Uno degli aspetti più interessanti delle complesse e assai importanti vicende dell’autonomia regionale differenziata è che le richieste non provengono solo da regioni a guida leghista, e cioè Veneto e Lombardia, ma anche dall’amministrazione regionale dell’Emilia-Romagna, a guida Pd.
Vi sono importanti differenze. Sotto il profilo del processo, in Emilia-Romagna – a differenza degli altri due casi – si è proceduto per via amministrativa, senza l’indizione di un referendum popolare. Sotto il profilo delle competenze, l’Emilia-Romagna (a differenza delle altre due regioni) non richiede ad esempio una vera e propria regionalizzazione della scuola, con il passaggio dei dirigenti scolastici e del personale degli uffici del Miur alle dipendenze della regione e poi con il reclutamento su base territoriale dei docenti o il passaggio di competenze in materia energetica. Infine, i responsabili politici emiliano-romagnoli hanno sempre sostenuto che la loro iniziativa non mira a ottenere maggiori risorse finanziarie, e che si inserisce perfettamente nell’attuale quadro di unità nazionale.
Vi sono tuttavia alcune criticità. La prima attiene all’estensione delle richieste emiliano-romagnole. È straordinariamente ampia: se per alcuni aspetti è inferiore a quella lombardo-veneta, per altri è superiore, come nei casi di sanità, cultura, ambiente, governo del territorio, infrastrutture, rischio sismico e protezione civile; tale da far concludere – ad esito di un'attenta analisi comparata – che se “Emilia-Romagna, da un lato, e Veneto e Lombardia, dall’altro, hanno in definitiva interpretato in maniera diversa la propria richiesta di maggiore autonomia, ciò sembra sia avvenuto con riguardo più alla forma che alla sostanza”. Purtroppo non si può far riferimento alle più recenti bozze di Intese (16.5.2019) per verificarlo, perché esse sono segrete, e neanche la regione ha provveduto a renderle note. Dunque anche per l’Emilia-Romagna valgono i gravi interrogativi di fondo sollevati nel dibattito e ripresi in un recente documento del dipartimento per gli Affari giuridici e legislativi della presidenza del Consiglio: quali sono le specificità regionali che giustificano queste richieste differenziate? Con queste richieste non si sta prefigurando una regione a statuto speciale? Se estese a tutte le regioni, come possibile (forse inevitabile), non si prefigura un surrettizio cambiamento dell’articolo 117 della Costituzione? Certamente la regione Emilia-Romagna – con tutta probabilità rompendo con una lunghissima tradizione politica – non ha proposto una diversa visione di regionalismo per l’intero Paese, ma ha richiesto maggiori competenze per se stessa: se vi è un problema nazionale di certezze di fondi per l’edilizia scolastica interessa che sia risolto nel proprio territorio.
La seconda attiene agli aspetti finanziari. Se la regione non ha mai chiesto, non si è rifiutata di ottenere. Ha sottoscritto le pre-intese con il governo Gentiloni nelle quali figurava il principio – che cozza non poco anch’esso con la tradizione politica della regione – che territori con un maggior reddito pro capite, e quindi con un maggior gettito fiscale, hanno diritto a un maggior livello di servizi (come riportato in dettaglio in un'analisi cui si rimanda per la ricostruzione delle vicende). Ha altresì firmato una successiva intesa nel febbraio 2019, con il governo Conte, sugli aspetti finanziari e generali, dalla quale (come mostrato da più analisi e con completezza e autorevolezza da Maria Cecilia Guerra sul numero 1/2019 della rivista “Le Regioni”) scaturiranno con certezza vantaggi economici per la regione Emilia-Romagna a danno delle altre non firmatarie.
L’ultima tocca un aspetto prettamente politico. L’amministrazione regionale emiliano-romagnola non ha mai significativamente differenziato la propria posizione da quella di Lombardia e Veneto (a differenza ad esempio dalle prese di posizione del Pd in Toscana, o di illustri esponenti della sinistra emiliana, fra cui un ex presidente della regione). E da quelle della Lega: forse perché, alle prese con un difficile turno elettorale, ha scelto di combattere la propria battaglia politica assumendo gli argomenti degli avversari. Ha così impedito una caratterizzazione in senso politico della discussione. Il totale e mortificante silenzio del Partito democratico sul tema è certamente spiegato dalla posizione della sua potente componente emiliano-romagnola: silenzio che non giova certo alle sue prospettive di recupero elettorale. Con tutti i pericoli che il processo comporta, fino al possibile "sgretolamento" del Paese paventato dal presidente dell’Associazione “il Mulino”.
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