La proposta di legge di modifica della normativa sulla legittima difesa e connessi – approvata lo scorso 24 ottobre dal Senato con 195 voti favorevoli (M5s e Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia), 52 contrari (Pd e di LeU) e un'astensione – nasce dall’intento di trasformare in legge uno slogan tenacemente propagandato e di forte impatto sociale: “la difesa è sempre legittima”.

Il denominatore comune dei disegni di legge presentati nei mesi scorsi da Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia (confluiti nel testo unificato licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato) sta infatti nell’eliminare il requisito della proporzione tra l’offesa e la reazione. Questo requisito rappresenta uno dei cardini della legge oggi in vigore che afferma: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa” (art. 52. Codice penale).

A detta della Lega, per bocca del sottosegretario agli Interni Nicola Molteni che presentò il primo disegno di legge, l’attuale norma “appare insufficiente a garantire una possibilità di difesa da aggressioni violente, soprattutto nella parte in cui richiede, affinché ricorra la legittima difesa, la proporzionalità tra difesa e offesa”. Per superare questa “carenza” è stato aggiunto “sempre”. Con il nuovo testo, pertanto, “sussiste sempre il rapporto di proporzione tra offesa e difesa” se taluno legittimamente presente nell’abitazione o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, “usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere la propria o la altrui incolumità, i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione”. Non solo. Il disegno di legge aggiunge un ulteriore comma all’articolo 52, col quale si stabilisce che “agisce sempre in stato di legittima difesa” colui che, all’interno del domicilio o altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale “compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. Si introduce così una presunzione di tutti i requisiti della legittima difesa, una presunzione che è da ritenersi assoluta, considerato il ricorso all’avverbio “sempre”.

Inoltre, l’articolo 2 della riforma va a modificare l’articolo 55 del Codice penale che disciplina “l’eccesso colposo”. Con il nuovo testo si esclude la punibilità di chi si è difeso in “stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”. 

Tralasciando gli altri punti della proposta di riforma, importanti, alcuni condivisibili, va innanzitutto notato che il disegno di legge approvato dal Senato non solo mina alla base un principio fondamentale di civiltà giuridica (cioè che la necessità di difendersi non si tramuti in offesa, ritorsione o vendetta), ma – come ha evidenziato con un comunicato l’Associazione italiana dei professori di Diritto penale (Aipdp) – ci fa passare dal “diritto di legittima difesa” al “diritto di difesa”. E soprattutto di difesa con le armi.

Sarà questo l’effetto più rilevante. Il nostro ordinamento, infatti, oggi compensa la facilità con cui si può ottenere una licenza per armi (viene generalmente concessa a tutti i cittadini incensurati, non alcolisti o tossicodipendenti, esenti da malattie nervose e psichiche, dopo aver superato un breve corso di maneggio delle armi) con le rigorose condizioni stabilite dalla legge sulla legittima difesa (necessità della difesa, attualità o inevitabilità del pericolo che deve essere reale ed effettivo e non solo ipotetico, presunto o possibile, non desistenza dell’aggressore e proporzionalità tra la difesa e l'offesa).

Il venir meno di diverse di queste condizioni e, soprattutto, l’introduzione della “presunzione di legittima difesa” anche per gli atti diretti a «respingere l’intrusione», porterà infatti molti italiani ad armarsi.

La situazione attuale non giustifica l’assunzione di misure che potrebbero invece avere conseguenze devastanti sulla sicurezza comune. Secondo i dati del Viminale, presentati in una ricerca di Marzio Barbagli e Alessandra Minello dal titolo “L’inarrestabile declino degli omicidi”, gli omicidi sono in generale in forte calo rispetto all’inizio degli anni Novanta (da 1442 nel 1992 a 397 nel 2016): in particolare mostrano una consistente diminuzione quelli compiuti dalla criminalità comune (da 879 a 144) e dalla criminalità organizzata (da 342 a 55). La ricerca non fornisce i dati sulle aggressioni violente per rapine in abitazioni e in esercizi commerciali, di cui occorrerebbe tener conto viste le conseguenze, talvolta gravi e durature, sulle vittime: i dati Istat mostrano però che anche le rapine negli esercizi commerciali sono in consistente calo nell’ultimo decennio (da 8.149 nel 2007 a 4.848 nel 2016) e che quelle nelle abitazioni sono tornate ai livelli di dieci anni fa (erano 2.529 nel 2007, sono state 2.562 nel 2016). Ma soprattutto sono più che dimezzati gli omicidi per “furti o rapine”: si passa da una media annuale di oltre 70 ad inizio anni Novanta a circa 30 nell’ultimo quinquennio, di cui 15 nel 2016.

In due ambiti, invece, gli omicidi mostrano non solo diminuzioni meno consistenti ma addirittura un aumento. Si tratta degli omicidi familiari/passionali che passano da una media annuale di 105 dei primi anni Novanta a poco meno di 50 nell’ultimo quinquennio, mentre addirittura raddoppiano quelli per lite/rissa (da circa 45 di media a inizio anni Novanta a quasi 90 all’anno nell’ultimo quinquennio). Nel 2016, gli omicidi non attribuibili alla criminalità bensì di tipo interpersonale ammontano a 128 e costituiscono quasi un terzo di tutti gli omicidi perpetrati in Italia (397). Ciò sta a significare che oggi il pericolo maggiore per l’incolumità delle persone non consiste nelle rapine in abitazioni o in esercizi commerciali, ma nell’ambiente familiare e interpersonale.

In questo contesto, modificare la legge sulla legittima difesa senza contestualmente restringere le regole e incrementare i controlli sulla detenzione di armi potrebbe comportare un pericolo maggiore per la sicurezza comune di quello che si intenderebbe prevenire. Il “Primo Rapporto sulla filiera della sicurezza in Italia” del Censis, mette in guarda sul rischio di allentare le norme riguardanti la difesa individuale. “Con il cambio delle regole e un allentamento delle prescrizioni, ci dovremmo abituare ad avere tassi di omicidi volontari con l’utilizzo di armi da fuoco più alti e simili a quelli che si verificano oltre Oceano. Le vittime da arma da fuoco potrebbero salire in Italia fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più […] Avere un’arma in casa rappresenta infatti una formidabile tentazione di usarla e molti assassini sono in possesso di regolare licenza”.

In proposito va notato che non esiste in Italia un rapporto ufficiale del Viminale sugli omicidi con armi da fuoco legalmente detenute: una grave mancanza se si considera che – come ha rivelato un’indagine svolta da Fire-Transcrime con la collaborazione dell’Università Cattolica di Milano sulla base di fonti pubbliche – nei Paesi europei gli omicidi con armi da fuoco (legali e illegali) nel periodo 2010-15 hanno causato vittime soprattutto in “ambito famigliare” (il 34%) e in “ambito interpersonale” (32%), mentre solo il 21% è attribuibile a “gruppi criminali organizzati”, il 10% ad “atti criminali” e il 3% è di matrice “socio-politica”. Questo dimostra che in Europa e presumibilmente anche in Italia, la maggior parte degli omicidi con armi da fuoco avviene in ambito famigliare-interpersonale (il 66%), e – lo studio non lo riporta ma si può facilmente evincere considerato il contesto – si tratta di omicidi in gran parte compiuti con armi legalmente detenute. Da una indagine svolta dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) di Brescia su fonti pubbliche, risulta che nel 2017 in Italia i morti per armi da fuoco regolarmente detenute sono stati più di 40 (esclusi quelli degli “incidenti” di caccia): un numero preoccupante che supera ampiamente gli omicidi compiuti dalla criminalità organizzata (mafie ecc.).

In un contesto fortemente segnato da rancore e tensioni, assecondare gli impulsi di una parte di cittadini – tra l’altro minoritaria (meno del 40%) – che chiede di modificare la legge sulla legittima difesa, introducendo una sorta di “presunzione d’innocenza” per chi intenderebbe difendersi con le armi da eventuali aggressori, rischia non solo di creare problemi di sicurezza comune ben più gravi di quelli che si intenderebbe risolvere ma, soprattutto, di incrementare il numero di omicidi e di vittime nei settori più deboli e indifesi della società, in particolare le donne. Non tener conto di questi aspetti rappresenta un rischio enorme, sul quale tutte le forze politiche, in particolare quelle della maggioranza di governo, dovrebbero riflettere prima di approvare norme sull’onda di sondaggi d’opinione o, peggio ancora, per cercare di rispondere a qualche raro caso, dai contorni non sempre trasparenti, costantemente riproposto da taluni mezzi di informazione.