Una strategia industriale per uscire dal Coronavirus e rilanciare l’economia del Paese deve necessariamente prendere le mosse da due considerazioni di fondo. La prima è che da almeno vent’anni l’Italia cresce meno degli altri Paesi industrializzati; la seconda è che è in atto da tempo una profonda trasformazione dei sistemi produttivi, che ha coinvolto in modo diverso le componenti sociali e i territori del Paese. La bassa crescita italiana viene testimoniata efficacemente dalla variazione annuale percentuale del prodotto lordo reale dell’economia mondiale, dei Paesi avanzati e dei Paesi emergenti, così come presentato dai dati del Fondo monetario internazionale per il periodo dal 1980 agli inizi del 2020, quindi precedentemente alla diffusione pandemica.

Questi quarant’anni sono nettamente divisi dallo spartiacque creato nel 2001 dagli Accordi di Doha, che danno il via alla globalizzazione degli scambi e pongono fine al lungo periodo di progressive aperture avviate fin dalla fine della Seconda guerra mondiale con il lancio del General Agreement on Trade and Tariffs. Il Novecento si chiude con un’instabilità contenuta tra Paesi sviluppati e Paesi emergenti. Il nuovo secolo, segnato dall’entrata nel mercato mondiale della Cina e degli altri grandi Paesi di recente industrializzazione, presenta a livello mondiale una prima fase di crescita impetuosa, trascinata dalle economie emergenti fino al 2008. A questa fase euforica, senza precedenti, segue la crisi finanziaria aperta dal fallimento della Lehman Brothers e dell’intero sistema finanziario statunitense, basato sul meccanismo perverso della moltiplicazione dei derivati, diffusosi poi rapidamente a tutte le altre economie, determinando un’instabilità dell’economia mondiale senza precedenti dai tempi della Grande Crisi.

La crisi finanziaria del 2009 apre una fase di rapido collasso dell’economia, che diviene particolarmente grave nei Paesi più sviluppati, con una breve ripresa nel 2010 a cui segue poi una lenta discesa fino agli inizi del 2020. Questo evidenzia una situazione di fragilità strutturale, i cui segni sono precedenti alla crisi globale del Coronavirus, che viene portata a esasperazione dalla diffusione pandemica, in particolare per il blocco degli scambi internazionali.

In questo quadro va collocata la vicenda italiana. Il Fondo monetario internazionale mette implacabilmente in evidenza come il tasso di crescita dell’economia italiana sia più basso della media di quelli dei Paesi sviluppati fin dal 1980. Sono quarant’anni che l’Italia cresce meno degli altri Paesi. In particolare, l’Italia evidenzia crisi cicliche, nel 1993, nel 2002 e nel 2009. Tuttavia è la crisi del 2011-2012 a essere particolarmente grave, perché non ha alcuna corrispondenza a livello internazionale ed è dovuta interamente a fattori interni. Nella transizione tra il quarto governo Berlusconi (8 maggio 2008 - 16 novembre 2011) e il governo Monti (16 novembre 2011 - 27 aprile 2013) si registra il vero collasso dell’economia italiana. Si giunge così in condizione di forte fragilità al 2019, anno in cui il tasso di crescita italiano era già in forte rallentamento, giungendo a segnare a fine anno un misero 0,3%, dato medio per un Paese che, a fronte di un numero ristretto di territori a crescita sostenuta, aveva già vaste aree in depressione.

Si ricordi che questo pur basso indice di crescita è stato trainato quasi esclusivamente dalle esportazioni, in particolare dalle esportazioni di macchine di produzione, legate al ciclo di investimenti dei Paesi emergenti e alla ristrutturazione industriale di Paesi avanzati (a partire dagli Stati Uniti), e di prodotti di consumo e consumo durevole di alta qualità, rivolti alla fascia alta di consumatori anche dei Paesi emergenti, mentre molte delle attività produttive legate alla domanda interna, a partire dall’edilizia, stavano attraversando da anni una lunga fase depressiva. Si noti che il core di questa industria dinamica è oggi concentrato proprio in quel triangolo Milano-Bologna-Venezia che è divenuto nella primavera 2020 il cratere dell’epidemia. Non stupisce quindi che la crisi connessa con il Coronavirus determini un crollo del tasso di crescita più grave di quello del 2009, con il bisogno di un coordinamento almeno a livello europeo delle azioni per ristabilire un ordine mondiale così seriamente danneggiato. D’altra parte è evidente come l’Italia sia il Paese che ha subito più di ogni altro l’impatto della pandemia, proprio perché è quello che da più tempo segnava croniche fragilità. Pertanto una strategia di politica industriale per tornare a crescere deve affrontare i nodi problematici che hanno segnato il declino del nostro Paese, ma nel contempo necessita di un coordinamento stretto a livello europeo.

 

[L'articolo completo è pubblicato sul "Mulino" n. 3/20, pp. 415-421. Il fascicolo è acquistabile qui]