La difficoltà economica in cui versa l’Italia ormai stremata dal lockdown include anche il settore che la rende da sempre unica nel mondo: l’arte visiva. Il patrimonio artistico italiano, che oggi necessita fortemente di sostegno, non è fatto solo di siti archeologici, monumenti e musei che testimoniano l'eccellenza del passato, ma comprende altresì i talenti del presente che sono la conditio sine qua non affinché la ricerca artistica possa proseguire.

Per sostenere gli artisti e le istituzioni culturali in questo momento, lo scorso 30 marzo il direttore artistico della Serpentine Gallery di Londra, Hans Ulrich Obrist, ha lanciato una proposta sul «Guardian», suggerendo ai governi e ai direttori dei musei d’arte contemporanea di mutuare i modelli del programma Public Works of Art Project (Pwap) e dell’agenzia Works Progress Administration (Wpa), istituiti negli Stati Uniti da Franklin Delano Roosevelt durante il New Deal. Alcune testate giornalistiche italiane hanno riferito questa proposta, ma è necessario analizzarla nel dettaglio, approfondendo storicamente cosa fossero il Pwap e la Wpa, per valutarne la fattibilità nel presente.

Il Pwap e la Wpa nacquero in risposta alla Grande Depressione economica del 1929; per gli artisti fu inizialmente istituito il Pwap, attivo dal dicembre 1933 al giugno 1934, con lo scopo di impiegare artisti concedendo loro un salario settimanale da 38 a 46,50 dollari per realizzare opere che abbellissero gli edifici pubblici, il cui tema doveva essere collegato alla coeva realtà americana. Gli artisti presentarono domanda e, come richiesto, dovettero dar prova di essere bisognosi di sostegno economico e in base a questo furono assunti. Impiegando quasi 1,2 milioni di dollari, il Pwap dette lavoro a 3.749 artisti che produssero 15.663 opere, tra dipinti, murales, stampe, poster e sculture per gli edifici governativi del Paese.

Da questa esperienza nacque nel 1935 la Wpa, che proseguì le sue attività fino al 1943. Oltre a creare milioni di posti di lavoro nella costruzione di opere pubbliche (edifici, strade, ponti), la Wpa dedicò alla cultura il gruppo di progetti Federal Project Number One, all’interno del quale, per le arti visive, fu ideato il Federal Art Project che adottò la medesima logica del Pwap: commissionò opere d’arte pubblica con il principale scopo di dare opportunità di lavoro su basi regolari ad artisti disoccupati e in condizioni disagiate. La produzione di opere per gli edifici e gli uffici pubblici si articolò in quattro dipartimenti: pittura su tela, pittura murale, scultura e arti grafiche. I soggetti delle opere dovettero attenersi a tematiche prestabilite: i quadri, ad esempio, dovevano raffigurare la vita e la storia degli Stati Uniti. Gli artisti lavorarono da 10 a 40 ore al mese e percepirono stipendi mensili dai 50 a 150 dollari. Nel 1943, al termine del progetto, furono 5.000 gli artisti partecipanti, 108.099 i quadri, 17.744 le sculture, 2.566 i murales e 240.000 le stampe prodotte. Tuttavia, poiché numerose opere risultarono di scarsa qualità, si procedette alla relativa distruzione (cfr. J. Braeman, R. H. Bremner e D. Brody, The New Deal, vol. I, Ohio State University Press, 1975).

Secondo Obrist, «con la Wpa, gli artisti sono andati nella comunità, hanno ottenuto stipendi e sono stati in grado di fare ricerca e creare lavoro durante l’era New Deal. Ha dato a molta gente i loro primi lavori e commissioni reali. […] Il governo del Regno Unito dovrebbe fare qualcosa del genere» (cfr. «The Guardian», 30.4.2020); ossia un nuovo progetto di arte pubblica per supportare gli artisti durante la pandemia di Covid-19.

Alcuni aspetti del Pwap e della Wpa dovrebbero tuttavia essere tenuti in conto nel caso di una loro riproposizione nel nostro Paese. Rispetto all’arte precedente, durante il secondo Novecento gli artisti si sono sempre più voluti smarcare dai tradizionali concetti di committenza, discipline e tecniche, per assumere la massima libertà nella creazione. Già Kant nella Critica del giudizio scriveva che l’artista gode di un’assoluta libertà creativa dove l’intelletto è presente solo come capacità di realizzare l’opera secondo il proprio naturale gusto estetico. Il Pwap e la Wpa, che imposero modalità e tematiche specifiche, se attuate oggi, dovrebbero invece consentire agli artisti di seguire la propria libertà creativa. Ma soprattutto, commissionare un progetto a tutti gli artisti che rientrano in determinati parametri di necessità economica sposterebbe l’attenzione dalla qualità, che invece è l’unico criterio che permette all’arte di affermarsi e di resistere nel tempo.

In Italia, in termini fiscali, gli artisti hanno la partita Iva, quindi, come per qualsiasi lavoratore analogo, è doveroso che lo Stato intervenga con sgravi e/o indennità fiscali in base al reddito; anzi, sarebbe necessario concepire un sistema di agevolazioni ad hoc attraverso la creazione di una categoria fiscale “artisti visivi” scissa dalle altre più generiche nelle quali solitamente sono inseriti. Tuttavia, in termini di politica culturale, progetti fondati sull’assistenzialismo in base al reddito non giovano all’arte che invece necessita di un incentivo su base qualitativa. È Kant ad aver sottolineato come l’artista non sia da considerarsi un mestiere come un altro perché non si impara né si insegna, ma nasce da un dono naturale: «Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell’artista, appartiene esso stesso alla natura, […] il genio è la disposizione innata dell’animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola all’arte».

Per sostenere l’arte è piuttosto necessario innescare una catena virtuosa anche dal punto di vista economico, per cui spazi espositivi pubblici, gallerie private e collezionisti investano denaro sugli artisti più validi acquistando le loro opere, e non solo coprendone i costi di produzione. Comunque, in entrambi i casi, l’unico criterio da tener conto dovrebbe essere quello qualitativo, come lo fu per un altro progetto rooseveltiano: la Section of Painting and Sculpture istituita nell’ottobre 1934. A differenza del Pwap e della Wpa, la Section commissionò opere pubbliche in modo competitivo, sulla base cioè del progetto presentato dagli artisti, al fine di produrre un’arte della migliore qualità disponibile; poterono partecipare tutti gli artisti indipendentemente dal loro status economico; la selezione delle proposte avvenne senza identificare il nome dell’autore e gli artisti vincitori furono pagati con una somma forfettaria per realizzarle.

Tuttavia, in Italia, dal 2017 la Dgcc del ministero per i Beni e le attività culturali ha attivato un bando ancor più lungimirante, l’Italian Council, per promuovere l’arte contemporanea italiana, con il quale finanzia progetti proposti da enti pubblici e privati senza scopo di lucro, che prevedano la produzione di una o più nuove opere d’arte ideate liberamente da un artista italiano, al fine di incrementare le pubbliche collezioni, dopo un periodo di promozione all’estero. Dall’aprile 2019 il bando si è inoltre rinnovato per promuovere non solo gli artisti, ma anche i curatori e i critici italiani. Dunque, per sostenere l’arte italiana, anziché nuovi Pwap e Wpa, perché non proporre in primo luogo di migliorare e rafforzare con maggiori fondi l’Italian Council già esistente?