Mentre i lombardi sono bombardati da una comunicazione istituzionale potente e assai costosa che li invita al voto, la politica italiana continua pericolosamente a disinteressarsi del referendum del prossimo 22 ottobre in Lombardia (e in Veneto).
Per capire meglio su che cosa, e soprattutto perché, si vota, può essere utile tornare sul tema e ripercorrere il testo della mozione approvata a maggioranza dal Consiglio Regionale lo scorso 13 giugno.
Il testo ricorda che già nel febbraio 2015 lo stesso Consiglio ha approvato l’indizione di un referendum consultivo concernente l’iniziativa per l’attribuzione a (sic, non “alla”) Regione Lombardia di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, con le relative risorse, configurando “un’autonomia affine a quella del Friuli-Venezia Giulia”, quindi molto ampia. L’iniziativa non precisa le materie sui cui si vuole maggiore autonomia, non nasce dall’individuazione di specifici temi su cui si ritiene sarebbe più opportuna una competenza regionale. “Si tratta su tutto”; perché il vero, principale obiettivo sono le risorse finanziarie. La maggiore autonomia, infatti, è “a beneficio esclusivo del grande popolo lombardo che si vedrebbe così sgravato, grazie all’autonomia fiscale, di ampie porzioni di fiscalità regionale (bollo auto, aliquota regionale Irpef ecc.) e godrebbe di uno spettro maggiore di servizi e di un’assistenza rafforzata”. Ma non finisce qui: perché il presidente di Regione Lombardia è impegnato a convocare un tavolo, dopo lo svolgimento del referendum, composto da tutte quelle regioni che vantano un credito annuale nei confronti dello Stato centrale, per costituire un “Fronte del residuo fiscale”, “applicando il sacrosanto principio, ormai non più trascurabile, che le risorse rimangano nei territori che le hanno generate”.
L’iniziativa non precisa le materie sui cui si vuole maggiore autonomia, non nasce dall’individuazione di specifici temi su cui si ritiene sarebbe più opportuna una competenza regionale
È per raggiungere questi obiettivi che è stato deciso di tenere un referendum (molto costoso per le casse della Regione e del contribuente lombardo e del tutto inutile sul piano procedurale e normativo): per il “deliberato obiettivo di rafforzare la forza d’impatto nella trattativa interistituzionale con il governo, che si troverebbe di fronte i rappresentanti di oltre 15 milioni di abitanti” (insieme al Veneto).
Dunque un’iniziativa tutta politica. Importante. E, nel quadro dell’Italia di oggi, e con le tendenze elettorali che si stanno manifestando, dagli effetti del tutto imprevedibili. Che mira a scardinare gli assetti costituzionali su cui è basato il nostro Paese, e a imporre l’egoismo territoriale dei più ricchi; ad accrescere il benessere di coloro che sono chiamati a votare, a danno degli altri italiani. Con questa logica perché non un referendum per mantenere le risorse a Milano contro la redistribuzione agli altri lombardi, o dei cittadini del centro di Milano contro quelli delle periferie? Perché con le tasse di via Montenapoleone devono pagare i servizi a Quarto Oggiaro?
Il tema è assai serio; l’iniziativa intelligente e pericolosa. Proprio per questo spiace il silenzio della politica nazionale; e ancor più il sostegno al voto per il “sì” dei sindaci del Pd della Lombardia, che, dopo aver sostenuto a spada tratta il referendum costituzionale che andava in direzione opposta, ora cavalcano le tesi leghiste. Possibile che in una regione “che vanta degli ineguagliati e ineguagliabili tassi di virtuosità” non ci sia nessuno che voglia opporsi a un disegno così estremo, e così pericoloso per la stessa unità nazionale, magari semplicemente invitando i propri concittadini a disertare le urne?
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