A ben vedere non erano molti i punti su cui Lega e Movimento 5 Stelle avessero prospettive convergenti: uno di questi era però sicuramente l’euroscetticismo. È vero che l’euroscetticismo (come del resto l’europeismo) è un orientamento piuttosto trasversale, con molte facce, in Italia come altrove in Europa. La rottura tra le due formazioni è avvenuta sul voto a favore di Ursula von der Leyden per la presidenza della Commissione e a questo punto i pentastellati potrebbero schierarsi a Strasburgo in un raggruppamento non euroscettico. Sarebbe un segnale da accogliere favorevolmente, come una sorta di provvido ravvedimento. Tuttavia corre l’obbligo di ricordare come, prima della rottura, tanto al Movimento di Grillo quanto alla Lega di Salvini abbia fatto comodo prendersela con l’Unione europeo, nella certezza che un nemico esterno ben identificabile possa aumentare la coesione interna. Nel corso di questo primo scorci odi legislatura, durato 14 mesi, le due forze di governo si sono trovate d’accordo soprattutto sulla diagnosi: che i mali del Paese siano l’effetto dei vincoli imposti da Bruxelles e che li si possa guarire con un recupero di sovranità, un racconto andato in onda a più riprese e con grande evidenza su tutte le principali reti generaliste della tv e della radio italiana.
Oggi, nel tentativo di dare un governo al paese senza interrompere la legislatura si sono intavolate le trattative tra PD e M5S e tra i punti posti dalla direzione del PD per negoziare un accordo i rapporti con l’UE sono stati messi, giustamente, al primo posto, ma ci si limita comunque ad un’enunciazione generica. Nei punti indicati dal M5S per aprire il dialogo, il capitolo Europa è semplicemente assente.
Ribadire la lealtà ai trattati europei non basta. Non basta promettere di partecipare diligentemente alle periodiche riunioni dei ministri degli Stati membri (cosa che Matteo Salvini si è guardato bene dal fare, confermando del resto l’alto tasso di astensionismo registrato nel corso dei lunghi anni del suo mandato da Parlamentare europeo). Bisognerebbe avere idee chiare,almeno qualcuna, e con esse una strategia a breve ed una a medio-lungo termine di cambiamento dell’Unione, intorno alle quali cercare alleanze e consensi nei governi dei Paesi che avvertono le stesse esigenze, a partire da Francia e Germania.
In particolare, nel breve periodo occorre superare le difficoltà immediate legate alle clausole che agganciano le aliquote dell’Iva al deficit di bilancio; suggerire una persona competente e credibile per la Commissione europea; rivedere gli accordi di Dublino, riprendendo la proposta approvata dal Parlamento europeo uscente, regolamentare le azioni di salvataggio in mare delle Ong e trovare mezzi efficaci per combattere il traffico di esseri umani. Sempre nel breve periodo, è poi necessario rafforzare i meccanismi di stabilizzazione in caso di shock asimmetrici e usare con accortezza i margini di flessibilità nella gestione dei deficit di bilancio.
Molto da fare resta per quanto riguarda le azioni sul medio periodo, dovendo riconoscere la fondatezza di alcuni argomenti della critica proveniente da parte degli euroscettici: così com’è l’Unione non funziona e va cambiata. Non per indebolirla, però, ma per rafforzarla.
In sintesi, quattro soni i capitoli principali intorno ai quali costruire una strategia di cambiamento, senza per il momento mettere in moto le complesse procedure di revisione dei trattati, a cominciare dalla creazione in prospettiva di un corpo di polizia europea alle dipendenze della Commissione per presidiare i confini esterni. L’Unione deve poter stabilire quanti (tanti o pochi, sarà questione di scelta politica) e quali immigrati accogliere e integrare nella società europea a seconda delle esigenze e delle capacità dei vari territori. In secondo luogo è necessario accrescere gradualmente fino a raddoppiare il budget dell’Unione europea, al fine di accrescere i fondi strutturali per correggere gli squilibri territoriali interni, finanziare una vera politica ambientale e, infine, rifinanziare e potenziare il programma Erasmus-Socrates. Questi obiettivi potranno essere raggiunti anche mediante il riconoscimento all’Unione di un potere di imposizione fiscale autonomo dagli stati membri (carbon tax et similia).
Virne poi l’urgenza di ricorrere allostrumento delle cooperazioni rafforzate in tutti i campi dove ciò sia consentito al fine di limitare il più possibile le decisioni all’unanimità.
Last but not least, gli europei devono rendersi conto che nell’attuale assetto delle relazioni a livello mondiale, né l’America di Trump né la Russia di Putin hanno interesse a un rafforzamento politico dell’Europa. Anzi, forse faranno il possibile per evitare che si verificano i presupposti affinché ciò possa accadere. Chi ha spirito servile cercherà, come sempre, di ingraziarsi gli uni o gli altri. Ma l’Europa ha bisogno di una reazione di orgoglio, non certo di servilismi. E l’Italia dovrebbe fare la sua parte, con chiarezza e coerenza.
Riproduzione riservata