John Authers, senior editor di Bloomberg, di solito parla di mercati finanziari, ma nella sua ultima newsletter si occupa di come il Coronavirus stia smuovendo "l'universo morale" da ogni punto di vista. Mi sembra interessante che affronti questo argomento. Chiunque abbia un po’ di amore per il mondo sa che certi ragionamenti sulla giustizia sono necessari.
Authers individua quattro profili morali, detto in modo meno pomposo individua quattro modi in cui possiamo scegliere di porci una domanda fondamentale: come gestire al meglio l'emergenza e il dopo? Ho pensato che la sua riflessione potesse rappresentare “un gioco” che ci aiuta a mettere in ordine le cose, quantomeno a iniziare a metterle in ordine, dentro di noi. Le domande che mi farei sono: tu, fra questi quattro profili, chi sei? Chi non sei ma vorresti essere? Chi non vorresti essere ma temi di diventare in seguito a un esaurimento nervoso che forse deriverà da una situazione di isolamento protratto? Perché secondo me anche questo conta. L’esaurimento nervoso conta. Ecco i profili morali:
1) Profilo Rawlsiano. Cinquant'anni fa John Rawls fece un famoso esperimento mentale. Si chiese come le persone costruirebbero la società se non conoscessero le proprie condizioni di nascita (è un esperimento mentale, immaginario appunto), cioè se non sapessero se nasceranno ricche, povere, nel mezzo. Come se tu fossi un bambino che sta per nascere, ma senza sapere dove, un bambino che però per magia conosce il funzionamento del mondo al pari di un adulto e quindi sa cosa significa avere dei privilegi oppure no. Di fronte al rischio di nascere poverissimo, questo bambino speciale non pretenderebbe per forza l’uguaglianza totale, ma di sicuro pretenderebbe l'esistenza di un moderno stato sociale. La garanzia delle necessità di base e delle opportunità minime per migliorare le proprie condizioni costituirebbe il fondamento della giustizia sociale e politica così immaginata. Alcuni oggi si avvicinano ai dilemmi presentati dal Coronavirus proprio come Rawls, pretendendo che il criterio di azione sia: "Come sceglieremmo di trattare le persone, immaginando di trovarci nella peggiore condizione possibile?". In altre parole, cosa vogliamo fare per garantire la salute e la sopravvivenza materiale di chi è più fragile, mettendoci nei suoi panni?
2) Profilo Utilitarista. Nell'utilitarismo i governanti devono essere guidati dall'obiettivo della felicità totale o "utilità" di tutte le persone, e devono mirare ad assicurare il massimo bene per il massimo numero di persone possibile. In situazioni come la pandemia, l'utilitarismo ammette la possibilità che alcuni possano essere sacrificati per il bene superiore. Secondo questa idea, se una pandemia provoca una recessione e la recessione porta a un accorciamento della vita media derivante da una miseria diffusa nel lungo termine, bisognerà calcolare qual è la massimizzazione del bene complessivo tenendo conto non solo della salvezza delle vite umane nell’immediato, ma anche della salvaguardia del benessere futuro. In altre parole, bisogna per forza fare il lockdown, se questo causa grossi danni nel lungo termine?
Oggi se guardiamo ai problemi morali della pandemia attraverso una lente utilitaristica troveremo risultati che ci appaiono disgustosi (il Boris Johnson ai tempi dell’immunità di gregge). Se l'isolamento si trascinasse per mesi, le idee utilitaristiche potrebbero invece riaffiorare in superficie e risultare meno disgustose per un numero crescente di persone.
Aggiungo una riflessione: quali possono essere i risultati sulla morale della popolazione, a lungo termine, se la situazione di fatica protratta non trova poi un senso nella ricostruzione successiva condivisa? Per questo molti insistono sulla solidarietà, sul contratto sociale futuro, sul dibattito intorno al capitalismo. La metafora della guerra, per quanto imperfetta se usata per il virus, assume un senso all’interno del discorso economico sul mondo che sarà.
3) Profilo Libertario, ossia chi sogna uno Stato che intervenga il meno possibile. Naturalmente la risposta occidentale al Coronavirus ha ampliato enormemente i poteri dello Stato e limitato i diritti individuali. I cittadini hanno accettato restrizioni considerevoli. Chiunque si ponga in senso antagonista rispetto al lockdown, mantiene una posizione libertaria. Ci sono varie gradazioni: le lamentele più razionali (sottolineare i rischi di minaccia alla privacy), quelle più istintive ma umanamente comprensibili (le polemiche sui runner, sui bambini rinchiusi), fino ai veri e propri atteggiamenti spavaldi e individualisti di chi nelle fasi iniziali della pandemia diceva “Faccio come mi pare, se mi prendo il virus sono fatti miei” (in Italia questo atteggiamento mi pare sia scomparso, ma ha avuto i suoi esempi; in altri Paesi resiste, seppure sempre più diluito). Di nuovo, bisogna vedere se nel caso di una crisi prolungata certi atteggiamenti non torneranno di moda e se le persone più insospettabili li seguiranno. Anche per esaurimento nervoso, come dicevo all’inizio.
4) Profilo Comunitario. Un altro approccio si basa sull'idea che tutti si riconoscano in una comunità. I diritti individuali contano, ma non più delle norme della comunità. Recentemente Michael Sandel ha dichiarato: “Il bene comune riguarda il modo in cui viviamo insieme in comunità. Sono gli ideali etici per cui ci battiamo insieme, i benefici e gli oneri che condividiamo, i sacrifici che facciamo l'uno per l'altro. Sono le lezioni che impariamo gli uni dagli altri su come vivere una vita buona e dignitosa”.
Il virus ha attaccato le basi fisiche della vita insieme, perché ci ha isolati. E le idee comunitarie, per reazione, si stanno manifestando in modo potente. Pensiamo alle persone che si sono organizzate per andare alle finestre e ai balconi a cantare, ad applaudire i servizi sanitari nazionali, pensiamo al patriottismo degli inni e delle bandiere.
Il comunitarismo può anche essere alla base di un pensiero socialmente conservatore. Immaginiamo una persona anziana e fragile che dica di essere disposta a rinunciare alla protezione data dal lockdown per il bene superiore della patria – dell’economia della patria. Questo è un pensiero comunitario, non utilitarista. (Bisogna fare attenzione a non confondere le due impostazioni. Il comunitario agisce animato da uno spirito di sacrificio, e non è mai “quantitativo”; l’utilitarista agisce in seguito al calcolo della massimizzazione del bene complessivo.) Oppure pensiamo allo Stato cinese gerarchico e autoritario, ma “benevolo”, che provoca nei cittadini un senso di appartenenza molto forte e un’obbedienza spettacolare.
Sarà interessante vedere cosa prevarrà in futuro e quali correnti prenderanno via via il sopravvento. Si spera che l’esaurimento nervoso passi e che la ricostruzione sia animata dalla solidarietà e non dal rancore.
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