La GroKo (probabile) e una Spd viva (finalmente). Con il voto finale al Congresso straordinario celebrato a Bonn, la Spd si avvicina ulteriormente a una nuova Grande coalizione: riprenderanno le trattative con Cdu e Csu, verrà stilato un Koalitionsvertrag (contratto o patto di coalizione), ricorrendo a gruppi di lavoro tematici cui prenderanno parte funzionari di partito e parlamentari. Questo sarà poi, quasi certamente, sottoposto al voto degli iscritti socialdemocratici e dei delegati nei congressi di Cdu e Csu. Se l’esito sarà favorevole, il nuovo governo potrà insediarsi prima di Pasqua.

Non è stata una prova facile per Martin Schulz che ha difeso la scelta di tornare a lavorare con i conservatori – che lui stesso la notte delle elezioni aveva escluso. Schulz e, soprattutto, Andrea Nahles, la capogruppo al Bundestag che ha guidato la delegazione Spd, hanno provato a elencare i successi che possono essere ascritti al partito: l’Europa, le politiche sui migranti, quelle sul lavoro, la formazione e la casa. Ma mentre Nahles è apparsa combattiva, difendendo con orgoglio quanto ottenuto, Schulz è sembrato stanco e provato. E, in definitiva, ha ribadito il concetto che l’unica alternativa alla Grande coalizione sarebbero nuove elezioni, il cui esito potrebbe essere disastroso, non solo per il suo partito.

Schulz sa bene che una nuova alleanza con Angela Merkel può essere un rischio enorme per la socialdemocrazia; e infatti si preparava a organizzare l’opposizione. Ma il fallimento della coalizione Jamaica lo ha rimesso al centro della scena e obbligato a riavviare trattative con i conservatori.

Quest’ultima prova ha comunque messo in evidenza come la Spd stia, lentamente, rinascendo come partito e come comunità che discute. Se Schulz ha difeso l’accordo, in tanti lo hanno contestato, soprattutto tra i più giovani. Nel 2013 Johanna Uekermann, che guidava gli Jusos, sfidò apertamente il segretario Sigmar Gabriel e persino nel voto tra gli iscritti lavorò per il “no” all’accordo. Se allora, però, la contrarietà degli Jusos non fece notizia, dopo quattro anni Kevin Kühnert, successore della Uekermann, è stato indicato da tutta la stampa tedesca come il vero avversario di Schulz e ha concluso il suo applauditissimo discorso chiedendo espressamente di votare contro la GroKo.

Questa volta il “no” all’accordo (tecnicamente si tratta di una mozione che chiede l’avvio di trattative con i conservatori per la definizione di un programma di governo) ha ottenuto oltre il 40% dei voti tra i delegati cl congresso di Bonn e fino alla fine la stampa si è guardata bene dal dare per scontato l’esito del voto.

Kühnert è stato molto chiaro: ha attaccato l’accordo perché si è esaurito il tempo di una collaborazione con Angela Merkel, perché la Spd ha obiettivi più ambiziosi che la Grande coalizione non può soddisfare e perché questa formula rischia di ipotecare il futuro ancor più di un brutto passaggio elettorale (il riferimento è, ovviamente, alle possibili nuove elezioni temute da Schulz). Molti delegati lo hanno seguito, convinti che il partito debba cambiare radicalmente. E di un rinnovamento, una Erneuerung, si parla da tempo ma se per Schulz essa prescinde dalla collocazione del partito, al governo o all’opposizione, per in suoi critici è proprio la Grande coalizione a impedire al partito di procedere alla riscrittura di un nuovo programma fondamentale, così come di avviare una radicale trasformazione interna.

Alla fine Schulz si è imposto, ma certo senza stravincere: a inizio congresso un vecchio conoscitore di questioni socialdemocratiche, l’ex presidente del partito Beck, si era lasciato andare a un calcolo ottimistico, immaginando i favorevoli al 60%. Per i “no” il risultato è stato ancor più incoraggiante. E, qualsiasi cosa si possa pensare della Grande coalizione, bisogna ammettere che proprio grazie al fronte riunito intorno agli Jusos, la Spd ha dimostrato di essere un partito vivo, che ha un futuro e che si sta preparando una fase nuova.

Schulz ha potuto disporre di un voto che ha premiato la dirigenza del partito, che nonostante gli anni e le trasformazioni, resta comunque fortemente legato al principio di autorità: ci si può dividere, ma alla fine ci si compatta dietro la dirigenza. In particolare, a sostenere l’accordo sono stati dirigenti ormai logori da anni di battaglie e di difficili esperienze di governo, per i quali il salto nel buio delle elezioni è un rischio eccessivo, ben più di una nuova Grande coalizione con Angela Merkel dalla quale hanno tutto da perdere, come le ultime due prove (2005-2009 e 2013-2017) insegnano.

Ma nel frattempo, la crisi ha favorito una nuova generazione: tanto per fare un esempio Kevin Kühnert è nato nel 1989, era un bambino quando Schröder andò al governo e un ragazzo quando Merkel inaugurò il suo primo cancellierato. Le questioni che ha posto nelle ultime settimane a proposito dell’accordo con i conservatori, non hanno nulla a che vedere con il dibattito degli anni passati sugli “errori” fatti da un partito troppo “governi sta” (o neoliberista), quello per intenderci segnato a fine anni novanta dalle figure di Schröder versus Lafontaine, poi uscito dalla Spd.

Kühnert è cresciuto politicamente proprio con la Grande coalizione e ha, infatti, ribadito che dal circolo vizioso fatto di “responsabilità” verso il Paese e di timore per nuove elezioni, il partito ha solo da perdere, come nei fatti sta accadendo da dodici anni. I giovani del partito sembrano essere consapevoli della necessità di rivedere completamente l’impianto programmatico della socialdemocrazia: se ne è parlato poco ma la proposta di una Bürgerversicherung, capace di modificare radicalmente il sistema sanitario tedesco, esprime esattamente questa consapevolezza (e, difatti, non è entrata nel documento finale delle trattative tra Spd e conservatori).

Indubbiamente c’è ancora molto da fare e le prossime settimane saranno molto importanti per la formazione del nuovo governo, sul quale ci sono ancora tante incognite, di natura programmatica come pure sulla futura composizione: ora che Schäuble è al Bundestag resta da capire chi occuperà il delicatissimo ministero delle Finanze, come pure quello degli Esteri, tradizionalmente affidato al partner di minoranza della Grande coalizione. Ma più che al nuovo governo, Kühnert sembra guardare oltre, a una nuova idea della socialdemocrazia e a un partito da rivoltare completamente, se lo si vuol far sopravvivere. 

 

:: per ricevere tutti gli aggiornamenti settimanali della rivista il Mulino è sufficiente iscriversi alla newsletter :: QUI