Dalla complicatissima sequenza politica che sembra concludersi con la formazione del nuovo governo, trapela un elemento particolarmente interessante. In estrema sintesi, abbiamo assistito alla trasformazione di una crisi politica per certi versi inedita, in una crisi parlamentare che sembrava quasi classica, da Prima Repubblica. Ma quasi, perché bisogna considerare una differenza determinante: nel Parlamento italiano non c’è più traccia di partiti classici, il perno strutturante della Prima Repubblica.

Basta ripercorrere brevemente il profilo delle tre forze protagoniste dell’avvicendamento al governo per rendersene conto. La prima forza del Parlamento, il M5S, rivendica una rottura disruptiva del funzionamento della forma-partito. Per questa ragione, il voto sulla piattaforma Rousseau è parso a molti illegittimo, pur essendo legale. Il solo partito che potesse forse vantare una certa continuità novecentesca, la Lega, ha conosciuto una folgorante trasformazione della linea politica fondativa, tanto profonda quanto profondamente instabile, data la sua stretta correlazione con il consenso riscosso dal suo carismatico leader. Il Pd, infine, nel suo stato di permanente crisi da innesto rifiutato, si candida a diventare l’esercito di riserva della classe dirigente della Repubblica, in assenza di altri pretendenti.

Da questa ipotesi deriverebbe una definizione relativamente precisa di quella che potrebbe diventare l’essenza politica della “Terza Repubblica”: un regime parlamentare puro, senza partiti. Saremmo di fronte a un’invenzione all’altezza della reputazione ormai mondiale del laboratorio di formule politiche italiane che ha prodotto in poco più di un ventennio Tangentopoli, il berlusconismo e il Movimento 5 Stelle.

Molti elementi lasciano pensare che la riscoperta dell’essenza parlamentare dell’ordine politico italiano sia stata una vera sorpresa anche per una parte dei suoi principali attori, cominciando dal fautore della crisi di governo, Matteo Salvini. Fino a qualche settimana fa, un Parlamento in profonda crisi di legittimità, senza partiti organizzati al suo interno non sembrava poter resistere all’inarrestabile ascesa di un politico carismatico. La Seconda Repubblica è stata caratterizzata da Berlusconi e dalla sua capacità di neutralizzare, almeno parzialmente, la forza che la Costituzione attribuisce al Parlamento, iscrivendo la sua azione all’interno di un sistema partitico devastato da Mani pulite. La scomparsa ormai irreversibile del carisma politico di Berlusconi ha però svelato la nudità del sistema politico italiano, facendolo ritornare alla versione originaria.

L’impressione chiara è che il politico, cioè l’articolazione complessa dei mezzi e dei fini, non possa più trovare una rappresentazione adeguata nel sistema parlamentare italiano. I partiti e le istituzioni nazionali sono ai loro minimi storici di consenso e di fiducia.

Cosa resta quindi al governo? Di fronte a questo vuoto di potere, rimane soprattutto l’attuazione di giochi di prestigio all’altezza di un dibattito strategico e politico ridotto a poco più di nulla. Lo stile populista, che passa attraverso l’ingegnerizzazione del consenso, ha definito l’ultimo anno di governo, mostrando come, nella sua struttura, la presa e la perdita di potere siano diventati due momenti pressoché sincronici.

Esiste un’alternativa? Difficile dare una risposta restando nel solo ambito dell’analisi politica. Dove non può avventurarsi la disamina razionale, si può però fare ricorso all’immagine poetica. In un famosissimo estratto degli Ossi di Seppia si legge forse la migliore definizione della situazione di stallo in cui si trova il sistema politico italiano contemporaneo: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

Il nuovo governo non sarà sorretto da una “coalizione Ursula” (dal nome della nuova Presidente della Commissione europea, eletta coi voti degli europarlamentari di Forza Italia, del M5S e del Pd). Come definire il Conte bis, allora? Potremmo forse caratterizzare il suo orientamento paradossale partendo proprio dall’animale preferito da Montale, “l’ilare uccello calunniato dai poeti”: dal “governo Ursula” al “governo upupa”, insomma.