Dal congresso della Spd che si è tenuto nei giorni scorsi a Berlino arriva la disponibilità dei socialdemocratici ad avviare colloqui esplorativi con l’Union di Cdu e Csu. Si tratta del primo, indispensabile passaggio per realizzare la quarta Grande coalizione della Repubblica federale tedesca (la terza guidata da Angela Merkel).

Martin Schulz sin dai primi, deludenti risultati del voto di settembre, che attribuivano alla Spd una chiara sconfitta con oltre cinque punti in meno rispetto al 2009 – sconfitta della quale il leader si è assunto ogni responsabilità – aveva dichiarato conclusa l’esperienza di governo con i conservatori e collocato il partito all’opposizione. Il fallimento dei colloqui tra Union, liberali e verdi per una coalizione nero-giallo-verde (la cd. coalizione «Jamaica») ha aperto, però, una complicata crisi politica e obbligato la dirigenza della Spd a rivedere le proprie posizioni.

Sull’insuccesso delle trattative ha pesato la scelta di Christian Lindner, segretario dei liberali della Fdp, artefice del ritorno del partito al Bundestag dopo che, alle elezioni del 2013, non era riuscito a superare la soglia del cinque percento. Lindner punta a gestire i prossimi quattro anni dall’opposizione, su posizioni estremamente aggressive e radicali, per erodere il consenso di Alternativ für Deutschland: lo stile irruento e le richieste estreme che Lindner ha avanzato nel corso dei colloqui hanno innervosito persino i cristiano sociali della Csu, ai quali il carismatico leader Frank Josef Strauss amava ripetere che non poteva esserci alcuna forza politica collocata alla loro destra.  Il suo obiettivo resta, comunque, presentarsi alle elezioni del 2021, prive dell’energica figura di Angela Merkel, come l’unico in grado di poter costruire una coalizione tanto con i conservatori che con i socialdemocratici e puntare direttamente alla cancelleria. Il calcolo è rischioso ma non privo di una sua logica.

Falliti i colloqui per la coalizione Jamaica, è stato il presidente federale, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier a esercitare le pressioni più considerevoli sul proprio partito, obbligandolo a rivedere le scelte compiute la notte delle elezioni. Il suo ruolo è stato decisivo: Steinmeier conosce perfettamente il partito e le sue dinamiche interne; da presidente federale avrebbe potuto far ben poco, visti i poteri molto limitati che il Grundgesetz concede, per ragioni storiche, al capo di Stato. Ma Steinmeier è un socialdemocratico, convintissimo da sempre della validità della formula della Grande coalizione (è stato ministro in entrambe le esperienze di governi Spd e Union guidate da Angela Merkel) e ha saputo sapientemente convincere la dirigenza del partito. Un altro al suo posto, magari di provenienze conservatrice, probabilmente non avrebbe saputo intervenire con tanta efficacia sul riluttante Schulz.

A condurre una battaglia aperta contro la Grande coalizione sono stati gli Jusos, i giovani della Spd, che di recente hanno eletto un nuovo segretario ma non hanno modificato linea politica: Johanna Uekermann, che già nel 2013 condusse l’organizzazione giovanile a votare no nel referendum tra gli iscritti promosso da Gabriel sul Koalitionsvertrag di allora con l’Union ed è stata eletta proprio nel corso del congresso nella Direzione federale della Spd, ha ceduto la guida dell’organizzazione a Kevin Kühnert (1989) che ha continuato una battaglia aperta contro l’accordo e che ha sottolineato come il dissenso nel partito contro l’accordo sia cresciuto. Il giovane segretario ha tenuto un durissimo intervento contro il governo Merkel e contro la Grande coalizione ed era il primo firmatario di una mozione (No alla grande coalizione. Per una Spd chiara e credibile) che chiedeva esplicitamente di interrompere ogni trattativa con i conservatori. La mozione degli Jusos è stata bocciata da una ampia maggioranza, approvata, invece, quella che apre la strada a una trattativa e ne segna, possibilmente, i confini.

La mozione approvata (La nostra strada. Per una Germania moderna e giusta) come pure il discorso di Schulz sottolineano la necessità di un rinnovamento (Erneuerung) del partito, chiamato a sfide decisive per il senso e la prospettiva di continuare a chiamarsi socialdemocratici (l’Europa, la crisi dei migranti, la digitalizzazione, le trasformazioni del mondo del lavoro ecc.) e chiedono di avviare colloqui con l’Union. Colloqui aperti ad ogni esito, visto che, nelle righe finali la Spd ribadisce – ma appare più che altro come una mossa tattica per le prossime trattative – anche la disponibilità, per evitare nuove elezioni, a un governo di minoranza dell’Union. Per la Spd si tratta di una via quasi obbligata, che Schulz, rieletto al congresso Vorsitzender del Partito con poco più dell’81% dei voti, ha cercato di declinare attraverso la richiesta di proseguire l’opera di rinnovamento interno legandola ad una nuova esperienza di governo.

La stampa tedesca si è soffermata prevalentemente sui contenuti europei della mozione e del discorso di Schulz, che ha retoricamente parlato di “Stati Uniti d’Europa” come obiettivo di un prossimo governo che preveda la partecipazione dei socialdemocratici (proprio Un’Europa democratica, solidale e sociale è il primo punto della mozione approvata).

L’impressione è che Schulz abbia sbagliato a mettere in gioco quasi tutto il suo peso politico sulle questioni europee. Innanzitutto per ragioni di opportunità: sarà Angela Merkel, in qualità di Cancelliera federale, a condurre le trattative con gli altri Stati europei, primo fra tutti la Francia di Macron. Schulz e la Spd potranno avere ruoli da comprimari e saranno inevitabilmente – come del resto è già successo – fagocitati dalla strategia della Cancelliera. In secondo luogo l’Europa non è un tema semplice, che tiene insieme tanti Stati e tantissimi interessi: più che di immagini retoriche, si avrà bisogno nell’immediato futuro di vere (e complesse) riforme istituzionali, che richiederanno tempo e difficilissime mediazioni.

Inoltre, Schulz sembra dimenticare che le ultime elezioni hanno inequivocabilmente sancito uno spostamento a destra dell’elettorato e una bocciatura della formula GroKo. Dal capo della Spd è lecito attendersi proposte che puntino a migliorare la qualità della vita di tedesche e tedeschi: il programma sul lavoro appare ancora poco lungimirante, poche proposte sulla sanità, generiche quelle sulla casa (al contrario chiare quelle sull’istruzione, con la volontà di ridefinire la totale gratuità del sistema dall’asilo all’università).

Chi scrive ha più volte ribadito i rischi di una riproposizione del governo di Spd e Union, a questo punto, tuttavia, sembra essere la via d’uscita dalla crisi politica innescata dalle elezioni e dal fallimento dell’ipotesi Jamaica. L’accordo dovrà essere di alto profilo e la Spd dovrà farsi carico, più che di apparire come il partito della stabilità e dell’Europa, come quello in grado di occuparsi concretamente dei bisogni e delle difficoltà della popolazione tedesca. Non è questione di radicalità: si tratta di individuare correttamente le priorità e il profilo che dovrà caratterizzare il prossimo governo e la strada della Grande coalizione rischia di essere troppo stretta.

 

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