L’esplosione delle relazioni sociali nella Rete sollecita una riflessioni critica sul tipo di fiducia che circola al suo interno. Di particolare interesse appaiono le situazioni in cui gli attori non interagiscono mai fisicamente, quelle circostanze, cioè, in cui l’interazione online non è mai seguita da quella offline. Tali situazioni limite sollevano alcune domande cruciali.
Anzitutto viene da chiedersi se l’assenza (anche nel caso della telepresenza) di un pieno rapporto di compresenza fisico, e perciò della peculiare ricchezza comunicativa che esso può fornire, renda il mantenimento della fiducia interpersonale online più precario di quella generata offline. Per estensione, vale anche la domanda se la fiducia rivolta a organizzazioni che hanno una realtà esclusivamente virtuale sia più precaria della fiducia rivolta a organizzazioni i cui responsabili del loro funzionamento entrano talvolta in contatto fisico con gli utenti. Infine, resta da chiarire se le acquisizioni teoriche e di ricerca sulla fiducia interpersonale e istituzionale a nostra disposizione valgano anche per i rapporti fiduciari che si costruiscono e mantengono esclusivamente online, oppure se questi ultimi abbiano bisogno di fattori esplicativi specifici.
Cercherò di fornire alcune risposte a queste domande impegnative soffermandomi soprattutto sui mercati elettronici, sia perché disponiamo, in proposito, di una base minima di ricerche, sia perché essi ci permettono di formulare delle riflessioni di carattere più generale.
Se si guarda ai mercati elettronici come eBay e Amazon i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’operare in questo tipo di mercati, rispetto a quelli tradizionali, risultano evidenti. Per gli acquirenti i vantaggi derivano dall’apertura dei mercati ventiquattro ore al giorno, dai prezzi dei prodotti spesso più bassi, dalla scelta più ampia di prodotti, dalla comodità dell’acquisto stando a casa. Gli svantaggi dipendono dall’assenza di contatti faccia a faccia con il venditore, dall’impossibilità di toccare e vedere direttamente i prodotti, da problemi di sicurezza e privacy nel trasferimento di dati personali tramite carta di credito o altro.
Dal lato dei venditori, d’altra parte, c’è il rischio che i compratori, sfruttando le maggiori opportunità offerte dal web di mascherare la propria identità, non paghino o ritardino i pagamenti (anche se, generalmente, il pagamento viene richiesto in anticipo). Più in generale, per i mercati elettronici, la facilità di entrata e uscita, di transazioni una tantum, di operazioni condotte con vari gradi di anonimato o di identità mascherate acuisce il rischio di comportamenti opportunistici (cfr. eTrust, a cura di K.S. Cook et al., Sage, 2009). Comportamenti opportunistici che possono manifestarsi, per esempio, tramite pubblicità ingannevole, mancato rispetto della qualità delle merci, dei prezzi indicati e dei tempi previsti per concludere le contrattazioni.
Quali regole e strumenti di controllo sono stati elaborati per contenere i comportamenti opportunistici e stabilizzare la fiducia nei mercati elettronici, garantendone buona reputazione e buon funzionamento? Possiamo affermare che sono state adottate essenzialmente tre soluzioni che si rafforzano l’un l’altra.
La prima riguarda il sistema di reputazione formale costruito da eBay, copiato poi da Amazon, da Airbnb e da altri mercati elettronici, che permette di raccogliere facilmente e in tempi rapidi una grande mole di informazioni reputazionali. I compratori e i venditori stilano giudizi reciproci a transazione avvenuta, usando una scala di valori positivi o negativi che esprimono il reciproco grado di soddisfazione raggiunta e, soprattutto, che vengono resi pubblici. Gli operatori, dunque, si valutano reciprocamente e il buon funzionamento di questo meccanismo reputazionale, reso pubblico, influisce anche sulla reputazione dello specifico mercato elettronico in cui avvengono le transazioni. A volte viene anche chiesto agli attori dello scambio di giudicare le valutazione espresse da altri attori, producendo un secondo livello reputazionale che costituisce un vero e proprio metalivello valutativo. Naturalmente, la possibilità di contraffazioni e di comportamenti fraudolenti è sempre presente (per esempio, gli autori di un libro possono valutarsi positivamente sotto pseudonimo).
Esistono però controlli per ridurre questi comportamenti, incorporati in software capaci di individuare gruppi di attori che agiscono in modo collusivo. Purtroppo non disponiamo ancora di un’accurata valutazione critica di questi software, ma si sa che essi adottano procedure di analisi linguistica basate su ricorrenze terminologiche, tipi di aggettivazione e analiticità delle valutazioni. Secondo i gestori dei siti, questi sistemi di controllo non hanno eliminato totalmente i comportamenti disonesti, ma li hanno ridotti in modo significativo. In assenza, però, di un resoconto critico sul funzionamento di questi algoritmi di controllo possiamo al momento affermare solo che essi presuppongono un ulteriore livello fiduciario e cioè la fiducia nei sistemi e negli algoritmi di controllo della contraffazione.
La seconda soluzione, giudicata rilevante al fine del potenziamento della reputazione di questi network elettronici, è la presenza di valutazioni positive o semplicemente della pubblicità da parte di imprese o istituzioni («terzi attori») a elevata reputazione che fungono da «imprenditori-diffusori della reputazione» dello specifico network elettronico cui fanno riferimento. Specie per i prodotti di difficile valutazione (per esempio, tutto ciò che riguarda i contenuti tossici di una data merce), la reputazione tende a essere sostenuta da valutazioni competenti e certificazioni fornite da esperti istituzionali (Eco- Audit, associazioni di consumatori, ecc.).
Infine, la terza soluzione che fornisce un contributo positivo alla reputazione dei mercati online può venire dalle politiche che rendono agevole ed efficace la possibilità di restituzione dei prodotti non considerati soddisfacenti da parte degli acquirenti (anche semplicemente perché hanno cambiato idea) entro un periodo predefinito successivo alla consegna, come, per esempio, succede nel caso di Amazon e Alipay. Ciò tutela proprio quelle dimensioni di praticità e comodità dei mercati elettronici che sono una componente importante della loro capacità attrattiva.
Ci troviamo di fronte, dunque, a un vero e proprio sistema di governance e di regole atte a tutelare il buon funzionamento e la reputazione di tali mercati. Naturalmente, siamo sempre in presenza di contesti nei quali la sicurezza assoluta riguardo ai comportamenti opportunistici non è mai totalmente garantita, altrimenti ci porremmo al di fuori dell’ambito fiduciario, essendo la sicurezza assoluta un evidente sostituto della fiducia. La fiducia che circola in questi mercati ha la natura di fiducia nei «sistemi esperti» o «astratti» (cfr. A. Giddens, Le conseguenze della modernità, trad. it. Il Mulino, 1994), fiducia, cioè, nella loro capacità di garantire l’affidabilità e la buona reputazione di tutti coloro che sono coinvolti nell’interazione.
Tale fiducia si basa senz’altro su componenti cognitive legate alla possibilità di verificare il buon funzionamento di questi mercati, ma anche su una dimensione emotiva connessa alla fascinazione prodotta dalla loro praticità e comodità, come pure alla tendenza, da parte degli attori sociali, ad accettare pragmaticamente i sistemi impersonali e complessi. Quest’ultima dimensione, tipica della fiducia sistemica, è particolarmente evidente nel caso della moneta elettronica bitcoin. La fiducia nella genuinità della transazione monetaria peer to peer via bitcoin (e relativo anonimato) non ha bisogno di un terzo intermediario che garantisca la buona reputazione di tale moneta e il suo valore, ma è affidata a un complesso sistema di software e algoritmi (blockchain). Tale apparato digitale, finché funziona e non incorre in bolle speculative aggravate dall’assenza di un terzo garante delle transazioni, rappresenta indubbiamente la quintessenza della fiducia nei sistemi esperti. Anche la criptovaluta Libra che Facebook intende lanciare dovrebbe operare senza alcuna autorità di vigilanza, scavalcando, come già succede per i bitcoin, i sistemi bancari nazionali. La garanzia reputazionale verrebbe fornita dal network tecnologico privato a vocazione monopolistica Facebook. Bitcoin e Libra si presentano, però, come monete globali che, più di altre, devono far fronte al problema dell’evasione fiscale, del riciclaggio di denaro sporco e, nel caso di Libra, dell’enorme concentrazione di potere nelle mani di Zuckerberg.
Cosa succede quando i mercati elettronici falliscono? I mercati finanziari ci forniscono, in proposito, utili indicazioni. Quando i mercati finanziari versano in grave crisi si assiste, generalmente, alla produzione di nuove regole, procedure e istituzioni che svolgono non solo la funzione esplicita di migliorare il governo di tali mercati, ma anche la funzione latente di ricostruire la reputazione delle principali istituzioni finanziarie e dei relativi controllori, minacciata dagli errori di previsione e di gestione della crisi. Questa funzione latente può essere definita come un meccanismo di «produzione di reputazione tramite regolazione». Giocano a favore del consolidamento della fiducia e della reputazione presenti nei mercati finanziari anche altri due elementi di natura socio-psicologica che qualificano ulteriormente la specificità della fiducia nei sistemi esperti.
Il primo elemento, come abbiamo già sottolineato, è dovuto a una sorta di accettazione pragmatica nei confronti di sistemi istituzionali impersonali e ipercomplessi, che riduce l’ansia indotta dall’incertezza. Il secondo elemento è legato, come ci suggeriscono le crisi finanziarie del passato, alla rimozione collettiva, nel corso del tempo, degli episodi di crisi e dei danni a essi associati. Ciò spiega, in parte, perché si faccia fatica ad apprendere anche quel poco che le crisi finanziarie passate ci potrebbero insegnare riguardo alle crisi future (cfr. C.M. Reinhart e K.R. Rogoff, Questa volta è diverso, trad. it. Il Saggiatore, 2010). Penso che gli elementi esplicativi fin qui elencati sulle crisi dei mercati finanziari possano essere estesi, senza grosse modifiche, anche agli altri mercati elettronici. Quando i siti di questi mercati falliscono ne riemergono altri che spesso sono gli stessi mascherati con altri nomi (cfr. R. Botsman, Di chi possiamo fidarci?, trad. it. Hoepli, 2017).
Questa riemersione si accompagna, non a caso, alla richiesta di nuove regole e di nuove forme di regolazione, richiesta che svolge, appunto, la funzione latente di ripristinare la fiducia online. Anche le questioni legate alla privacy dei cittadini, nel momento in cui diventano dominanti nel dibattito pubblico (come nel marzo 2018, con lo scandalo della società Cambridge Analytica, che ha posto in evidenza l’uso disinvolto, attuato dagli operatori di big data, di dati personali a fini commerciali e di influenza politica) possono sollevare questioni di sicurezza dei siti internet che portano a sollecitare sistemi di controllo più stringenti.
Se aggiungiamo a questa richiesta di maggiori controlli l’effetto delle due variabili di natura socio-psicologica appena discusse, è alquanto probabile che i fallimenti dei mercati online non abbiano prodotto significative riduzioni della fiducia diffusa in Internet e nei relativi sistemi esperti. Quest’ultima ipotesi può essere estesa anche ai siti online non orientati al mercato? Si tratta di un interrogativo che, per trovare una risposta adeguata, richiederebbe sistematiche ricerche, ancora non disponibili, sulla fruizione di Internet per classi sociali, livelli di istruzione, età, genere e culture nazionali. Tale interrogativo solleva il problema, ampiamente discusso oggi, della necessità di un’attenta educazione al consumo dell’informazione digitale (con i connessi risvolti di fake news e hate speech). Ma, come abbiamo cercato di evidenziare fin qui, esso pone pure la questione del controllo di veridicità delle informazioni prodotte e diffuse dai principali siti Internet. Bisogna riuscire a individuare efficaci e non invadenti strumenti di controllo su tali siti, in grado di trovare un adeguato equilibrio tra la necessità del libero accesso per tutti a internet, e la garanzia della trasparenza e della veridicità delle informazioni diffuse in Rete.
Si possono escogitare molte soluzioni, ma certamente l’istituzione di autorità indipendenti che valutino su tali problematiche i siti più rilevanti, attribuendo loro rating reputazionali, meriterebbe di essere presa in considerazione. Pur tenendo conto di tutti i limiti che simili forme di controllo portano con sé, soprattutto quando è implicata la libertà di informazione, è indubbio che l’esistenza di questi sistemi di valutazione servirebbe quantomeno da deterrente alla diffusione eccessivamente disinvolta di informazioni non attentamente validate o, addirittura, inattendibili. Tale deterrenza diventerebbe, poi, particolarmente efficace nel momento in cui i controllori conquistassero un’elevata reputazione tra i cittadini.
In conclusione, per rispondere alle domande che ci siamo posti all’inizio di questo intervento, possiamo affermare che, a causa della carenza di ricerche a nostra disposizione, non è ancora possibile sostenere in modo serio e rigoroso che ci sia una maggiore precarietà della fiducia verso persone e organizzazioni online rispetto a quella esistente offline. Mi sembra invece di poter affermare che la fiducia online presente soprattutto nei mercati elettronici non richieda, sul piano teorico, il ricorso a una strumentazione interpretativa specifica, diversa da quella che la tradizione sociologica ci ha trasmesso sulla tematica fiduciaria. Ci troviamo generalmente di fronte, infatti, a una miscela di fiducia (con forti componenti emotive) nei sistemi esperti e nei relativi strumenti di controllo (regole e garanti).
Riproduzione riservata