La notizia del gestore di uno stabilimento balneare di Chioggia che, in varie e sgradevoli forme, inequivocabilmente documentate dalla stampa nazionale, ha inneggiato al fascismo, col consueto corollario di gravi affermazioni razziste e xenofobe, è forse l’occasione per riflettere sul troppo disinvolto rapporto che a volte il turismo intrattiene con simboli, miti ed espressioni del regime fascista.

È noto – ed è forse da questo punto di vista il “caso di scuola” – l'imponente flusso turistico di cui beneficia Predappio, anche e forse soprattutto per via del fatto che lì è nato, vissuto e ora è sepolto Benito Mussolini. Si tratta indubbiamente di un turismo composito e per questo occorre trattenersi dal liquidare il boom turistico della località romagnola solo come frutto di gite di nostalgici del Ventennio, ma è chiaro che questi ultimi costituiscono una quota importante degli arrivi, e ciò finisce per “strutturare” in un certo modo l'offerta turistica del luogo, ben esemplificata da quegli esercizi commerciali il cui core business è la vendita di gadget fascisti (manganelli compresi).

Certamente ci può essere una qualche plausibilità nel sostenere, come a volte fanno gli attori politici ed economici del territorio, che non si può espellere Mussolini dalla storia; e si può anche concordare sul fatto che offrire servizi turistici che incontrano le richieste dei nostalgici del fascismo non implica necessariamente adesione ideale a regimi dittatoriali e totalitari. Ma queste considerazioni sono assai meno convincenti quando più o meno consapevolmente sono strumentalizzate per rendere il turismo un’esimente rispetto al dovere della memoria.

Non lontano da Predappio, nel territorio del Comune di Meldola, in cima alla torre del castello di Rocca delle Caminate, nel 1927 fu installato un faro che emetteva un fascio di luce tricolore visibile a oltre 60 chilometri di distanza e che divenne consuetudine accendere allorché Benito Mussolini soggiornava in quella che era la sua residenza estiva. La scorsa primavera l'amministrazione comunale di Meldola si è attivata per riaccendere il faro, ottenendo il via libera dalla Provincia di Forlì, proprietaria del castello. Lo scopo? «Attrarre turisti. Sarà visibile da Imola a Rimini e richiamerà quassù un bel po’ di gente. Stiamo definendo le pratiche per affidare la gestione, ci sarà anche un ristorante» (sono parole del sindaco di Meldola, Gianluca Zattini). Pare che il progetto si sia poi arenato, anche per la mobilitazione di alcune forze politiche di sinistra e di alcune associazioni, in primis l’Anpi. Ma rimane significativa la replica offerta dal primo cittadino di Meldola all'obiezione che Rocca delle Caminate possa diventare luogo di pellegrinaggio del “turismo nero”. «Nero, rosso, bianco, io non ne faccio una questione di colore. Chiunque vorrà visitare il faro sarà il benvenuto».

La replica del sindaco è significativa di un certo modo di pensare, purtroppo molto diffuso presso i decisori pubblici (ma anche in larga parte dell’opinione pubblica): ogni volta che un lascito del regime fascista può essere utilizzato per trarre un qualche tipo di vantaggio economico (reale o presunto), si tende a decontestualizzarlo storicamente, eticamente e politicamente. È appunto quel che accade col turismo nostalgico, ridotto a una forma di turismo come le altre, come se chi visita in camicia nera la tomba di Mussolini non facesse nulla di diverso da chi si ritrova a fumare hashish su quella di Jim Morrison.

Queste osservazioni non si traducono necessariamente nella richiesta di una proibizione (come, poi?) per i nostalgici del fascismo di andare a visitare i propri luoghi del cuore; quel che invece andrebbe fatto è incanalarli dentro circuiti che veicolano forme di conoscenza critica di quel passato inescusabile. Anche se ciò verosimilmente non comporterà che i flussi turistici non siano più composti anche da nostalgici del Ventennio, strategie di questo tipo servono comunque due obiettivi di rilievo pubblico: da un lato, evitano davvero, e non solamente a parole, di fare finta che Mussolini e il fascismo non ci siano mai stati; dall’altro, cambiano radicalmente la “cornice” della questione, affermando il principio che non ci può essere alcuna forma di complicità col turismo “nero”.

Tenere assieme consapevolezza storica e presa di distanza pubblica non è peraltro un’impresa improba da realizzare: pensiamo banalmente a come sono realizzati i percorsi della memoria nei campi di sterminio nazisti o, per prendere un esempio coerente dal punto di vista territoriale con la vicenda del faro della Rocca di Caminate, a come opera Atrium, un progetto transnazionale di indagine e gestione del patrimonio architettonico, archivistico ed immateriale dei regimi dittatoriali del Novecento.

In tutto questo, naturalmente, occorre che amministratori pubblici e operatori del settore turistico accettino senza tentennamenti che lo sviluppo turistico non può passare per manifestazioni di ricordo pericolosamente prossime a un atteggiamento apologetico di certi personaggi, anche se questo può comportare il rischio di una riduzione dei flussi e degli introiti (almeno sul breve periodo). D’altra parte, in un’epoca in cui il tema del turismo sostenibile è diventato una richiesta sempre più pressante, non si vede perché non ci si debba preoccupare anche della sostenibilità civile che certe forme di turismo possono mettere seriamente a rischio.