tipo tornerebbe al quadro ottocentesco di una politica senza «partiti», ma con gruppi parlamentari formati attorno a vari capi, che variamente si alleano e si combattono, sottoposti a tutte le tentazioni esterne e soprattutto dominati dal problema di accasarsi al governo. Entreremmo in una «terza repubblica» che, vogliamo dirlo, in questa forma ci piace molto poco.
[Questo articolo viene pubblicato in contemporanea su Mente politica]
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