Sulla proposta (tardiva) di un'operazione internazionale in Siria. Circa due settimane fa Annegret Kramp-Karrenbauer, ministra della difesa e presidente della Cdu, ha lanciato la proposta di una forza internazionale tra Siria e Turchia. Com’è noto, dopo la decisione americana di ritirare le proprie truppe dall’area Nord-orientale della Siria, quella sotto il controllo curdo, la Turchia ha avviato una nuova operazione finalizzata alla creazione di una cosiddetta “zona di sicurezza”, originariamente prevista lungo tutto il confine tra i due Paesi. Il governo di Ankara intende così perseguire due obiettivi: da un lato recidere ogni tipo di legame tra i curdi siriani e quelli turchi, data la contiguità tra il Pyd, il maggior partito curdo siriano, e il Pkk; dall’altro riportare in Siria i rifugiati che sono stati accolti nel corso degli ultimi anni e che sono diventati un problema enorme per la politica turca.
Con questa seconda operazione, Erdoğan punta ad alterare definitivamente il già compromesso equilibrio demografico del Nord della Siria – l’arrivo delle truppe turche o alleate di Ankara ha immediatamente provocato la fuga di migliaia di profughi curdi verso l’Iraq o verso le regioni siriane più orientali –, scenario che potrebbe rappresentare un vero dilemma per i prossimi decenni, come dimostra il caso di Kirkuk, ricchissima città irachena soggetta per anni a processi di “arabizzazione” forzata dal regime di Saddam e tutt’oggi problema enorme tra il governo di Baghdad e quello curdo della Regione autonoma. Va detto pure che l’Iraq non è in questo momento nella condizione di accogliere ulteriori rifugiati e che nelle prossime settimane il problema umanitario potrebbe esplodere nuovamente (con possibili ripercussioni per l’Europa).
Kramp Karrenbauer, nel corso di un’intervista, ha usato parole molto chiare per l’operazione turca: ha parlato di illegittima “annessione” (la Turchia è in Siria per restarci e non solo per ragioni legate alla lotta al terrorismo), e della necessità per Ankara di soddisfare le proprie esigenze di sicurezza solo all’interno di un’operazione sostenuta dalla comunità internazionale a cui va necessariamente restituita la parola. Pochi giorni dopo, Russia e Turchia si sono accordate per un pattugliamento comune, mentre il governo di Damasco, pur protestando contro l’“invasione” turca, ha accettato il fatto compiuto, verosimilmente perché a breve potrà rientrare in possesso di Idleb, dove si nascondeva lo stesso Abu Bakr al-Baghdadi e ultimo bastione della resistenza. Inoltre, la pressione turca ha anche imposto ai curdi di accettare l’ingresso delle truppe lealiste di Damasco, mettendo una seria ipoteca sul proseguo dell’esperienza democratica del Nord-Est della Siria, perlomeno nelle forme in cui si è caratterizzata sino ad oggi.
In Germania la proposta di Kramp-Karrenbauer è stata molto criticata: al Bundestag Rolf Mützenich il capogruppo della Spd ha chiesto, piuttosto, di mettere in discussione l’appartenenza della Turchia alla Nato, e tramite il capogruppo parlamentare Dietmar Bartsch, la Linke ha bocciato ogni tipo di intervento che possa prevedere la presenza di soldati tedeschi (Kramp-Karrenbauer si è detta disponibile a inviarne 2500), mentre Heiko Maas, socialdemocratico e ministro degli Esteri, nel corso del suo viaggio ad Ankara ha di fatto bocciato la proposta della collega. Un gesto, soprattutto per il luogo prescelto (la conferenza stampa con il suo omologo turco), che rappresenta un punto molto basso della diplomazia tedesca e che potrebbe costituire davvero l’inizio della fine anticipata della Grande coalizione a Berlino.
La proposta di una operazione internazionale è arrivata certamente troppo tardi: quando le truppe turche erano già in movimento. Del resto, le intenzioni di Ankara erano note da tempo, non solo per le esplicite affermazioni di Erdoğan fino a poche settimane prima dell’invasione (compreso l’intervento all’Onu con tanto di carta geografica e obiettivi dell’operazione), ma anche perché all’inizio dello scorso anno un’operazione simile fu lanciata e realizzata sul confine Nord-occidentale, ad Afrin. Ma concentriamoci sul merito della proposta.
Kramp-Karrenbauer opera una svolta importante nella politica estera tedesca ed europea, ritenendo possibile riaffidare alla comunità internazionale un suo ruolo: la missione dovrebbe essere realizzata dalle Nazioni Unite a seguito di una risoluzione del Consiglio di sicurezza. Si tratta di una misura indispensabile perché la Germania possa mettere a disposizione proprie truppe, secondo la giurisprudenza del Tribunale costituzionale federale (un intervento simile a quello realizzato nel 1999 per la guerra in Kosovo senza autorizzazione del Consiglio di sicurezza rappresenterebbe una nuova lesione del diritto internazionale, che è esattamente l’opposto di quello che la ministra tedesca ha dichiarato di voler realizzare). La proposta è stata lanciata insieme alla disponibilità a farsi carico di parte della missione stessa con uomini e mezzi: di fronte al ritiro americano, la Germania sembra volersi far carico anche di un ruolo attivo nella difesa degli interessi europei e nella promozione del diritto internazionale.
Kramp-Karrenbauer coglie due aspetti, non solo della vicenda siriana ma anche dello stato attuale delle relazioni internazionali: il ritiro americano non prelude solo al “tradimento” dei curdi (categoria di difficile utilizzo in politica), ma alla più chiara manifestazione di come gli Stati Uniti perseguano i propri interessi di grande potenza. In secondo luogo, la riduzione delle relazioni internazionali a puri accordi tra grandi e medie potenze rischia di rappresentare un problema enorme se l’Europa dovesse continuare a mostrarsi impreparata.
Occorre trovare un compromesso con Ankara, con la quale negli ultimi anni abbiamo firmato un patto sui rifugiati che ha praticamente annullato l’ingresso di migranti dalle rotte orientali (ma con la quale abbiamo congelato persino la discussione sulla liberalizzazione per i viaggi brevi di cittadini turchi in Europa), e con Mosca, il cui interesse per la stabilità di una Siria “unita” non è in alcun modo in concorrenza con gli interessi europei. Dunque, la missione internazionale potrebbe restituire dignità e ruolo alle Nazioni Unite, obbligare una serie di nazioni europee a doversi confrontare con questa sfida (si è molto parlato di un impegno della Gran Bretagna e della Francia, che ha avuto un ruolo “storico” proprio nella costituzione della Siria attuale, ma anche l’Italia avrebbe un interesse evidente), e spingere le istituzioni europee recentemente rinnovate a un investimento di lungo periodo sulla politica estera e su una forza militare continentale. Da questo punto di vista dunque, la proposta tedesca non era infondata, ma coglieva alcuni aspetti precisi di interesse tanto verso Ankara (alla quale la ministra tedesca riconosceva la legittimità di maggiore sicurezza sul confine meridionale) che verso Mosca.
Le critiche, che soprattutto da sinistra hanno investito la proposta, sono francamente incomprensibili. Mettere in discussione l’appartenenza della Turchia alla Nato rappresenterebbe, allo stato attuale, solo l’ultimo passo verso l’allontanamento, probabilmente definitivo, di Ankara dall’Europa. Una scelta insensata visti i rapporti economici, commerciali, la nutrita comunità turca presente in Europa e, soprattutto, la necessità per l’Unione europea di costruire un rapporto positivo e paritetico con un grande Paese a maggioranza islamica (troppo spesso sbrigativamente etichettato come “fascista”).
La presenza europea in Siria potrebbe, inoltre, avere un peso per il futuro del Paese e per difendere l’esperienza curda: la nuova Siria, certamente unita, potrebbe introdurre elementi di federalismo nella nuova costituzione basata sul modello iracheno (che ha limiti enormi ma che, tuttavia, presenta anche qualche vantaggio, come dimostra lo sviluppo, anch’esso contraddittorio, della Regione autonoma curda), al fine di tutelare le diversità etniche, nazionali e religiose che attraversano il Paese senza che esse diventino fonte di nuovi conflitti.
Infine, la contrarietà a ogni intervento militare, persino se condotto sotto l’egida dell’Onu, denota la mancata consapevolezza di come le relazioni internazionali siano cambiate negli ultimi anni: l’Europa può trovare un suo ruolo solo perseguendo i propri interessi attraverso il potenziamento del diritto e delle istituzioni internazionali (a prescindere dall’esito della proposta di Kramp-Karrenbauer). L’alternativa è la condanna all’impotenza quando non alla vera irrilevanza politica.
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